Vincent Iyen Idele è presidente della Nigerian Union Italy. Non sembra stupito di fronte all’indagine che si è aperta a Torino relativa a presunte irregolarità in un processo per l’adottabilità di due bambini nigeriani, in affido da otto anni a una coppia di due mamme italiane - un caso che i carabinieri stessi definiscono dalle «preoccupanti analogie» con le note vicende di Bibbiano.

«La prima volta è successo nel 2017. Mi chiamano dei connazionali durante uno sfratto, hanno due bambini e i servizi sociali glieli vogliono portare via. Io dico: “No, casomai trovate una casa alla famiglia o alla mamma e ai bambini”. Alla fine li hanno sistemati in albergo», racconta e aggiunge: «Dopo qualche giorno il problema si ripresenta. Solo con la nostra mediazione e la promessa di trovare una casa e un alloggio siamo riusciti a evitare che a quella madre togliessero i figli». Di segnalazioni di bambini portati via senza giusta causa, lui, ne ha a decine.

Mamme nigeriane

«Qualche tempo dopo mi ha chiamato una donna dall’ospedale di Padova: aveva appena partorito e non la facevano uscire con la bambina perché senza documenti. Le ho detto di lasciare la piccola in ospedale e andare in ambasciata a fare i documenti. Così è stato: l’ospedale ha fatto viaggiare fino a Roma, di notte - per fare i documenti e tornare - una donna che aveva appena partorito”.

Idele è in Italia dal 2005 e ha un negozio da parrucchiere in provincia di Venezia. «È sempre stato un continuo: casi su casi. Siamo riusciti a fermarne alcuni. Su altri stiamo provando a fare pressione». L’associazione ha scritto al ministero degli Affari esteri nigeriano, all’ambasciata in Italia, al Garante per la difesa dei diritti personali della regione Veneto. Le risposte però, finora, sono sempre state negative.

Nel frattempo molte persone hanno cominciato a contattare Idele direttamente dalla Nigeria: genitori che dopo aver perso i figli sono stati espulsi mentre i bambini e le bambine sono rimasti in Italia, altri che sono scappati in Nigeria dopo aver perso un figlio, per la paura di vedersi portare via anche gli altri. «È stata come un’esplosione”, prosegue Idele.

In meno di quattro anni ha raccolto le storie di oltre cento bambini nigeriani che gli sono stati segnalati come ingiustamente sottratti alle loro famiglie. Tanti casi raccontati dall’attivista cominciano in ospedale, oppure con la richiesta di aiuto al comune. «Abbiamo sentito parlare di Bibbiano. E quando un ministro italiano ha detto che si doveva indagare sul sistema degli affidi abbiamo capito che non capitava solo a noi. E abbiamo iniziato a sperare». 

L’inchiesta di Domani e Lost in Europe dello scorso maggio, Bambini strappati, ha per la prima volta raccontato di alcune storie che vedono protagoniste famiglie straniere in difficoltà: l’adozione e l’allontanamento dei minori avverrebbero spesso senza che vi siano abusi o maltrattamenti da parte dei genitori, ma piuttosto situazioni di povertà o fragilità.

Casi che hanno portato anche a una condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo per la vicenda di una donna nigeriana, vittima di tratta, a cui sono state tolte le figlie. Casi che racconterebbero la difficoltà, da parte del sistema italiano, di comprendere senza giudicare un tipo di maternità e genitorialità diverso dal modello occidentale. 

Dal nord al sud

La donna protagonista della vicenda torinese, vivendo un momento di difficoltà, non si era opposta all’affido. Allo stesso tempo, però, non le erano nemmeno state date delle alternative, come le case famiglia madre-bambino.

Il caso è stato accostato alle vicende di Bibbiano perché la psicoterapeuta che stava lavorando con la famiglia nigeriana è Nadia Bolognini, l’ex moglie di Claudio Foti, guru del centro Hansel&Gretel, appena condannato per i fatti della Val D’Enza. Bolognini avrebbe interpretato un disegno di uno dei bambini come descrizione di un abuso da parte del padre.

