Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, tocca al racconto della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo.

Le emergenze processuali evidenziano in modo incontestabile che tutti i progetti di attentato ai danni di Giovanni FALCONE di cui si è detto sopra trovavano la loro causa nell’attività giudiziaria svolta da quest’ultimo, attività che era stata incessantemente volta a contrastare il dilagare del fenomeno mafioso, le cui propaggini si erano estese a vari settori del tessuto politico, economico e sociale non solo a livello regionale, settori sui quali esercitava un perverso effetto inquinante.

Man mano che il magistrato approfondiva le proprie indagini su tale fenomeno, che in Palermo storicamente coincideva con l’attività dell’associazione criminale denominata COSA NOSTRA, acquistava sempre più precisa consapevolezza del fatto che le innumerevoli e multiformi manifestazioni illecite di matrice mafiosa che costituivano oggetto dei vari procedimenti da lui istruiti non rappresentavano altro che le diverse sfaccettature di un’unica realtà, quella appunto riconducibile a COSA NOSTRA. Giovanni FALCONE aveva compreso che non operava sul territorio palermitano una molteplicità di autonome organizzazioni criminali più o meno ampie di tipo mafioso, di volta in volta tra loro contrapposte o alleate, ma che, invece, almeno nel momento storico a partire dal quale il Magistrato aveva svolto la propria analisi operativa, esisteva un organismo unitario e strutturato in modo verticistico, alla cui base vi erano le diverse articolazioni territoriali, le “famiglie”, che controllavano una porzione di territorio comprendente uno o più quartieri in ambito metropolitano ovvero un paese o una frazione in ambito extraurbano e che poi si raccordavano in organismi più ampi e centralizzati, i mandamenti, costituiti da almeno tre “famiglie” operanti su territori limitrofi, che a loro volta erano rappresentati nella commissione provinciale di Palermo, composta di norma da un esponente (che a partire da un certo momento storico si identificava con il capo) per ogni mandamento.

Stante il carattere unitario e fortemente centralizzato di tale realtà criminale, Giovanni FALCONE avvertì che la dispersione delle energie investigative negli infiniti rivoli dei diversi procedimenti scaturenti da ogni singola attività illecita posta in essere da COSA NOSTRA avrebbe comportato il conseguimento di risultati assolutamente inadeguati rispetto sia agli sforzi profusi che all’entità del fenomeno da contrastare ed avrebbe, inoltre, impedito di cogliere gli aspetti più inquietanti di tale fenomeno, quelli cioè che non si manifestano all’esterno con il clamore dell’episodio omicidiario o comunque violento ma che costituiscono, invece, il prodotto di una silente e sotterranea attività di acquisizione di spazi di potere e di risorse economiche sempre più ampi. Attività questa che non si esprime necessariamente nelle forme di una fattispecie delittuosa e che anche quando ciò avviene non è facilmente percepibile dall’esterno senza indagini mirate che non possono prendere le mosse da una specifica “notitia criminis”, spesso mancante, bensì dall’analisi accurata delle linee di tendenza del fenomeno complessivo.

La nascita del pool antimafia

Da questa comprensione delle caratteristiche del fenomeno mafioso e delle esigenze investigative atte a contrastarlo nasce l’elaborazione del “metodo FALCONE”, cioè delle tecniche di indagine più appropriate per l’acquisizione di elementi probatori che potessero dimostrare in modo inoppugnabile le responsabilità degli affiliati di COSA NOSTRA, ponendo fine al mito della sua invincibilità. Venne così costituito presso l’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo un “pool” di magistrati, incaricato di seguire tutte le indagini sulla criminalità di stampo mafioso. Ciò rispondeva non solo all’esigenza di una suddivisione del rischio, atta a tutelare maggiormente l’incolumità del singolo magistrato, maggiormente esposto a pericolo quando è l’unico depositario di un importante patrimonio di conoscenze, ma anche ad agevolare quella circolazione delle conoscenze (senza il timore di fughe di notizie che possono avere effetti assai negativi) tra tutti coloro che si occupavano di indagini di mafia che è premessa indispensabile per una migliore comprensione del fenomeno complessivo. Essendo, infatti, unitaria la realtà criminale che da origine alle varie manifestazioni illecite, ne consegue che ogni delitto di COSA NOSTRA non può essere considerato, a differenza degli altri reati, un episodio a se stante, ma bensì come l’anello di una lunga catena, traendo esso causa dai fatti precedenti ed a sua volta creando le premesse per quelli successivi. Solo in tale visione unitaria è possibile trovare le chiavi di lettura per la ricerca delle causali del singolo delitto e per individuare gli spunti investigativi più utili all’accertamento delle responsabilità personali degli autori del crimine predetto. L’accentramento delle indagini di mafia in un unico “pool” e la circolazione delle notizie al suo interno consentivano, pertanto, all’Ufficio giudiziario di cui Giovanni FALCONE era uno dei principali motori di non disperdere nessuno dei tasselli emergenti dalle molteplici attività investigative svolte e di ricomporli in un mosaico meno incompleto e, quindi, di interpretazione meno complessa.

