L’aceto è veleno. Almeno per me. Negli spazi remoti della mia infanzia ogni cibo sapeva d’aceto: mia madre lo usava per far risplendere l’acciaio del lavandino, in cucina, senza aspettare che io avessi finito di mangiare. Ero lenta, lo sono ancora, così mi cadeva nel piatto quel sapore acre: lei era sfinita e voleva sbrigarsi perché il momento dei pasti, evidentemente, le pesava. Mia madre era una moglie professoressa con due figlie, imbrigliata in un destino d’insoddisfazione – costellato di orari, manutenzione e accudimento – comune a moltissime donne.

Mentre lei si occupava di me e di mia sorella, volendoci bene e al tempo stesso desiderando la fuga, in Francia Annie Ernaux – un’altra madre professoressa con due figli – nel 1981 faceva uscire un libro furibondo e scarnificato, dove raccontava la segregazione in una vita domestica in cui si era immaginata in due, e invece si era ritrovata spezzata a metà.

Ne La donna gelata Ernaux traffica fra figli da svezzare e padelle, annotando calcoli, vergogne e squilibri: «Trecentosessantacinque pasti moltiplicati per due, novecento volte la padella, la pentola sul fuoco, migliaia di uova da rompere, di fettine di carne da girare, di cartoni di latte da svuotare. Il lavoro naturale delle donne, tutte le donne. Avere una professione, come lui, presto, non mi salverà dal giogo dei pranzetti. Qual è l’incombenza che un uomo è costretto a sobbarcarsi, tutti i giorni, due volte al giorno, semplicemente in quanto uomo?».

L’anomalia

Eppure le premesse per lei erano diverse. Le donne che Ernaux respira fin da bambina sono figure potenti, non hanno bisogno di protezione o pietà, hanno modi brutali, la tendenza a imprecare, sono «donne da esterni, abituate a sgobbare come gli uomini», nessun cibo all’aceto in quelle cucine dove i lavandini possono morire d’incuria, e la polvere può adagiarsi indisturbata sotto ai letti.

La divisione dei ruoli non ha nulla di tradizionale nella casa in cui cresce: se la madre lava e stira, è appannaggio del padre preparare i pasti, vestirla, accompagnarla a scuola, leggerle Piccole Donne mentre la moglie compila i libri contabili del bar-drogheria di famiglia. Annie cresce scevra da retaggi che vogliono le bambine impegnate a giocare con le bambole e i maschi a fare gli eroi. «Diventare qualcuno, per i miei, non aveva sesso… Mia madre è la forza e la tempesta, che mi dice di non aver mai paura di niente e di nessuno. Come avrei potuto, vivendo accanto a lei, non essere persuasa della magnificenza della condizione femminile, o persino della superiorità delle donne sugli uomini?».

Ma crescere senza confini la rende l’anomalia nello sguardo degli altri, e la sua libertà diventa la sua sconfitta di fronte al condizionamento sociale. A scuola le viene insegnato che l’intelligenza femminile è un peccato, le maestre consigliano alle allieve di tenere un «quaderno dei sacrifici» su cui annotare la propensione alla rinuncia come si confà a una giovane donna, una futura madre. I ragazzi riceveranno esortazioni a tenere il conto delle loro privazioni? No, a loro non è richiesto.

Ernaux ricorda di aver pensato: «comincio davvero a credere che ci sia in me qualcosa fuori posto», ed è in quel preciso momento che decide di adeguarsi all’idea di perfezione che ci si aspetta da una ragazza. Essere amata significa essere scelta, e per farlo Annie impara a piacere: stira, cucina, soprattutto sta zitta. Lei che era proiettata nel futuro – l’università, certamente il concorso per diventare insegnante – si ritrova scagliata in un passato che non ha mai abitato, e impara a riprodurre i suoni discreti emessi da tutte le donne in procinto di diventare mogli.