Se Bibbiano è ormai un fatto di cronaca conosciuto da tutti, il lavoro silenzioso di decine di persone, che raccoglie storie e numeri di quello che sta succedendo, non fa clamore. «C’è un problema in Italia: a Torino, Roma, in Emilia Romagna. C’è una percentuale abbastanza elevata di allontanamenti di minori dalle proprie famiglie di origine straniera che presentano diverse problematiche», racconta Erminia Sabrina Rizzi, ex giudice onoraria del tribunale dei minori di Bari. Oggi lavora per gruppo Lavoro rifugiati, onlus che ha contribuito a fondare, ed è socia di Asgi.

«La donne e le famiglie straniere non conoscono il sistema italiano e non vengono aiutate nella comprensione: mancano interpreti, mediatori e mediatrici. Senza contare che il sistema complessivo di giustizia, magistratura ordinaria e minorile, servizi sociali e consultori molto spesso non hanno competenze specifiche per avere a che fare con famiglie o donne che hanno dei bisogni peculiari e provengono da sistemi giuridici e culturali diversi», spiega.

Mancano gli strumenti e non c’è investimento sulla formazione. E gli esempi, ancora una volta, non mancano. «Leggere su una relazione frasi come “è una madre poco attenta perché non rispetta gli orari dei pasti”» vuol dire che non si tiene conto del paese di provenienza del genitore e, nel caso specifico, del fatto «che in Africa si mangia quando si ha fame, non ci sono gli occidentali “orari dei pasti”», aggiunge.

Quali competenze hanno operatori e operatrici per osservare e giudicare la relazione madre-figlio magari in una comunità? Rizzi ha raccolto decine di casi, cercando di sistematizzare e di capire quali sono i tribunali con più carenze e quali le nazionalità più colpite.

«Molte donne sono nigeriane vittime di tratta: su di loro pesano anche il pregiudizio e lo stigma della prostituzione». Tante donne, racconta, le confessano che preferiscono vivere ai margini piuttosto che rivolgersi ai servizi sociali per la paura di vedersi tolti i bambini.

«Vivono peggio, ma tutelano la loro maternità», spiega Rizzi. E c’è anche il risvolto dell’evoluzione patologica. «Tante donne non riescono a comprendere il perché vengano private dei loro figli e sviluppano disagio psichiatrico e psicologico».

«Non è rarissimo che proprio quando si ha a che fare con madri vittime di tratta e sfruttamento o vittime di violenza e maltrattamenti in ambito domestico ci si ritrovi dentro a procedimenti che tendono a giudicarne l’idoneità alla genitorialità, senza tenere adeguatamente in conto delle violenze subite e dell’impatto che hanno sulla relazione genitoriale», conferma Antonella Inverno, responsabile Politiche infanzia e adolescenza per l’Italia e l’Europa di Save The Children.

Nei  primi 8 mesi del 2021, con 15 sportelli di orientamento legale, l’ong ha seguito quasi 500 casi in tutta Italia: il 19,4 per cento ha riguardato questioni connesse al diritto di famiglia e il 2,7 per cento di violenza domestica. «Il sistema di protezione minorile italiano sembra mancare di strumenti di supporto specifici e soprattutto di recupero di una genitorialità compromessa da vissuti di violenza. Se questo è vero per le donne italiane, è ancor più lampante per le madri straniere, soprattutto vittime di tratta, spesso nigeriane, per cui sarebbe necessario prevedere anche strumenti di mediazione linguistica e culturale in tutte le fasi del procedimento, compresi gli incontri protetti negli spazi neutri».

Non solo Bibbiano

«Per tre anni sono stato consulente per l’ambasciata dell'Ecuador in Italia per i casi di allontanamento dei figli. La comunità ecuadoriana è una delle più numerose in Italia e all’ambasciata arrivavano segnalazioni di figli portati via». Francesco Miraglia è uno dei più famosi avvocati che si occupato del caso di Bibbiano.

Specializzato in diritto di famiglia, recentemente è stato radiato dall’ordine degli avvocati per una vicenda non legata agli affidi: tutta una mossa per fermarlo, sostiene.

Rafael Correa, presidente dell'Ecuador dal 2007 al 2017, «ha dato  mandato all’ambasciata di chiedere a un professionista esperto di occuparsene», spiega ancora. «Sono orgoglioso se mi definiscono grande accusatore di Bibbiano. Ma io seguo questi casi dal 2001. Con le famiglie straniere c’è proprio un gap culturale». Anche l’ambasciata del Senegal ha ora chiesto una consulenza. «Evidentemente anche a loro sono arrivate segnalazioni». E la storia continua.

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