Nello svolgimento di tale attività investigativa Giovanni FALCONE attribuiva particolare importanza alle indagini di carattere patrimoniale ed economico, e ciò non solo perché convinto del fatto che per intaccare il potere di COSA NOSTRA fosse indispensabile “impoverirla”, confiscare cioè le sue enormi disponibilità finanziarie, ma anche perché riteneva fondatamente che ad una ricerca tecnicamente corretta fosse più facile rinvenire le ingenti ricchezze accumulate da questa organizzazione nello svolgimento delle sue attività illecite piuttosto che le altre tracce materiali dei reati commessi. Da qui il suo certosino lavoro di ricerca, che non trascurava neanche i dettagli apparentemente insignificanti, per ricostruire i numerosi passaggi attraverso i quali COSA NOSTRA è solita occultare i flussi economici provenienti dalle sue attività, avvalendosi di una molteplicità di canali non solo in ambito nazionale. E Giovanni FALCONE, consapevole di tale realtà, ebbe cura di allacciare anch’egli proficui rapporti di lavoro con le autorità giudiziarie di vari Paesi, tra cui la Svizzera, sede tradizionalmente privilegiata per il transito o il deposito di attività finanziarie bisognose di occultare le proprie origini per la sua legislazione particolarmente rigorosa nella tutela del segreto bancario, nonché gli Stati Uniti d’America, ove esiste una COSA NOSTRA altrettanto organizzata e potente con la quale quella isolana svolgeva la sua attività più redditizia, quella del traffico internazionale della droga, come già si è detto sopra.

Giovanni FALCONE avvertiva, quindi, l’esigenza di una collaborazione internazionale delle indagini contro il fenomeno mafioso, il quale non conosceva da parte sua le barriere nazionali e che si avvantaggiava, invece, di quelle poste dagli Stati, che rendevano più difficoltose dette indagini. Il Magistrato cercò di sopperire a tali difficoltà allacciando una rete personale di contatti con alcuni dei più validi inquirenti dei predetti Paesi e di numerosi altri, apportando nel lavoro comune il prezioso bagaglio della sua straordinaria esperienza e del suo acume, che gli valsero la stima incondizionata dei suoi colleghi, che sopravvive alla sua morte e ricevendo da loro importanti informazioni ed utili suggerimenti che arricchirono ulteriormente il suo patrimonio di conoscenze.

Elemento caratterizzante di questa suo così intenso lavoro investigativo è stato costituito dalla ricerca scrupolosa del dato probatorio certo, in mancanza del quale ogni ipotesi accusatoria è destinata a rimanere un mero teorema, come tale privo di qualsiasi validità nelle aule giudiziarie e l’attività inquirente, lungi dal conseguire i suoi obiettivi, non fa che rafforzare il “prestigio” dell’associazione mafiosa.

Le indagini giudiziarie

I metodi di lavoro elaborati da Giovanni FALCONE trovarono la loro più emblematica ed efficace applicazione nell’indagine, nel corso della quale vennero progressivamente affinati, sfociata nel maxiprocesso di Palermo nei confronti dei più autorevoli esponenti di COSA NOSTRA, indagine che finì per abbracciare i più disparati settori di attività illecita di questa organizzazione, dagli omicidi alle estorsioni, al traffico della droga, agli intrecci politico-affaristici, ai reati contro l’amministrazione della giustizia e così via.

Come risulta dalle sentenze del più corposo troncone in cui venne separata la predetta attività istruttoria, noto come il primo maxiprocesso di Palermo a COSA NOSTRA, il procedimento in questione prese l’avvio dal rapporto congiunto del 13 luglio 1982 della Squadra Mobile della Questura di Palermo e del Nucleo Operativo dei Carabinieri di Palermo, con cui venivano denunciati GRECO Michele ed altre 160 persone, quali responsabili di vari reati, tra i quali numerosi omicidi commessi nell’arco temporale intercorrente tra il 23 aprile 1981, giorno in cui venne ucciso BONTATE Stefano ed il 17 aprile 1982, data dell’omicidio di CORSINO Salvatore.

