Non è più automatico che le figlie e i figli prendano il cognome del padre, il cosiddetto patronimico. Con la decisione dello scorso 27 aprile sul cognome dei figli, la Corte costituzionale ha dato un’ulteriore scossa al parlamento, che tarda nell’attuazione di principi costituzionali.

Nonostante la Consulta non possa e non debba sostituirsi al legislatore, emette pronunce efficaci dal momento della pubblicazione, al pari della legge, disposizioni che però non hanno la capacità di regolare la procedura e i molteplici casi che si possono presentare negli ospedali o nelle anagrafi dei comuni per la registrazione delle nascite.

Dal momento in cui verrà depositata la sentenza scatterà la regola del doppio cognome, nell’ordine concordato dai genitori, o in base alla loro volontà verrà attribuito l’uno o l’altro, ma mancheranno una serie di norme di contorno che permettano di regolarne i dettagli, e spetta al ministero dell’Interno individuarle. 

«Dobbiamo leggere il quadro completo, la motivazione di un giusto intervento, demolitorio su un automatismo, ma che giustamente non regolamenta», spiega l’assessore al Decentramento, alla Partecipazione e Servizi al territorio del comune di Roma, Andrea Catarci. «Nel momento in cui la Corte, con l’autorevolezza che ha, demolisce questo impianto», continua, «tocca al ministero dell’Interno dare indicazione ai comuni tramite le prefetture per recepire le direttive della Corte».

Catarci sottolinea che ad oggi i comuni non hanno le indicazioni perché spetta al ministero dare esecuzione. Ma «l’auspicio è che non ci sia un tempo biblico per tradurre le direttive in procedure nelle anagrafi», continua, spiegando che, se non avviene questo passaggio, chi si reca all’anagrafe dando per scontato l’automatismo del doppio cognome non lo ottiene.

la procedura

In Italia nel 2020 le nascite sono state 404.892 – «un record negativo per la natalità», lo ha definito l’Istat – e per la maggior parte sono state registrate negli ospedali. Entro tre giorni dall’evento infatti i genitori devono presentarsi alla Direzione sanitaria della struttura per la denuncia della nascita, che invierà l’atto al comune. Le nuove disposizioni della Consulta dovranno quindi essere osservate dalle strutture e graverà su di loro la mancanza di una legge, che individui le procedure, il perimetro dell’efficacia e la soluzione in caso di contrasto tra i genitori.

Dall’ufficio stampa del comune di Milano fanno sapere che sono poche le persone che si recano direttamente all’anagrafe e si tratta perlopiù di coppie di genitori stranieri o di genitori di bambine o bambini nati durante il fine settimana e che quindi si recano all’anagrafe il lunedì successivo. 

Mentre a Roma, il Covid-19 ha rallentato questo passaggio: durante la pandemia gli ospedali non hanno più registrato le nascite per le difficoltà operative, costringendo i genitori a recarsi direttamente a un unico ufficio: l’anagrafe di via Petroselli perché l’atto di nascita è un servizio centralizzato. 

la sentenza 

«Il cognome ha una valenza identitaria, contribuisce a definire ognuno di noi. È nella nostra vita personale e sociale probabilmente il più diretto e importante elemento di riconoscimento identitario. Consente di individuarci e al contempo dice della nostra storia. A sua volta il trasmetterlo ha un preciso valore identitario». Così spiega la questione la vice presidente della Consulta Daria de Pretis. 

La Corte ha infatti ritenuto incostituzionale la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre, nonché «discriminatoria» e «lesiva dell’identità del figlio». E la disapplicazione dell’automatismo si applica ai «figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi».

La Consulta però chiede nuovamente al legislatore di intervenire per «regolare tutti gli aspetti connessi alla presente decisione», si legge nel comunicato, precisando che la sentenza verrà pubblicata nelle prossime settimane. 

In assenza di un intervento del parlamento quindi rimangono delle questioni da risolvere e resta da vedere, oltre al testo della sentenza, se il ministero dell’Interno, a cui spetta dare indicazioni ai comuni, regolerà anche altri aspetti che emergeranno: la pronuncia della Corte sarà applicabile retroattivamente per tutti quei bambini già nati che hanno automaticamente acquisito solo il cognome del padre? Nel caso in cui i genitori abbiano più cognomi, con quali criteri verranno assegnati alla figlia o al figlio senza che si ritrovi con un ventaglio di cognomi? 

«Sulla retroattività dipende da cosa dice la sentenza che verrà depositata», spiega Catarci, dicendo che teme che la risonanza mediatica faccia tardare il ministero.

la reticenza del legislatore

Un ulteriore elemento di difficoltà emerge nella scelta di un solo cognome o nell’ordine in cui inserire i due. «Quasi tutti, in caso di disaccordo, istituivano il criterio alfabetico, un metodo che io invece abbandonerei volentieri», dice la relatrice del disegno di legge al Senato, Alessandra Maiorino, del Movimento cinque stelle, riferendosi ai diversi ddl presentati da diverse forze politiche. Maiorino auspica che la Corte, come anticipa nel comunicato, faccia sì che sia un giudice a decidere in caso di contrasto sulla scelta tra i genitori. 

La norma del parlamento dovrebbe poi individuare le procedure per il controllo della reale volontà dei genitori e attribuire la competenza a un soggetto specifico.

Dopo la decisione della Corte, «è un dovere irrimandabile per la stessa dignità del parlamento legiferare», dice Maiorino. «Sono passati 6 anni dalla sentenza del 2016», continua. Nel 2016 infatti la Consulta ha dato la possibilità di fare richiesta di accodare il cognome della madre, pur rimanendo l’automatismo di attribuzione del cognome del padre, in assenza di domande.

I tempi per l’arrivo del ddl in aula e poi la trasmissione alla Camera non sono chiari e potrebbe volerci molto tempo, con il rischio che si concluda la legislatura e che si debba ricominciare da capo. «Ci sono resistenze, ma è una cosa inspiegabile», commenta Maiorino sulle posizioni dei senatori della commissione, precisando che «la richiesta di parte del campo conservatore era che in caso di dissenso prevalesse il cognome paterno. Alla luce anche solo del comunicato sembra non praticabile, perché si andrebbe a restaurare una discriminazione».

La Corte richiama ancora una volta il legislatore, che se continua a desistere lascerà che le falle procedurali continuino a rallentare l’effettività dei diritti costituzionali.

© Riproduzione riservata