In quella che può sembrare una gara tra membri del governo a chi la spara più grossa, lui è sicuramente nel gruppo di testa. Non ha perso tempo, cominciando subito dopo la vittoria elettorale: «La Costituzione è bella, ma va cambiata». Lancia il sasso, poi nasconde la mano. Anche da ministro ha continuato, senza sosta. Come ad aprile: «Non possiamo arrenderci alla sostituzione etnica». Citazione di una teoria suprematista? Macché: «Non sono razzista, ma ignorante».

È facile ricordarsi sparate e arrampicate sugli specchi, un po’ meno avere a mente qualche misura che ha caratterizzato i primi nove mesi di attività di Francesco Lollobrigida. Chi frequenta il ministero dell’Agricoltura della sovranità alimentare e delle foreste lo descrive come un «ministro distratto, che vorrebbe occuparsi di altra e di “alta” politica». Anche per questo il dicastero è gestito «da una zarina e un triumvirato». Ma soprattutto è l’uomo che ha spalancato le porte a Coldiretti, e riempito gli uffici di consulenti e collaboratori, arrivando a spendere quasi 1,2 milioni di euro di stipendi.

Lui è il cognato d’Italia, marito di Arianna Meloni, sorella della premier. Cinquantaduenne di Tivoli, ha una lunghissima carriera politica: Fronte della gioventù, Msi, An, Pdl e Fratelli d’Italia. Prima di entrare in parlamento nel 2018, e di diventare capogruppo dei deputati di FdI, è stato consigliere comunale a Subiaco, poi alla provincia di Roma, assessore allo Sport ad Ardea, consigliere e assessore regionale.

Quando Giorgia Meloni ha fondato il partito ne è diventato il responsabile nazionale “organizzazione”. Ha due figlie adolescenti con Arianna. Cognato di premier, e parente di diva: il nonno del padre del ministro e quello di Gina Lollobrigida, l’attrice scomparsa lo scorso gennaio, erano fratelli. E come le star, anche lui investito da veleni e falsi gossip: come quello che ha costretto la deputata Rachele Silvestri, di Fratelli d’Italia e prima donna nel plurinominale in Abruzzo, con un passato nei Cinque stelle, a esporsi pubblicamente e a sottoporre il figlio a un test di paternità.

La zarina e il triumvirato

Nella scorsa legislatura Lollobrigida era il potentissimo capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia. Un ruolo che gli piaceva e che – racconta chi gli è vicino – non solo avrebbe lasciato con dispiacere, ma a cui tornerebbe volentieri.

A capo della sua segreteria c’era Maria Modaffari, avvocata, 42 anni. Collabora con il ministro dal 2010, ai tempi in cui era assessore alla Mobilità della regione Lazio nella giunta Polverini. Ha un ruolo anche nel partito, dove è componente della commissione di disciplina e garanzia. A fine ottobre ha seguito il neo ministro a via XX settembre. Ruolo: segretaria particolare. Compenso: 84.772 euro l’anno. Al ministero tutto passa da lei, tanto che viene chiamata la “zarina”.

Ma il «ministro distratto» si affida anche a un triumvirato. C’è Giacomo La Pietra, senatore toscano di Fratelli d’Italia, nominato sottosegretario con delega alle filiere di olive, vivai, tabacco e caccia. E poi ci sono due deputati. Uno è Angelo Rossi, consigliere a titolo gratuito del ministro, membro del Copasir, della commissione Bilancio, della giunta per il regolamento, già funzionario della regione Lazio, alla prima legislatura ma tesoriere del gruppo di FdI alla Camera.

L’altro è Marco Cerreto, anche lui per la prima volta in parlamento, è stato eletto in Campania, ed è membro della commissione Agricoltura: il ministero lo conosce bene, essendone stato funzionario. Cerreto è entrato in FdI nel 2019, con la federazione del suo Movimento nazionale per la sovranità, di cui era da poco diventato segretario al posto del fondatore Gianni Alemanno. I triumviri, insieme a Modaffari, hanno un ruolo centrale sia nella gestione del ministero, sia come cinghia di trasmissione con il parlamento.

L’uomo di Urso

A gestire il giorno per giorno ci sono due importanti funzionari: il capo di gabinetto Giacomo Aiello e il responsabile della segreteria tecnica Sergio Marchi. Aiello, avvocato dello stato, ricopre il ruolo a titolo gratuito. Ha un curriculum lunghissimo: tra gli ultimi incarichi ci sono la presidenza del Consiglio di vigilanza di Open Fiber, il ruolo di consulente di una società di infrastrutture che lavora per le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026, e anche per Cassa depositi e prestiti. Tra il 2011 e il 2013 è stato membro del collegio difensivo dei due marò Salvatore Girone e Massimilano La Torre. Lavora per la politica dalla Prima repubblica: consulente giuridico per il ministero del Turismo nel biennio 1992-1993. L’ultimo ruolo è stato quello di capo di gabinetto della ministra per il Sud Marta Carfagna nel governo Draghi.