A seguito di tale rapporto la Procura di Palermo emetteva nel luglio del 1982 vari ordini di cattura per i reati di associazione per delinquere aggravata e di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e dopo la formalizzazione dell’istruttoria il Giudice istruttore adottava nei confronti dei medesimi imputati già colpiti dagli ordini di cattura, oltre ottanta, il mandato di cattura n. 343/82 del 17 agosto 1982, mentre procedeva a piede libero nei confronti degli altri indiziati indicati nel rapporto. Venivano, quindi, riuniti tutti i procedimenti già pendenti per i fatti denunciati nel rapporto e si disponevano indagini bancarie e patrimoniali nei confronti degli indiziati.

Successivi rapporti del 14 settembre, 11 e 23 ottobre 1982 e del 24 marzo 1983 della Squadra Mobile di Palermo ampliavano l’oggetto delle indagini ai gruppi mafiosi operanti nelle borgate di Ciaculli, di Corso dei Mille e della Kalsa, mentre ulteriori ampliamenti derivavano dalla trasmissione all’Ufficio istruzione di Palermo da parte di quello di Trento, a seguito di declaratoria di incompetenza del 20.1.1983, di un procedimento per traffico internazionale di droga nei confronti dei fratelli GRADO, dei fratelli FIDANZATI e di TOTTA Gennaro, relativo ai traffici di stupefacenti operati nella piazza di Milano negli anni ’79 ed ’80 dalle predette “famiglie”, nonché all’acquisto da parte dei GRADO presso fornitori turchi di morfina base, che veniva poi da loro trasportata in Sicilia per la trasformazione in eroina.

Venivano, altresì, acquisiti i rapporti della Guardia di Finanza del 23.10.1982 e del 10 e del 22 marzo 1983, relativi agli accertamenti fiscali e patrimoniali compiuti nei confronti di imprese facenti capo al gruppo dei GRECO, di AIELLO Michelangelo ed al gruppo di BONURA, BUSCEMI e PIAZZA.

L’1 marzo 1983 iniziava a collaborare con l’A.G. CALZETTA Stefano, presentatosi al posto di Pronto Soccorso di via Roma a Palermo, che oltre alla cattura di alcuni latitanti, forniva utili indicazioni sul gruppo mafioso degli ZANCA, al quale egli era vicino, nonché sulle attività illecite delle “famiglie” VERNENGO, TINNIRELLO, MARCHESE ed altre. Il 6 maggio 1983, mentre era in corso l’interrogatorio del CALZETTA da parte del Giudice istruttore di Palermo, un attentato dinamitardo distruggeva una fabbrica di proprietà dei fratelli del CALZETTA, che poco tempo dopo interrompeva la lucida collaborazione sino ad allora intrapresa. Sulla scorta delle dichiarazioni del CALZETTA e delle attività di indagine il Giudice istruttore emetteva il mandato di cattura n. 237/83 del 31 maggio 1983 nei confronti di GRECO Michele + 124 per reati associativi.

Poco dopo un barbaro attentato poneva fine alla vita del Consigliere istruttore Rocco CHINNICI, che sino ad allora si era personalmente occupato del ramo principale dell’inchiesta.

E, tuttavia, la perdita di un così valoroso Magistrato non arrestava l’attività dell’Ufficio Istruzione di Palermo, che in data 8 agosto 1983 emetteva i mandati di cattura nn. 372/83 e 373/83 nei confronti delle persone accusate dal CALZETTA di omicidi ed altri delitti.

Veniva, inoltre, acquisito il rapporto della Squadra mobile di Palermo del 4 luglio 1983, relativo all’arresto di TESTA Giuseppe, trovato in possesso a Bangkok di una valigia contenente kg 1,7 di eroina, episodio questo che da successivi accertamenti risultava collegato ad un più vasto traffico di sostanze stupefacenti condotto dalla “famiglia” mafiosa dei MARCHESE.