Le strade

Mentre il rumore della macchina da cucire prende il sopravvento, sostituendo quello della penna che sottolineava un testo, Ernaux si guarda attorno: è pieno di ragazze che conciliano tutto, perché lei non dovrebbe riuscirci? Intanto sfoglia Confidences e legge la posta del cuore: lettere infuocate di donne sposate male e infelici, ragazze sedotte e abbandonate, le stesse che in Italia, nei medesimi anni, scrivono missive che tracimano disperazione e violenza alla Piccola posta dei settimanali.

Sono parole furibonde che la giornalista e scrittrice Gabriella Parca raccoglierà nel libro inchiesta Le italiane si confessano, dando voce a quei corpi in rivolta che squarciano il silenzio di una vita domestica fatta di letti ribaltati e cene scagliate a terra, perché il matrimonio è una guerra segreta. Il matrimonio di Ernaux attraversa sconquassi più sottili, e inizia con la perdita dei pezzi identitari, a partire dal più evidente: «Il mio cognome, quello che ho imparato a scrivere da piccola, quello che mi rendeva me stessa ovunque fossi, di colpo è svanito. Quando sento l’altro, ci metto sempre qualche secondo a riconoscermi».

Nella sua nuova vita da sposata la pentola a pressione segna il fischio d’inizio di quella che è, a tutti gli effetti, una danza solitaria: a fare la veglia allo sbuffo c’è solo lei. «In nome di quale superiorità?», si chiede Annie. Arrivano i figli, due, e la toponomastica della città improvvisamente cambia per lei. Le strade, racconta, sono diverse per gli uomini e le donne.

Per queste ultime esistono solo le strade del passeggino, e poi quelle funzionali alla gestione della vita familiare: la spesa, la scuola, il pediatra, il dentista. Sono strade che si percorrono di fretta, concentrate nel perdere il minor tempo possibile. A un certo punto, l’invidia per la vita di chi può non preoccuparsi di parole come “cibo”, “casa”, “manutenzione delle cose” diventa così forte che Annie si scrolla di dosso il torpore filaccioso che l’ha narcotizzata, riprende a studiare, vince il concorso, però non diventa una professoressa, ma una «moglie-professoressa, sfumature… Sono una privilegiata, con una tata che mi aiuta in casa quattro giorni a settimana? Ma allora quale uomo non lo è, privilegiato, con la sua donna delle pulizie in servizio sette giorni su sette?».

La storia di tutte

È negli anfratti di quelle sfumature che Ernaux coltiva la stanchezza e il disprezzo necessari ad abiurare quello che sembra l’unico destino possibile per lei, esercitando lo strappo. Nel 1981, l’uscita della Donna gelata è accompagnata da una certa irritazione: la critica più frequente è che a nessuno interessa una storia «troppo privata».

Eppure la storia di Ernaux è la storia di tutte, perché la sua scrittura è anche politica: illumina il passato sociale e storico, lo trasforma in indagine in cui dire “ero io e allo stesso tempo non ero più io”. Se il mondo che narra è il racconto di sé e della sua famiglia, l’angolazione con cui lo inquadra è ogni volta sorprendente. Il linguaggio che usa, ancora di più: seziona la verità spogliandoci dalle nostre sovrastrutture, permettendoci di provare finalmente compassione per la nostra umanità denudata, aiutandoci infine a dare un nome alle cose.

Oggi sappiamo cos’è il carico mentale, ma quarant’anni fa era normale pensare (lo è ancora, purtroppo) che la gestione e la cura fossero appalto esclusivo della moglie, madre di famiglia. Da qualche tempo, il romanzo di Ernaux è fra i testi che vengono studiati nelle scuole francesi: niente più «quaderni dei sacrifici», qualcosa finalmente sta cambiando.


Con La donna gelata di Annie Ernaux, premio Nobel per la letteratura 2022, nasce la collana BUR Letteraria. Il nuovo progetto BUR, in collaborazione con alcune piccole case editrici indipendenti, accoglie e rilancia le edizioni paperback di grandi autori. Dopo Annie Ernaux i prossimi autori della collana saranno Diana Athill, Jessica Mitford, Georges Perec, Maeve Brennan, Ann Schlee, Thomas Pynchon.


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