Il passaggio di Giorgia Meloni alla Cop28 di Dubai si è concluso attaccando la magistratura, parlando di premierato, Delmastro, Gianni Letta. È la conclusione di due giorni negli Emirati Arabi dai quali la presidente del Consiglio esce più forte e la transizione ecologica italiana più debole. Anche in questo contesto così solenne, non è riuscita a evadere dal dibattito politico quotidiano italiano.

Meloni è tornata sulle dichiarazioni di Crosetto, ha negato uno scontro con la magistratura, ma ne ha accusato una «piccola parte» di «andare fuori le righe» per contrastare decisioni del governo contrarie alla propria visione.

Sul caso Delmastro, la sua sintesi è: «Alcuni magistrati ritengono che debba essere rinviato a giudizio, il pm che il caso dovesse essere archiviato, a questo punto è il caso di aspettare una sentenza passata in giudicato prima di dichiararlo colpevole».

Sul premierato, ha però risposto nemmeno troppo tra le righe a magistrati come Santalucia e Musolino che hanno criticato la riforma costituzionale: «È la riforma che mi hanno chiesto gli italiani, è eccessivo affermare che abbia dei termini antidemocratici», mentre è stata più morbida sulle critiche di Gianni Letta: «Non le ho viste come parole di contrasto: sono in parte condivisibili, ma in parte no».

Quelli del punto con la stampa di fine tour alla Cop28 sono stati minuti surreali, in cui si è visto in contrasto tra le scale di quello di cui la politica era chiamata a occuparsi qui e quello di cui finisce con l’occuparsi.

Nell’inquadratura larga, c’era la conferenza dell'Onu sui cambiamenti climatici, diventata drammatica già dopo tre giorni, con uno scontro tra visioni di futuro del genere umano che rischiano di essere inconciliabili. In quella più stretta, Delmastro, Crosetto e Letta.

La giornata di Meloni era cominciata con l'intervento in assemblea plenaria. È la sua seconda conferenza Onu sul clima. A Cop27 in Egitto, il governo si era appena insediato e lei era stata poco più che una comparsa, i briefing erano quelli ereditati dalla gestione Draghi, non la aiutava il fatto di aver scelto un ministro dell’ambiente completamente a digiuno sulla materia come Pichetto Fratin.

Un anno dopo, sono i dettagli a raccontare le storie: nella foto con tutti gli altri capi di stato e di governo, Meloni era in prima fila, accanto al presidente indiano Modi, al segretario Onu Guterres, e ai padroni di casa, di cui ha sposato e sostenuto completamente la linea.

È un piccolo simbolo di come Meloni ha scelto di giocare questa partita, molto più per sé stessa che per gli obiettivi climatici. Lei ne esce più forte, ma la transizione ne esce più debole.

La posizione italiana è stata sigillata dalle sue parole in plenaria, in cui non ha menzionato i combustibili fossili, per non turbare gli ospiti emiratini, ma in compenso ha mostrato la visione sul clima costruita in questo anno di governo e plasmata per le prossime elezioni europee.

L’intervento sul clima

Meloni si è allineata agli obiettivi generali annunciati ieri, cioè triplicare le rinnovabili e raddoppiare l'efficienza energetica entro il 2030. E poi ha sfoderato tutti gli argomenti tipici della destra di governo italiana, a partire dalla rivendicazione della «neutralità tecnologica».

Questa idea si traduce con lo scetticismo nei confronti delle auto elettriche e dell'elettrificazione del riscaldamento, cioè le soluzioni sostenute dalla scienza per ridurre il più velocemente possibile le emissioni. Non a caso, il punto successivo è stato il sostegno ai biocarburanti.

L’esperto di policy energetiche Marco Giuli ha commentato così la contraddizione: «O si è per la neutralità tecnologica o per i biocarburanti, non si possono sostenere entrambe le posizioni». A questo, Meloni ha aggiunto la retorica contro l’ambientalismo ideologico e l'enfasi sui costi della transizione, senza mai menzionare i costi della crisi climatica. Un punto di vista quanto meno insensibile, se portato di fronte alle sofferenze dei paesi più vulnerabili, nelle uniche due settimane all'anno in cui possono raccontarle al mondo. L’altro mistero è dove sia finito il piano italiano di «hub del gas», che di fronte alla platea della Cop28 è diventato «hub dell’energia pulita».

Meloni ha intercettato anche l’altra notizia importante uscita da questa giornata di Cop28: la dichiarazione congiunta di oltre venti paesi (tra cui Stati Uniti, Francia, Corea del Sud, Giappone) per rilanciare l'energia nucleare come risposta alla crisi climatica, per triplicarne la produzione entro il 2050 e inserirlo nelle linee di prestiti per la transizione.

Sarebbe stata un grande assist per i sostenitori italiani del ritorno al nucleare, come il suo alleato Salvini o il suo ministro Pichetto Fratin. Non è andata così: l’Italia non ha aderito alla dichiarazione, Meloni non ne ha parlato nel suo intervento ufficiale, confermando il fatto che in Italia l'atomo è al massimo una prospettiva di ricerca, ma che non sarà una soluzione energetica, né per il presente né per la parte di futuro che possiamo vedere.

Incalzata sull’argomento, prima di correre via da Cop28, Meloni ha ribadito, con una formula contorta ma efficace: «Non sono certa che oggi ricominciando daccapo sul tema del nucleare l’Italia non si troverebbe indietro, ma se ci fossero sviluppi sarei disposta a parlarne».

Un modo per dire: non è nei piani, ci farebbe solo perdere tempo, ma se avete argomenti più forti, portatemeli. E poi ha rilanciato sulla fusione, prospettiva che potremmo definire futuribile o remota, fonte che non sarà commercialmente disponibile per decenni.

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