Le strade di Firenze questa mattina sono state invase da 10mila persone, radunatesi in piazza Santa Croce per manifestare in occasione dello sciopero generale provinciale indetto a sostegno dei 422 lavoratori della Gkn di Campi Bisenzio, provincia fiorentina, per i quali la multinazionale ha avviato le procedure di licenziamento collettivo il 9 luglio scorso. L’avviso è arrivato loro via mail.

«Sulla vicenda della Gkn dobbiamo mantenere alta l'attenzione perché non sarà breve», ha commentato Emiliano Fossi, sindaco di Campi Bisenzio, presente in piazza Santa Croce insieme ai primi cittadini di tutti i comuni della provincia di Firenze e al sindaco di Prato e presidente di Anci Toscana, Matteo Biffoni.

Secondo quanto denunciato dai lavoratori dell’azienda la Gkn ha intenzione, come tante multinazionali che nell’ultimo periodo hanno avviato la procedura di licenziamento collettivo, di delocalizzare la produzione. 

«Con lo sblocco dei licenziamenti è iniziato un processo di distruzione dei posti di lavoro, attraverso la delocalizzazione o l’avvio di nuove assunzioni, a costo inferiore e con meno tutele e diritti», ha dichiarato Giuliano Granato, portavoce di Potere al popolo, sceso in piazza al fianco dei lavoratori vittime delle prevaricazioni dei padroni. 

I dipendenti della Gkn, azienda di componenti per l’industria automobilistica di proprietà del fondo britannico Melrose, chiedono a Stellantis di continuare ad acquistare i prodotti dell’azienda e al governo di prendere una posizione netta di fronte a una situazione comune a moltissime persone che da inizio luglio sono state licenziate in massa da diverse multinazionali, come nel caso della fabbrica Whirlpool di Napoli, definitivamente chiusa il 13 luglio.

In trent’anni, denunciano infatti i lavoratori, i governi al potere non sono stati in grado di risolvere le problematiche del settore, né di approvare norme atte alla tutela dei dipendenti. Sempre più spesso, il processo di delocalizzazione di certe multinazionali manda a casa centinaia di operai senza alcuna motivazione, chiudendo gli stabilimenti e abbandonando i territori, dopo aver riscosso incentivi e guadagnato profitti. Vanno via, semplicemente, riaprendo altrove.

L’ultimo tavolo al Mise

Nelle ultime settimane più di un’azienda ha annunciato il licenziamento collettivo dei lavoratori. «Una gravissima mancanza di rispetto, lo stato tratta con chi ha potere di trattare e la parola responsabilità fa parte del vocabolario delle aziende che si siedono al tavolo delle Istituzioni». Cosa che invece il 15 luglio, nel corso di quello che è stato l’ultimo tavolo sulla vertenza Gkn, non è avvenuta.

A Firenze, il ministero dello Sviluppo economico aveva infatti convocato un tavolo in video conferenza con i vertici aziendali, i sindacati, gli enti locali e il ministero del Lavoro per affrontare il caso del fondo britannico, dove a 422 persone è stato comunicato via il licenziamento. Ma al tavolo in Prefettura con la viceministra del Mise Alessandra Todde, Gkn ha mandato un avvocato.

«Non mi era mai capitato, questa non è una crisi industriale, lo stabilimento è stato trasformato in un prodotto finanziario, non è un atteggiamento corretto nel metodo e nel merito», ha lamentato Todde.

Nonostante il pugno duro dell’azienda, la ministra ha assicurato che verrà indetto un nuovo tavolo in tempi brevi, con l’obiettivo di trovare una soluzione concreta per i lavoratori. Nonostante le dichiarazioni, però Todde continua ad accumulare fallimenti: né Whirlpool, né Gkn sembrano disposte a scendere a compromessi e accettare il prolungamento delle misure di sostegno, prima fra tutte la cassa integrazione, per ulteriori 13 settimane. 

«Mi aspetto una crescita dei tavoli. Anche se con il lavoro fatto finora sono scesi da 149 agli attuali 86, di cui 55 aperti e 29 di monitoraggio. L’impegno è di gestire al meglio le varie crisi industriali, proponendo soluzioni e riportando il Mise ad essere il ministero dello Sviluppo Economico e non un distributore di ammortizzatori sociali», ha aggiunto la vice ministra.

Il problema della delocalizzazione

Decine di multinazionali operanti sul territorio, da Fedex a Gkn, hanno avviato un processo di delocalizzazione produttiva. Si tratta del trasferimento del processo di produzione in aree geografiche o paesi in cui esistono vantaggi competitivi, come il minore costo dei fattori produttivi e, in particolare, della manodopera. Nel caso di Gkn o Fedex, la delocalizzazione punta a effettuare nuove assunzioni a costi inferiori, e questo coincide con l’abbattimento delle conquiste ottenute dai lavoratori in termini di diritti e tutele.

Contro le delocalizzazioni, secondo quanto dichiarato da Todde, in contrasto con chi invece questo mondo lo vive ogni giorno, «abbiamo strumenti già in essere e lavoriamo per rafforzare il quadro normativo». In questo senso, il governo potrebbe chiedere alle aziende la restituzione di incentivi e ammortizzatori. Il problema è che questa operazione è valida solo in caso di delocalizzazioni fuori dall’Unione europea. Per le delocalizzazioni effettuate all’interno dell’Eurozona, le norme comunitarie non consentono interventi governativi.

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