Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata all’omicidio del giornalista Giuseppe Fava, direttore de “I Siciliani”, ucciso con cinque colpi di pistola il 5 gennaio del 1984 a Catania. Nel 2003 la Cassazione condanna il boss Nitto Santapaola all’ergastolo perché ritenuto il mandante dell’omicidio. Mentre Aldo Ercolano e Maurizio Avola (reo confesso) sono stati condannati come i killer dell’omicidio.

La difesa di Aldo Ercolano ha fatto constare che il primo numero della rivista “I Siciliani” (quello relativo ai cavalieri della apocalisse mafiosa) è andato in edicola il 22/12/1982, mentre Pattarino ha riferito che l’incontro tra Santapaola Ercolano e Cortese sarebbe avvenuto prima di Natale 1982, per cui non ci sarebbe lo spazio temporale sufficiente tra i due eventi.

Ora, a parte la considerazione di una eventuale, e peraltro giustificata, inesattezza del ricordo del Pattarino in ordine alla collocazione temporale dell’incontro suddetto se prima o dopo di Natale a distanza di ben oltre dieci anni, devesi notare che comunque, anche collocando l’incontro de quo prima di Natale, lo stesso ben potrebbe essere avvenuto perfettamente, con il primo numero della rivista “I Siciliani” sul tavolo in bella mostra per i presenti, il 23 ovvero il 24 dicembre 1982 in occasione degli auguri di rito per la imminente festività natalizia.

Pattarino Silvana ha confermato pienamente la circostanza della permanenza di Santapaola nella casa della madre Amato Italia sita in via Monteforte di Siracusa.

Reputa invece la Corte che, in ordine alla riconducibilità del delitto a Benedetto Santapaola ed al suo gruppo e sul tema relativo al movente omicidiario, non possa essere utilizzata la dichiarazione resa da Pulvirenti Giuseppe all’udienza del 4/12/1996, allorché il collaborante ha riferito di avere appreso dal genero Piero Puglisi, due giorni dopo l’omicidio di Fava nel 1981, 1982, 1983 (!), che lo stesso era stato deliberato nell’ambito della famiglia Santapaola, pur non sapendo chi fossero stati gli esecutori materiali dell’omicidio e che la causale dell’omicidio consisteva nel fatto che il giornalista aveva scritto degli articoli contro la mafia ed i cavalieri del lavoro.

Ed, invero, devesi rilevare che Pulvirenti Giuseppe, interrogato all’inizio della sua collaborazione dal pm in data 19 e 22.9.1994, ripetutamente invitato dal pm a riferire quanto fosse stato a sua conoscenza in ordine all’omicidio di Fava, ha risposto sempre chiaramente di non sapere assolutamente nulla in proposito.

Così infatti il Pulvirenti ha risposto al pm che lo interrogava espressamente ed insistentemente sull’omicidio di Fava: «di questo non so niente….non mi è stato detto mai niente……non ne abbiamo parlato mai, se no lo dicevo….millanterie (con riferimento alla contestazione del pm, che gli faceva constare che altro collaborante aveva riferito che il Pulvirenti fosse a conoscenza del delitto) perché non me l’hanno fatto capire mai a me mai….penso che è venuto dal lato di Santapaola questo delitto, però è una mia opinione, un mio inquadramento…..secondo il mio intuito….basato su quello che si sente dire in giro…..Piero (Puglisi) non mi diceva niente, quello non mi diceva niente…..completamente, una cosa per dire che non la so, non la posso imbrogliare…..sul fatto di Pippo Fava non mi hanno confidato niente loro….che io ho parlato con Grancagnolo non mi ricordo va di questo fatto, perché di questo fatto non ho avuto mai capienza di sapere come è stato completamente….. Grancagnolo non mi ha detto niente mai…mai al mondo niente come è stato...allora lo dicevo… non la posso dire una cosa che io non conosco».

