Per il pubblico ministero si sarebbe dovuto archiviare mettendoci una pietra sopra. Il giudice per le indagini preliminari (Gip) del tribunale di Civitavecchia, Giuseppe Coniglio, è stato di parere completamente diverso e ha disposto l’imputazione coatta di sette tra amministratori e dirigenti di Alitalia ai tempi in cui era diventata araba, cioè era finita sotto la guida di Etihad, la compagnia di proprietà dell’emiro di Abu Dhabi.

Il procedimento giudiziario prosegue nei confronti dei sette manager sulla base di reati contestati gravi: bancarotta fraudolenta e falso in bilancio. Entro dieci giorni il pubblico ministero ha l’obbligo di comunicare l’imputazione ai soggetti interessati, dopo ci sarà per tutti un’udienza preliminare. A quel punto il procedimento potrebbe essere unificato con l’altro già in corso sullo stesso argomento e nel quale sono coinvolti altri personaggi di spicco, dal presidente Alitalia del tempo, Luca Cordero di Montezemolo, al vicepresidente James Hogan, un manager australiano che godeva la fiducia dell’emiro.

Sia i protagonisti dell’uno sia dell’altro troncone giudiziario cooperarono per condurre Alitalia a un esito disastroso: il fallimento a cui seguì l’ingresso di commissari per l’amministrazione straordinaria che senza aver mai brillato dovrebbero lasciare il posto a Ita dal 15 ottobre. Nella speranza che anche Ita non si infili nel solco delle perdite a ripetizione che si susseguono ormai da 20 anni. L’operazione Alitalia araba fu voluta con determinazione dal presidente del Consiglio di allora, Matteo Renzi, partì ufficialmente all’inizio del 2015 e durò appena due anni e mezzo lasciandosi dietro un’infinità di polemiche e di iniziative giudiziarie. In quel periodo Etihad, pur non potendo superare il 49 per cento del capitale in omaggio alle normative europee, di fatto era diventata l’azienda che a Fiumicino faceva e disfaceva.

In un primo momento i magistrati di Civitavecchia avevano deciso di far uscire dall’inchiesta nove personaggi, il Gip ora ne recupera sette. Ecco i loro nomi: James Rigney, Giovanni Bisignani, Corrado Gatti, Claudio Di Cicco, Silvano Cassano, Roberto Colaninno e Alessandro Cortesi.

Il patriota Colaninno

Colaninno è uno degli imprenditori italiani più in vista, presidente della Piaggio, scelto nel 2008 dall’allora capo del governo, Silvio Berlusconi, per guidare una cordata di una ventina di imprenditori, i «patrioti», che avrebbero dovuto per l’ennesima volta rilanciare Alitalia. Ai tempi dell’ingresso in partita di Etihad l’esperimento berlusconiano era già ampiamente naufragato e Colaninno era uno dei pochi di quella variegata compagine rimasti in pista. Rigney era l’amministratore della compagnia araba, Bisignani consigliere di amministrazione Alitalia dopo essere stato amministratore delegato una trentina d’anni prima, Cassano amministratore delegato da novembre 2014 a settembre 2015, Di Cicco vice presidente del settore finanziario, Corrado Gatti e Alessandro Cortesi del collegio sindacale.

Anche dopo l’intervento del Gip rimangono fuori due personaggi eccellenti: Enrico Laghi e Jean Pierre Mustier, i quali avevano partecipato in maniera molto diversa e con responsabilità assai differenti all’avventura di Alitalia araba. Mustier era l’amministratore delegato di Unicredit, una delle banche più esposte per i finanziamenti elargiti alla traballante compagnia di Fiumicino.

Laghi, invece, era molto più dentro la gestione dell’azienda essendo il rappresentante legale di Midco, la società che deteneva il 51 per cento del capitale Alitalia e nello stesso tempo anche consulente della stessa azienda. Laghi ha poi ricoperto un ruolo decisivo anche dopo la parentesi Etihad diventando commissario straordinario con il compito di valutare l’operato della precedente gestione di cui lui stesso era stato uno dei portabandiera, senza che nessuno abbia mai censurato l’evidente conflitto di interessi che lo riguardava.

L’archiviato Laghi

Nei confronti dell’archiviazione della posizione di Laghi potrebbe di nuovo fare opposizione Alitalia in amministrazione straordinaria, così come la fece a dicembre di un anno fa con un atto di opposizione che oltre a lui riguardava altri otto manager. Con quell’atto i magistrati di Civitavecchia venivano invitati a effettuare indagini suppletive «tese ad accertare i rapporti personali così come ricavabili ex aliis da mail, frequentazioni, attività professionali e incarichi ricoperti all’epoca dei fatti e anche in precedenza esistenti tra amministratori operativi e non operativi, sindaci e consulenti».

Il Giudice per le indagini preliminari di Civitavecchia ha deciso di ripescare nel procedimento giudiziario i sette esclusi basandosi soprattutto su una consulenza tecnica condotta dai periti Stefano Martinazzo e Ignazio Arcuri, definita dallo stesso Gip «completa, esaustiva e ben motivata nei passaggi tecnici e logici». Tra i vari episodi esaminati dal Gip per arrivare all’imputazione coatta c’è anche quello della vendita degli slot dell’aeroporto di Heathrow da Alitalia a Etihad e poi ripresi in affitto dalla stessa Alitalia. Scrive il giudice Coniglio: «Le poste di reddito inesistenti iscritte a bilancio per un importo pari a 39 milioni di euro, generate da una pretestuosa valutazione degli slot al primo gennaio 2015, ha consentito, infatti il progressivo aumento dell'esposizione debitoria. Il Consiglio di amministrazione aveva avuto contezza della illecita iscrizione nella relazione finanziaria annuale e nella relazione semestrale di Alitalia».

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