Dopo la Gkn di Campi Bisenzio e la Giannetti Ruote di Ceriano Laghetto, un’altra azienda attiva nell’indotto automotive annuncia il licenziamento collettivo di 106 lavoratori. Si tratta della Timken di Villa Carcina, in Valtrompia (Brescia), che questa mattina ha comunicato la chiusura immediata dello stabilimento. 

A dare la notizia è stata la Fiom-Cgil provinciale. «Una nuova procedura di licenziamento è stata aperta a Brescia. Di nuovo una multinazionale del settore automotive che decide di licenziare».

La Timken Company è un'azienda costruttrice di cuscinetti a rotolamento, acciai legati e relativi componenti ed è presente in 30 paesi, tra cui l'Italia. lo stabilimento di Villa Carcina è stato aperto nel 1978 ed acquisito dalla multinazionale nel 1996.

«È evidente che stiamo assistendo all'ennesima aggressione al lavoro e al tessuto industriale e sociale di un territorio da parte di una multinazionale, che sceglie il licenziamento all'utilizzo di ammortizzatori sociali», denunciano dal sindacato, che ha chiesto a Mise di far partire quanto prima un tavolo per affrontare le problematiche dell’intero settore e, in particolare, la fase di transizione per individuare, con un accordo tra le parti sociali, i ministeri competenti e le aziende, gli investimenti e gli strumenti per la tutela dell'occupazione e dell'industria italiana. 

Da quando è stato annunciato lo sblocco dei licenziamenti, le multinazionali operanti sul territorio nazionale in diversi settori, dalla logistica all’automotive, fino alla filiera ortofrutticola, hanno annunciato l’inizio della procedura di licenziamento collettivo. 

Le vertenze in corso da mesi, se non da anni (come nel caso della fabbrica Whirlpool di Napoli), sono state concluse repentinamente, senza lasciare margine al governo, che aveva chiesto alle aziende la proroga degli ammortizzatori sociali per ulteriori 13 settimane. 

Lavoratori in sciopero

I 106 operai licenziati oggi, hanno subito indetto lo sciopero e un presidio permanente davanti alla sede Timken di Brescia. 

Contemporaneamente, l’azienda in una nota ha invece spiegato che si tratta di un cambiamento «necessario» per ottimizzare le attività e riorganizzare l’assetto produttivo dell’azienda, con l’obiettivo di servire al meglio i clienti globali.

Tuttavia, da più parti, si denuncia l’effetto prodotto dalla delocalizzazione messa in atto dalle multinazionali, che secondo i sindacati avrebbe l’obiettivo di attivare programmi di nuove assunzioni a costi inferiori: retribuire meno, guadagnare di più. Da qui, la rabbia di centinaia di operai che, dopo aver prestato la loro forza lavoro per più di venta’anni si ritrovano senza un lavoro dalla sera alla mattina, senza alcun preavviso.

Nei prossimi giorni, i rappresentanti dell’azienda hanno annunciato un incontro con tutte le parti sociali interessate, dalle istituzioni alle autorità competenti per trovare la migliore soluzione per gestire questo cambiamento.

Anche la Timken, sulla falsa riga di altre multinazionali che hanno agito in maniera analoga nelle settimane scorse, ha dichiarato di avere intenzione di «garantire supporto ai dipendenti coinvolti, attraverso misure che includono la possibilità per i candidati qualificati di fare domanda di assunzione per posizioni aperte presso altri stabilimenti del gruppo. 

Una narrazione già sentita che sembra però avere come obiettivo ultimo il rifiuto “obbligato” dell’offerta da parte dei lavoratori licenziati, che accettano la buona uscita pur di non abbandonare la famiglia e trasferirsi a centinaia di chilometri da casa. 

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