Ed al PM, che lo invitava a dire le cose che erano a sua conoscenza, Pulvirenti rispose: «dottore le dico proprio la verità, di fava non mi hanno fatto capire mai niente”. Indi al pm, che gli contestava espressamente se fosse stato a sua conoscenza il fatto che il giorno prima dell’omicidio egli avesse detto a Grancagnolo di mettersi in contatto con qualcuno ed il giorno dopo la uccisione di Fava avesse commentato con Grancagnolo l’accaduto, così testualmente ha risposto il collaborante in seno alla originaria dichiarazione resa al PM all’inizio della collaborazione: “ma non può essere mai, mai, mai dottore, gliela faccio io la contestazione, mai».

E’ proprio il caso di dire: in claris non fit interpretatio.

Le dichiarazioni di Pulvirenti

In questa situazione non c’è dubbio alcuno che all’inizio della sua collaborazione, e quindi in uno stato di assoluta genuinità e spontaneità, Pulvirenti Giuseppe ha detto e ripetuto in tutti i modi, rispondendo ad un pressante interrogatorio del pm condotto espressamente sul tema dell’omicidio di Fava, che su questo versante egli non sapeva proprio nulla.

Ciò premesso reputa la Corte che quanto poi successivamente dal Pulvirenti medesimo riferito all’udienza del 4.12.1996 sulla riconducibilità dell’omicidio a Santapaola Benedetto e sul movente del delitto sia assolutamente inattendibile, non tanto per il riferimento erroneo all’epoca in cui ebbe ad apprendere i fatti dal genero Puglisi (poiché la indicazione degli anni 1981, 1982 e 1983 è del tutto inconsistente, essendo il delitto stato consumato il 5/1/1984), quanto piuttosto per una carenza evidente e gravissima del requisito della spontaneità, genuinità ed autonomia della propalazione, non potendosi negare che, se effettivamente quanto detto il 4/12/1996 avesse fatto parte del patrimonio di conoscenze originario del Pulvirenti, il collaborante tali circostanze avrebbe dovuto riferire il 22/9/1994 quando, in uno stato di assoluta verginità e di mancanza totale di condizionamenti di sorta, venne letteralmente incalzato dal PM sul tema dell’omicidio Fava.

Sorge quindi il sospetto inquietante che Pulvirenti il 4/12/1996 abbia inteso adeguarsi al dictum di altri collaboranti dei quali nel frattempo era venuto a conoscenza.

E non convince affatto la giustificazione che all’udienza del 5.12.1996 Pulvirenti ha dato, in sede di contestazione mossagli dalla difesa di Santapaola Vincenzo, del suo ricordo sopravvenuto.

Il collaborante ha detto all’uopo che egli aveva la speranza che Piero Puglisi ed i suoi figli si fossero decisi a collaborare anch’essi con la giustizia e che fossero stati a questo punto loro a rivelare i fatti in questione ed, alla ovvia contestazione fattagli dalla difesa del motivo per cui il Pulvirenti, pur avendo riferito di circa sessanta omicidi, proprio in ordine all’omicidio di Fava aveva sperato che ne avessero parlato il genero Puglisi ed i figli ove mai costoro avessero deciso anch’essi a collaborare, il collaborante così ha risposto: «sì, il riferimento….qualche 60 omicidi già avevo detto, non è che….però nella maggior parte della nostra parte. Di quella parte, di Ercolano avevo detto un omicidio….però la verità insomma è questa vah, perché io speravo, che per dire, Piero veniva con me».

Trattasi, a parere della Corte, di giustificazione assolutamente insostenibile.

Ed, invero, non c’è dubbio che, se così fosse stato, l’atteggiamento che il Pulvirenti avrebbe consapevolmente assunto il 22/9/1994 all’inizio della propria collaborazione, non rivelando agli inquirenti quanto era a sua conoscenza in ordine alla uccisione di Fava, è già di per se stesso estremamente commendevole dal punto di vista della deontologia per così dire del collaborante, che tutto deve rivelare agli inquirenti senza alcuna esclusione e senza aluna riserva mentale in ossequio ad un preciso obbligo riveniente dalla stipula del contratto di protezione con lo Stato; non ha senso alcuno la reticenza avuta all’epoca dal Pulvirenti sull’omicidio Fava, determinata dalla speranza che di ciò avesse parlato il genero allorché questi si fosse in futuro deciso a collaborare, senza che di tale evenienza peraltro vi fosse alcun sintomo esteriore al di là di una segreta ed intima convinzione del Pulvirenti; questi era tenuto a riferire tutto quanto in sua conoscenza in ordine all’omicidio Fava, perché il pentimento del genero era un evento futuro ed incerto e parimenti non era certo che il genero, pentendosi, di ciò avesse parlato.

