La decisione dell’associazione fiorentina di includere soci uomini non rispetta le regole di Donne in rete contro la violenza, che unisce 87 centri. La presidente Dire: «Scelta legittima, ma in contrasto con il nostro Statuto». Maschile Plurale: nei Cav «è necessario che il contatto con le donne sia gestito da donne»
L’obiettivo comune rimane lo stesso, il contrasto alla violenza maschile sulle donne. Perciò ha suscitato clamore la spaccatura nata dall’esclusione del centro antiviolenza Artemisia di Firenze dalla rete Dire, Donne in rete contro la violenza. La rete è composta da 87 realtà su tutto il territorio nazionale. Il motivo dell’estromissione? La decisione da parte di Artemisia di inserire degli uomini tra i soci.
La decisione è stata presa all’assemblea nazionale di sabato 25 ottobre, con una votazione a maggioranza, sette astensioni e nessun voto contrario, che ha rigettato il ricorso di Artemisia al provvedimento deciso a marzo da Dire. Un epilogo in realtà già scritto essendo lo statuto della rete, redatto a suo tempo anche da Artemisia, molto chiaro su questo punto. In particolare il punto tre recita: «Adottare una metodologia comune: la “metodologia dell’accoglienza”, fondata sulla relazione tra donne e sul rimando positivo del proprio sesso/genere». È questa relazione tra donne, ed esclusivamente tra donne, che ha portato alla spaccatura.
«Artemisia ha scelto di aprire il corpo associativo agli uomini. Scelta legittima, ma in contrasto con il nostro Statuto», ha spiegato a Domani Cristina Carelli, presidente della rete Dire, che ha però sottolineato la mancanza di un reale confronto prima della decisione «non facile»: «Per noi l’identità è sostanza, abbiamo sempre creato dei momenti di riflessione e scambio, ma qui è mancato; loro hanno inserito soci uomini da tempo, a un certo punto ci hanno detto che la cosa era fatta e che dovevamo accettarla. Nelle nostre realtà vogliamo che tutti gli organi siano gestiti da donne, per noi è un fatto culturale: cambiare la realtà a partire da noi stesse. Abbiamo ancora oggi bisogno di uno spazio sicuro che sia accolto e gestito da uno sguardo fuori dal modello patriarcale».
La posizione di Artemisia
Artemisia dalla sua ha annunciato l’uscita rivendicando la «volontà di avviare un cambiamento sociale e culturale che vorremmo vedere nella società: un movimento unico e unitario di donne e uomini per contrastare la violenza maschile sulle donne e la violenza degli adulti sull’infanzia». Ed è proprio su quest'ultimo aspetto che si è probabilmente basata la volontà di un cambio di passo, come spiega la consigliera di Artemisia, Teresa Bruno: «Il nostro centro antiviolenza è nato nel 1991 e da allora ci siamo occupate anche di violenza sui minorenni, che fanno percorsi insieme alle madri, e ad ex bambini che hanno assistito a violenza nell’infanzia. Per noi è fondamentale per i bambini, soprattutto i maschi, quando si trovano in queste situazioni, vedere che esiste un modello maschile positivo, anche in relazione con le donne». Sulle dinamiche della separazione e sull’accusa di Dire di un mancato confronto, Bruno non vuole soffermarsi: «Non è il caso di entrare in queste specifiche; è vero, noi avevamo già fatto la nostra scelta, e sapevamo che saremmo state espulse».
Il focus di Artemisia, spiega Bruno, è sull’interruzione intergenerazionale della violenza che lavori anche su bambini e bambine: «Non si tratta di uomini sì o uomini no, ma di cosa vuol dire interrompere la violenza. Dobbiamo avere uno sguardo più ampio, più aperto». Il centro antiviolenza ci tiene a specificare che gli uomini non si occuperanno dell’accoglienza delle donne vittime di violenza e che coloro che fanno parte dell’associazione da anni collaborano con essa e hanno avuto un proprio percorso: «L’accordo Stato-Regioni prevede la collaborazione con il maschile e il coinvolgimento delle comunità di supporto», ricorda Bruno.
Maschile plurale
In realtà la rete Dire non ha mai escluso gli uomini dal proprio discorso, infatti da sempre collabora esternamente con associazioni maschili che hanno consapevolezza della violenza sulle donne e che si muovono per contrastarla: «Dire non è chiusa al rapporto con il maschile, dialoghiamo con associazioni che fanno decostruzione della mascolinità – spiega Carelli – siamo sempre disponibili e sollecitiamo all’alleanza, anche con quegli uomini che non si sono ancora interrogati su tutto questo. Consideriamo l'uomo un soggetto indispensabile per il cambiamento».
«La polarizzazione non aiuta, penso che sia necessario che il lavoro dei centri sia basato sempre su una pratica politica femminista e di relazione tra donne», spiega Stefano Ciccone, di Maschile Plurale, associazione di uomini, da decenni a fianco di Dire e di Udi, Unione Donne in Italia, che fa formazione anche alle donne, in uno scambio di condivisioni, pratiche e progetti, con attività anche nelle scuole e nella formazione delle forze dell’ordine. «I Cav non possono essere semplicemente strutture di assistenza, l’approccio – e lo dice anche la convenzione di Istanbul – deve essere politico e culturale: è necessario che il contatto con le donne sia gestito da donne».
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