Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Paolo Borsellino e sull’attento di via d’Amelio a trent’anni di distanza.


Arriva il 16 luglio del 1988, ad Agrigento. Paolo Borsellino è alla presentazione di un libro di Giuseppe Arnone, il leader siciliano di Legambiente che ha raccolto gli atti di un processo di mafia nella sua città, il primo dopo quarantadue anni. Con lui c’è Luciano Violante, il responsabile dei problemi per la giustizia del Pci, c’è il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, c’è l’avvocato Alfredo Galasso.

Nel chiostro di San Nicola si parla dei «ritardi» dello Stato, della mafia agrigentina mai esplorata. Poi, all’improvviso

Borsellino comincia a raccontare cosa sta accadendo a Palermo. Nel bunker del Tribunale. Nel pool antimafia dove fino a un paio di anni prima c’era anche lui. Il suo atto di accusa è durissimo. Paolo Borsellino dice che: «la lotta al crimine organizzato è stata azzerata», che l’«ultimo rapporto di polizia degno di questo nome risale al 1982 ai tempi di Montana e di Cassarà», che da quando il consigliere Antonino Meli è «all’ufficio istruzione di Palermo i processi si perdono in mille rivoli».

I giornali locali non pubblicano niente. Nessuno viene informato su cosa ha detto il procuratore Borsellino ad Agrigento.

Giuseppe Arnone chiama me e Saverio Lodato dell’Unità. Ricostruisce per noi la giornata agrigentina del procuratore Borsellino. Il pomeriggio successivo siamo a Marsala. È il 19 luglio del 1988.

Paolo Borsellino è in piedi, dietro la sua scrivania. «Siete venuti fin qui per consumarmi? Per farmi ripetere quello che ho detto ad Agrigento e che non è fregato niente a nessuno?», chiede sorridendo.

Ci rilascia un’intervista sulla solitudine di Giovanni Falcone. Sul pool smembrato. Sulla lotta alla mafia che è finita. Sugli apparati investigativi che girano a vuoto. Per una settimana la sua denuncia cade nel silenzio. Tutti in Italia fanno finta di niente.

Poi, il presidente della Repubblica Francesco Cossiga dice che vuole sapere cosa sta accadendo in Sicilia.

Il Capo dello Stato chiede al Consiglio Superiore della Magistratura di ascoltare i giudici di Palermo.

A Palazzo dei Marescialli aprono subito un «procedimento» contro Paolo Borsellino per l’intervista che ci ha concesso.

È il «caso Palermo» che esplode.

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