Ma c’è di più.

Anche a volere seguire la logica giustificativa del Pulvirenti, non può fare a meno la Corte di rilevare che la reticenza del collaborante, che è già grave e commendevole il 22/9/1994 quando egli venne inutilmente incalzato dal PM, diventa assolutamente imperdonabile in seguito, nella misura in cui il Pulvirenti, se effettivamente fosse stato depositario del patrimonio conoscitivo poi esposto il 4/12/1996, una volta preso atto che la propria speranza segreta relativa al pentimento del genero era definitivamente tramontata, avrebbe dovuto senza remora alcuna chiedere di potere conferire con il PM e rivelargli quanto egli sapeva sull’omicidio Fava, memore peraltro del notevole interesse investigativo con il quale lo stesso PM lo aveva interrogato il 22.9.1994 e necessariamente consapevole perciò che il patrimonio di conoscenze di cui egli era portatore era prezioso per gli inquirenti e riguardava poi un fatto delittuoso gravissimo e rilevante.

Nulla invece ha fatto Pulvirenti di tutto ciò ed ha aspettato il 4/12/1996 per parlare per la prima volta dell’omicidio Fava, dopo che cinque giorni prima Avola aveva riferito in un pubblico dibattimento analiticamente sul punto.

Sorge così spontaneo il sospetto che quella fornita sia stata una giustificazione di facciata e che invece il Pulvirenti abbia inteso il 4/12/1996 adeguarsi al dictum di altri collaboranti che avevano riferito sul punto, come per esempio Avola che era stato esaminato a lungo alla precedente udienza del 28/11/1996.

Tutto ciò premesso, ritiene la Corte che la propalazione di Pulvirenti del 4/12/1996 relativa all’omicidio Fava sia gravemente carente sotto il profilo della immediatezza, autonomia, genuinità e spontaneità, per cui non può essere utilizzato quanto dal collaborante riferito in ordine alla causale dell’omicidio ed alla riferibilità dello stesso alla consorteria mafiosa facente capo a Benedetto Santapaola.

Del tutto inutilizzabili ai fini della incolpazione di Santapaola, quale mandante dell’omicidio di Fava, sono le dichiarazioni che sul punto hanno reso Pino Orazio e Malvagna Filippo, i quali hanno riferito in maniera del tutto generica (ed il secondo peraltro sulla base di una propria personale deduzione) in ordine alla riconducibilità dell’omicidio di Fava alla associazione mafiosa facente capo a Benedetto Santapaola.

Tirando le fila del discorso, reputa la Corte che dalle dichiarazioni di Avola, Amato e Pattarino (della cui attendibilità intrinseca sul punto è stato detto) emerge una indicazione assolutamente convergente sul ruolo spiegato nella vicenda in esame da Benedetto Santapaola, che diede l’input originario alla uccisione di Fava, mantenuto sempre fermo fino alla esecuzione dell’omicidio avvenuta il 5/1/1984, e sul ruolo fondamentale spiegato da Aldo Ercolano di intermediario tra il capo supremo latitante Benedetto Santapaola e gli affiliati in libertà, nei cui confronti egli si fece portavoce ufficiale della volontà omicidiaria di Santapaola: sul punto le dichiarazioni dei collaboranti suddetti si riscontrano reciprocamente in maniera assolutamente individualizzante, non essendoci dubbio alcuno che le indicazioni accusatorie in questione riguardano gli imputati suddetti e l’omicidio di Giuseppe Fava e ciò costituisce prova idonea, ai sensi dell’art. 192 c.p.p., in ordine alla responsabilità degli imputati con riferimento al reato di concorso nell’omicidio pluriaggravato di Giuseppe Fava.

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