Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Paolo Borsellino e sull’attentato di via d’Amelio a trent’anni di distanza.


Le due auto blindate del magistrato imboccano via Sampolo, proseguono in via Ammiraglio Rizzo e svoltano a tutta velocità su via Mariano D’Amelio. Giuseppe Graviano aspetta che le due macchine si fermino davanti al palazzo. Poi schiaccia il pulsante.

Alle 16.58 e 20 secondi il procuratore salta in aria con i cinque poliziotti della sua scorta. I resti di Emanuela Loi, pezzi di carne insanguinata, finiscono appiccicati al quinto piano sulla parete dell’edificio. Morti anche Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina.

La prima notizia Ansa viene battuta alle 17.16: «Un attentato dinamitardo è avvenuto a Palermo nei pressi della Fiera del Mediterraneo. Vengono richieste ambulanze da tutti gli ospedali. Secondo le prime indicazioni della polizia, sembra che sia rimasto coinvolto nell’attentato un magistrato»

La seconda Ansa è delle 17,47: «Secondo le prime notizie fornite dalla polizia, nell’attentato di Palermo sarebbe rimasto ferito il giudice Paolo Borsellino».

La terza esce alle 18.14: «Il giudice Paolo Borsellino è rimasto ucciso nell’attentato».

Fumo, urla, fiamme, sirene, terrore. Cinquantasei giorni dopo Capaci, hanno ammazzato anche Paolo Borsellino.

Tornano i ministri a Palermo. Tornano anche le rivendicazioni della Falange Armata.

La zona dell’attentato non viene recintata. Una folla di curiosi avanza fra i rottami delle due auto blindate e i copertoni che ancora bruciano. C’è qualcuno che prende in mano un parafango, chi rovista fra i sedili delle auto, chi calpesta la carcassa della Croma del magistrato. Non c’è protezione della scena del crimine.

Fra i resti delle auto blindate si aggirano centinaia di uomini. In divisa e in borghese. Ci sono magistrati, poliziotti, carabinieri, giornalisti, avvocati, tantissimi palermitani attirati dal fuoco.

Nello scompiglio c’è però qualcuno che si muove con freddezza. Sa che deve trovare qualcosa lì in mezzo: la borsa di cuoio di Paolo Borsellino. E un’agenda rossa. Un’agenda di pelle con lo stemma dell’Arma dei carabinieri stampato sulla copertina.

C’è un uomo che apre il portabagagli della Croma del magistrato, la blindatura ha risparmiato tutto quello che si trovava al suo interno. La borsa di Paolo Borsellino è intatta. Passa di mano in mano, poi finisce in quelle di un capitano dei carabinieri e ancora in quelle di qualcun altro. Alla fine sparisce. L’agenda dove Borsellino segnava ogni suo pensiero dal giorno della morte di Giovanni Falcone, è ormai al sicuro. Nelle mani di chi non vuole fare sapere certi segreti.

La borsa di cuoio viene subito consegnata ai familiari di Paolo Borsellino. Non manca niente. Sigarette. Fogli di interrogatorio. Oggetti personali. C’è tutto tranne quell’agenda rossa.

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