Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata su Trame, il festival dei libri sulle mafie che si tiene dal 22 al 26 giugno a Lamezia Terme.


Letizia Battaglia se n’è andata in una notte di aprile, nella promessa di un futuro che all’improvviso si è spezzata. Per qualche giorno, non sono riuscita a prendere il nostro libro tra le mani. A un certo punto, mi è sembrato prezioso come mai ma anche, improvvisamente, fragile. Così fragile che avrebbe potuto rompersi, solo toccandolo.

Fragile com’è la vita, fragile com’era lei, nonostante l’avessi vista, come forse tanti altri, come “invincibile”.

Invincibile, mentre fumava nonostante il tumore ai polmoni, mentre si muoveva con il bastone e poi sulla sedia a rotelle, mentre tossiva e parlava e si arrabbiava, senza quasi più voce.

Eppure con quel filo di voce progettava, vedeva e vedevamo il futuro.

Ancora ora a volte mi capita di pensare che si sia presa solo una pausa, una delle sue, quando andava via all’improvviso: «Vado a stare sola con se stessa», diceva. E si richiudeva come un bocciolo.

Invincibile, anche lei aveva i suoi Invincibili, era un progetto artistico che ha sviluppato tra il 2013 e il 2014 e che ha dedicato a tutti i personaggi che sono stati per lei una fonte d’ispirazione, umana e intellettuale, come Pier Paolo Pasolini, i giudici Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, il grande combattente per la libertà Che Guevara. Per tenerseli vicini, e rendere loro omaggio, ha rielaborato i loro ritratti in bianco e nero tramite la reiterazione dell’immagine.

Erano così tanti che non sarebbero più potuti morire, ho sempre pensato che fosse questo il senso. E ora, ogni volta che vedo il nostro libro, vedo Letizia, una Letizia reiterata e questa sì invincibile, che continua a camminare, a raccontare una storia. Che è sua, ma non è soltanto sua, perché è la storia civile di una donna che ha combattuto, con un’arma bianca che era la sua macchina fotografica, per riscattare Palermo dall’umiliazione e dell’orrore della mafia e per salvare se stessa dalla dipendenza di un matrimonio che la lasciava sola e infelice. Che a combattuto con la vita a “distanza di un cazzotto o di una carezza”, la stessa con cui fotografava.

Ho voluta metterla in salvo questa storia, ho voluto mettere in salvo Letizia Battaglia perché la memoria avrebbe potuta metterla in un angolo, se non mistificarla o dimenticarla. In queste pagine c’è, invece, lei che continuerà a parlare, gridare, arrabbiarsi e amare, ogni volta che qualcuno le sfoglierà. E nel mio racconto di Letizia, quello che oggi ho il privilegio di condividere in pubblico, c’è la Letizia che ho conosciuto e amato, e tutto quello che ci ha unito. C’è la nostra amicizia: la grande stima che mi ha dimostrato me la tengo stretta come una laica benedizione. C’è la felicità di avere fatto un pezzo di strada accanto a lei, di essermela andata a prendere, Letizia.

C’è l’esempio del senso del lavoro, qualunque esso sia, come dovere, del coraggio che diventa dovere, della vita vissuta come resistenza attiva, come presa di responsabilità personale, e politica, di quello che ci accade intorno. C’è la sua non vanità, la sua ironia, la naturale necessità di non essere dentro nessuno schema predefinito, e la convinzione che è necessario studiare, sempre. C’è l’ostinazione nell’andare avanti e la non paura, che è una scelta che si fa sempre da sé, nel rifiutare gruppi di potere, di qualunque natura e circolo, anche se costano solitudini, e una strada in salita. È questa strada di libertà che mi ha portato a Letizia Battaglia, e non poteva essercene un’altra. E ora so più di prima che è quella giusta, che è la mia: che è la nostra.

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