Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alla relazione antimafia del 1976 scritta da Pio La Torre e dal giudice Cesare Terranova. Un documento che a circa cinquant’anni di distanza rimane ancora attuale.

È necessario rispondere agli interrogativi relativi al perché e al come avviene l'incontro fra la nuova leva mafiosa e di tipo urbano e la nuova leva di uomini politici dei partiti governativi che avanza sulla scena pubblica dopo la crisi del blocco agrario e che provoca la cadute del governo Restivo nel 1956.

Quando, ad esempio, sa fa la biografia di Ciancimino come caso emblematico, bisogna rispondere a questo interrogativo: da dove è venuto e come è potuto accadere? Bisogna qui fare l'analisi del processo di sviluppo economico, e, parallelamente, di quello politico.

Per quanto riguarda la Democrazia cristiana, dopo il congresso di Napoli del 1954, che vede la vittoria della linea Fanfani, prevale la concezione integralistica, per cui in provincia di Palermo l'onorevole Gioia passa dalla linea restiviana di alleanza soltanto elettorale e governativa con forze di destra che erano espressione organica di cosche mafiose, ma che restavano distinte e separate dal partito democristiano, ad una concezione che mirava ad assorbire all'interno della DC quelle stesse forze.

Non che Restivo disdegnasse il passaggio nelle file della DC di noti esponenti del blocco conservatore: vogliamo ricordare il caso del professor Lauro Chiazzese (ex dirigente del Pli, diventato segretario regionale amministrativo della DC).

Ma Restivo come suo metodo fondamentale tendeva a mantenere una distinzione del blocco di forze più parassitario (la Cespa, il gruppo parlamentare degli ex fascisti e qualunquisti, è uno dei capolavori dell'onorevole Restivo, quando era Presidente della Regione: 7 deputati regionali che costituivano un gruppo parlamentare al servizio del Presidente della Regione).

Con l'avvento di Gioia prevale invece l'orientamento di costringere le forze ex liberali e monarchico-qualunquiste ad entrare nella DC. La relazione che la Federazione comunista di Palermo ha mandato alla Commissione antimafia elenca le persone che fino al 1956 erano state esponenti, consiglieri comunali, deputati regionali e parlamentari nazionali del Partito monarchico e del Partito liberale e che, via via, passano con tutto il loro codazzo alla DC: da Di Fresco, attuale presidente della Provincia di Palermo, ad Arcudi e Cerami, che sono tuttora senatori della Repubblica, ai fratelli Giganti, uno assessore al Comune e l'altro alla Provincia, ai Guttadauro padre e figlio, uno assessore al Comune e l'altro alla Provincia, a Pergolizzi, e così via.

Le cosche mafiose, che erano portatrici della forza elettorale di questi personaggi erano confluite nella Dc con alla testa i boss mafiosi delle varie zone di Palermo: Paolino Bontà, Vincenzo Nicoletti, Pietro Torretta, La Barbera, Greco, Gambino, Vitale eccetera. Lo stesso accadde in decine di comuni della provincia: cosche mafiose ex-liberali, ex-separatiste (le cosche, in provincia, erano ex-liberali ed ex-separatiste) confluirono nella Dc.

L’omicidio di Almerico

L'episodio di Camporeale possiamo definirlo un infortunio sul lavoro, nel senso che a Camporeale la morte di Almerico è un incidente. In numerosi altri comuni l'immissione delle cosche mafiose nelle sezioni della DC avvenne pacificamente pur tra resistenze, contraddizioni, espulsioni, ritiri sotto la tenda di esponenti democristiani, cattolici e democratici, che non accettavano questa immissione nel loro partito delle forze legate alla mafia.

A Camporeale la resistenza ferma e tenace del professor Almerico provocò la reazione violenta del boss Vanni Sacco nei termini che sappiamo.

E l'onorevole Giovanni Gioia, segretario della DC a Palermo, non batté ciglio e proseguì imperterrito nell'opera di assorbimento delle cosche mafiose nella DC.

C'è da rilevare che dopo il primo dibattito svoltosi nella Commissione veniva presentato dal Presidente un nuovo testo della relazione. Constatammo, con sorpresa, che erano state aggiunte delle pagine biografiche riguardanti alcune persone del mondo politico ed economico siciliano che non figuravano nella prima stesura e che non avevano nessun rapporto col fenomeno mafioso.

Si tratta dal deputato socialista Salvatore Fagone, dell'avvocato Vito Guarrasi e dell'ingegnere Domenico La Cavera. Tali nomi erano stati indicati a fini diversivi dai commissari della destra fascista.

Si trattava quindi e si tratta di un evidente cedimento a forze di destra e a gruppi interessati a intorbidire le acque. Successivamente il Presidente accettava di depennare dalla rosa dei nuovi nomi quello del deputato socialista Fagone mentre, pur negando che avessero alcun legame con la mafia e pur ridimensionando i rilievi precedentemente fatti, ha voluto lasciare nella sua relazione gli altri due nomi.

Intanto, come dimostreremo più avanti, La Cavera rappresenta la borghesia imprenditoriale siciliana che tenta di opporsi alla politica dei grandi gruppi monopolistici e rimane schiacciata. Diverso il caso Guarrasi che è il tipico professionista abituato a rendere i suoi servizi ad alto livello tecnico e professionale. Ma come lui ci sono decine di uomini in Sicilia.

La differenza fra Guarrasi e gli altri consiste nel fatto che Guarrasi ha reso servizi anche alle sinistre. Ecco perché si infierisce contro di lui e non contro gli altri che più organicamente e stabilmente hanno espresso il sistema di potere mafioso: il notaio Angilella, il notaio Margiotta, l'avvocato Orlando Cascio, il professor Chiazzese, il professor Scaduto, l’avvocato Noto Sardegna, l'avvocato Cacopardo, eccetera. Ma qui l'obiettivo è più ambizioso. 

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