Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Paolo Borsellino e sull’attentato di via d’Amelio a trent’anni di distanza.


La notte del 19 luglio 1992 non prendo sonno. Resto in piedi fino all’alba, quando mi avvertono che i parà della Folgore sono penetrati nei bracci dell’Ucciardone. Stanno caricando sugli elicotteri i boss detenuti per trasportarli nelle carceri di Pianosa e dell’Asinara.

Per tutta la notte, vengo inseguito da paure e dubbi che poi sono le paure e i dubbi di qualunque altro siciliano che conosce la sua terra: questa volta non sono stati loro i mandanti veri, questa volta c’è qualcun altro che ha voluto la strage.

Troppo ravvicinate le morti di Falcone e Borsellino, troppo «clamorose» per rientrare in una logica di mafia pura. Troppo controproducenti per loro, dannose, letali, quelle bombe e quei massacri in rapida successione.

Ho pensato: sono finiti, i Corleonesi dopo via Mariano D’Amelio sono finiti.

Le conseguenze della strage sarebbero state spaventose per la mafia siciliana. È così è stato.

E allora, perché Totò Riina e i suoi macellai avrebbero deciso ugualmente di uccidere Paolo Borsellino dopo Giovanni Falcone? Quale vantaggio ne avrebbero avuto, cosa avrebbe messo all’incasso Cosa Nostra se non una repressione poliziesca senza precedenti, carcere duro, indagini, processi, confisca di beni, caccia grossa fino all’ultimo latitante?

Per anni mi sono arrovellato su tutto questo, poi mi sono dato una spiegazione semplice: Totò Riina non era più utile, Totò Riina è stato messo nel sacco, usato e gettato via, armato e sacrificato.

Lui e tutti i suoi lanzichenecchi – il popolo mafioso – dopo le stragi sono stati seppelliti per sempre sotto una caterva di ergastoli. Non usciranno mai più dalle galere. Sono marchiati a vita anche i loro figli. E i figli dei loro figli.

Quello che dovevano fare a Palermo, l’hanno fatto. Pio La Torre, Carlo Alberto dalla Chiesa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino. E tutti gli altri. Non c’è più bisogno di loro. Tanto, ormai lo sappiamo, la mafia cambia sempre. Quelle facce sconce sono diventate «impresentabili». Serve una mafia più rassicurante che non abbia il volto di Totò Riina. Una mafia più simpatica, più pettinata e, all’occorrenza, anche politicamente corretta. 

Gli «assassini» di Paolo Borsellino si trovano presto. Dopo pochi mesi. Per quasi vent’anni alcuni di loro marciscono in carcere. Poi tornano in libertà. È un falso pentito quello che li ha accusati, l’indagine è stata avvelenata per portare tutti lontano dalla verità. Come sempre, in Italia

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