Di notevole rilievo era l’arresto in Spagna di AZZOLI Rodolfo, che interrogato in sede di rogatoria internazionale a Madrid il 17 novembre 1983 non solo confermava i rifornimenti da parte della famiglia GRADO di morfina base acquistata dai turchi e trasformata in eroina nei laboratori siciliani, ma forniva altresì ulteriori spunti investigativi che portavano ad accertamenti bancari presso l’agenzia del Banco di Bilbao di Benidorm (città in cui si era riscontrata la presenza di vari esponenti di COSA NOSTRA, tra cui i fratelli GRADO), da cui emergeva che a partire dall’ottobre del 1980 su di un conto corrente intrattenuto presso quell’agenzia erano stati effettuati numerosi versamenti per un ammontare complessivo di diverse centinaia di milioni di pesetas su ordine di varie banche svizzere di Lugano, Berna e Zurigo e che inoltre lo AZZOLI aveva acquistato diversi immobili dal novembre del 1981.

Ulteriori indagini bancarie sui conti correnti ed i libretti di deposito a risparmio di pertinenza di GRADO Giacomo presso la succursale n. 16 della Sicilcassa di Palermo consentivano di accertare con prove documentali che su tali conti erano state accreditate somme dell’ammontare di circa 25 miliardi di lire.

Venivano ancora acquisiti nel corso delle indagini elementi probatori da cui emergevano rapporti tra COSA NOSTRA e le “famiglie” napoletane dei NUVOLETTA, ZAZA e BARDELLINO nel traffico di droga e nel contrabbando dei tabacchi lavorati esteri.

Con provvedimento del 21.3.1984 veniva riunito il procedimento nei confronti di MARCHESE Filippo + 36, imputati di reati associativi, omicidiari ed altro, a seguito delle dichiarazioni rese da SINAGRA Vincenzo del 1956, tratto in arresto il 12.8.1982 e che aveva iniziato a collaborare con l’A.G. dal 12.11.1983, fornendo utili indicazioni in ordine alle vicende criminali che avevano interessato in particolare la “famiglia” di MARCHESE Filippo di Corso dei Mille e consentendo la scoperta della c.d. camera della morte, sita nei locali di Piazza S.Erasmo, ove gli affiliati si riunivano per interrogare, torturare ed uccidere le proprie vittime. All’interno di quel covo si rinvenivano armi, munizioni, esplosivi e circa g. 900 di eroina, nonché delle corde con cappi ed un bastone, sui quali erano presenti sostanze pilifere appartenenti a vari soggetti. Sulla scorta delle dichiarazioni del SINAGRA e delle conseguenti indagini il Giudice istruttore aveva emesso nell’ambito del procedimento poi riunito il mandato di cattura n. 71/84 del 29.2.1984 contro SINAGRA Vincenzo + 23, imputati tra l’altro di vari omicidi, tra cui quello del perito del Tribunale di Palermo GIACCONE Paolo, commesso in quella città l’11 agosto 1982.

In data 2.4.1984 il Giudice istruttore emetteva altro mandato di cattura, recante il n. 111/84, nei confronti di GRECO Michele + 12 per gli omicidi commessi tra il Natale del 1982 ed il 16 marzo 1983 nel quadro della sistematica attività di sterminio attuata dalla fazione vincente di COSA NOSTRA ai danni di familiari e di persone comunque vicine a BUSCETTA Tommaso ed a GRECO Giovanni, inteso “Giovannello”.

Gli intoccabili esattori Salvo

In data 19.4.1984 il Giudice istruttore sentiva nella qualità di indiziato SALVO Antonino, esattore di Salemi.

Frattanto nuovi filoni investigativi erano stati aperti grazie alla collaborazione avviata tra le autorità inquirenti di Palermo e degli U.S.A. di cui si è già detto, riguardanti imponenti traffici di eroina tra la Sicilia e Stati Uniti ed i relativi dati probatori acquisiti consentivano il 9 aprile 1984 un’operazione condotta simultaneamente dalle Polizie dei due Paesi che portava all’arresto di numerose persone indagate nell’inchiesta nota come “Pizza Connection”. Dopo gli interrogatori di rito, gli atti venivano trasmessi al Giudice istruttore di Palermo, che in data 22.5.1984 ne disponeva la riunione al processo principale.