Il responsabile della segreteria tecnica Marchi è invece un uomo di Adolfo Urso, di cui è stato capo della segreteria politica nella scorsa legislatura, quando era presidente del Copasir. Tra il 2013 e il 2019, Marchi è stato anche nel cda di Farefuturo, fondazione dell’attuale ministro del Made in Italy. Tra il 2008 e il 2013 è stato presidente dell’Osservatorio parlamentare, fondato sempre da Urso. Nel suo curriculum Marchi vanta anche una collaborazione con Area, il mensile diretto Marcello De Angelis, l’ex estremista di Terza posizione e senatore di An.

Ma sono tantissimi, trentatré, i nuovi collaboratori e consulenti al ministero. Guardando i profili, spiccano in tre: Marina Tucci, ultime esperienze come «scrutatrice alle elezioni europee del 2019» e commessa; Sofia Cerqua, ancora iscritta all’università, e come unico lavoro un anno e mezzo nella segreteria di Lollobrigida nella scorsa legislatura; e Karin Lynn Walls, docente di inglese per ministeri ed enti pubblici, al ministero per migliorare lo “speaking” dello staff del ministro. Tutte e tre sono pagate 30mila euro l’anno.

Il ministero Coldiretti

Mentre il ministro pensa ad altro, sul dicastero ha messo le mani Coldiretti. Chi frequenta le sue stanze parla di «definitiva consacrazione di quello che è rimasto l’unico vero partito italiano per capillarità e radicamento territoriale». Potere però è responsabilità: «Anche loro, dietro le quinte, si lamentano dell’inazione del ministro». L’associazione avrebbe accesso a ogni dossier, «però evita che ci sia una deriva, soprattutto sulle nomine: gli agricoltori sono persone pragmatiche, non permetterebbero impresentabili o non qualificati». Non tutti sono contenti: Cia, Copagri e Confagricoltura storcono il naso, ma la loro opposizione è al momento silente. Tocca palla solo Coldiretti, che ha sussurrato al ministro le recenti nomine di Livio Proietti, commissario di Ismea, e di Mario Pezzotti, commissario di Crea.

In molti criticano i ritardi sulla gestione degli aiuti per l’alluvione in Emilia-Romagna, soprattutto sull’attivazione della riserva di crisi della politica agricola comune europea. O la lentezza dei decreti attuativi delle misure della legge di Bilancio di sette mesi fa: tra queste c’è la social card da 382 euro presentata in pompa magna la scorsa settimana.

Ma le grandi paure sono soprattutto per i ritardi dei progetti del Pnrr. Su questi inciderebbe anche la gestione dell’unità di missione all’interno del ministero. Il direttore generale è Marco Lupo, dal 2014 direttore generale di Arpa Lazio. Lupo si è insediato lo scorso 24 gennaio al posto di Paolo Casalino, funzionario molto conosciuto a Bruxelles, che per il governo Conte ha seguito le trattative per il Recovery fund come dirigente di collegamento del ministero dello Sviluppo nelle istituzioni europee.

Nel 2022 ha lasciato il Mise ed è stato chiamato all’Agricoltura dall’allora ministro Stefano Patuanelli. Lollobrigida però ha deciso di sostituirlo con un fedelissimo. Ne ha approfittato il ministro Urso, che lo ha ripreso molto volentieri al dicastero del Made in Italy, sempre per l’attuazione del Pnrr. Nei corridoi del ministero sembra però che in molti si siano pentiti di questa scelta.

Panico totale

C’è un’altra iniziativa che ha portato il panico a via XX settembrei: il 19 maggio il ministero è diventato il «primo palazzo istituzionale in Europa» a ospitare un apiario sul proprio tetto. Presentazione in pompa magna, photo opportunity, tanta retorica. Lollobrigida: «L’ape pur vivendo poco produce miele sin dal primo giorno, vive in comunità, produce cera, è operosa e sente il senso della appartenenza».

Il sottosegretario D’Eramo: «Bisogna proteggere e tutelare le api italiane». Risultato: fa troppo caldo, il tetto del ministero è rovente e le api scappano. Invadono i cortili del palazzo in cerca di ombra, spaventano i dipendenti, che vedono api muoversi in sciami, invadere le pareti del cortile, e così non possono aprire nemmeno le finestre.

Sui cellulari di chi lavora a via XX settembre girano foto che fanno impressione. Nemmeno un mese dopo il lancio dell’iniziativa, nei primi giorni di giugno, inondato dalle email di reclamo, un direttore generale ha scritto una circolare in cui ha invitato tutti a non preoccuparsi, che la situazione è sotto controllo, e che un’associazione apicola presto arriverà a risolvere la situazione. Chissà se il «ministro distratto» se n’è accorto.

© Riproduzione riservata