Importanti elementi probatori venivano, altresì, forniti dalle indicazioni rese da CONIGLIO Salvatore in merito ad un rilevante traffico di eroina e cocaina tra Palermo ed alcune città del Nord, tra cui Milano. Un altro procedimento trasmesso per competenza dall’A.G. di Roma e riunito a quello principale con provvedimento del 2.5.1984 era quello instaurato a conclusione di approfondite indagini del Nucleo Centrale di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Roma, sfociate nel rapporto del 17.11.1983, riguardante l’attività illecita svolta dal clan dei FERRERA, intesi “cavadduzzu”, appartenenti alla “famiglia” catanese di COSA NOSTRA facente capo a SANTAPAOLA Benedetto ed attivi in un traffico di stupefacenti sulla piazza della Capitale nonché in un più vasto traffico di stupefacenti che aveva i suoi canali di approvvigionamento di hashish, morfina ed eroina nel Medio Oriente ed era collegato a “famiglie” mafiose del Palermitano. In tale ambito di indagini si inquadravano l’arresto a Parigi all’aeroporto di Orly il 10.11.1981 di GASPARINI Francesco, trovato in possesso di Kg 4,5 di eroina purissima, divenuto poi collaboratore della Giustizia, nonché le chiamate in correità operate dal cittadino tailandese KOH BAK KIN, grosso esportatore di eroina, da THOMAS Alan, organizzatore di una rete di corrieri della droga, da DE RIZ Pietro e da DATTILO Sebastiano, inteso il “nano”.

Il 14 luglio 1984 si verificava, intanto, un evento importante per l’ulteriore sviluppo delle indagini, e cioè il rientro in Italia di BUSCETTA Tommaso, a conclusione di un lungo iter procedurale per l’estradizione dal Brasile, ove il BUSCETTA era stato tratto in arresto il 15.12.1983. Quest’ultimo, ormai posto al di fuori dell’organizzazione COSA NOSTRA e ricercato dai corleonesi, avversari delle persone a lui più vicine, e cioè BADALAMENTI Gaetano e SALOMONE Antonino , anch’essi “posati”, nonché BONTATE Stefano e INZERILLO Salvatore, entrambi uccisi, dopo aver subito anche la perdita di numerosi congiunti per mano dei corleonesi, decideva di iniziare la sua collaborazione con l’A.G. a partire dal suo interrogatorio del 16 luglio 1984. Il BUSCETTA meglio degli altri collaboratori sino ad allora esaminati, dato il diverso spessore della sua posizione all’interno di COSA NOSTRA, riusciva a fornire un quadro preciso delle regole che disciplinavano il funzionamento di questo organismo, del suo organigramma interno e delle ragioni che avevano portato alla c.d. seconda guerra di mafia (termine questo che egli rifiutava, in quanto rappresentava che non si era trattato di un conflitto dichiarato tra “famiglie” mafiose rivali, bensì un’attività di sterminio posta in essere in modo pressoché unilaterale da una fazione ai danni di quella opposta) che aveva insanguinato le vie di Palermo dall’aprile del 1981. Nel frattempo approfondite indagini bancarie consentivano di scoprire una negoziazione di titoli per circa 600 milioni da parte di impiegati della S.A.T.R.I.S. S.p.A., nonché il riciclaggio di ingenti quantitativi di dollari statunitensi. La struttura di COSA NOSTRA delineata dalle rivelazioni del BUSCETTA e confermata dalle approfondite indagini che nel corso di quegli anni erano state svolte dal “pool” antimafia nel quale operava Giovanni FALCONE portava all’emissione del mandato di cattura n. 323/84 del 29.9.1984 nei confronti di ABBATE Giovanni + 365 per reati associativi ed altri delitti contestati in ben 321 capi di imputazione, che costituiva una tappa assai significativa dell’attività d’indagine condotta a così largo raggio per tanti anni e nel quale trovava piena espressione in un provvedimento giudiziario la consapevolezza della realtà essenzialmente unitaria di COSA NOSTRA, che superava le precedenti erronee concezioni del fenomeno mafioso come un coacervo di bande criminali fra loro autonome. A breve distanza di tempo dall’emissione di questi provvedimenti restrittivi, che colpivano al cuore per la profondità dell’analisi il mondo della criminalità mafiosa, quest’ultimo subiva un’ulteriore sconvolgimento con l’avvio della collaborazione con l’A.G. il 16.10.1984 di CONTORNO Salvatore, elemento di spicco della “famiglia” mafiosa di Santa Maria di Gesù e detenuto dal 23.3.1982. Il CONTORNO, confermando nella sostanza le dichiarazioni del BUSCETTA in ordine alle regole di funzionamento ed alle dinamiche interne di COSA NOSTRA, apportava ulteriori e più aggiornati elementi di conoscenza sull’organigramma dell’associazione e su alcuni delitti dalla medesima posti in essere. Le dichiarazioni dei predetti, inoltre, unitamente agli elementi acquisiti sulla base di indagini bancarie, intercettazioni telefoniche, prove documentali e dichiarazioni di altri testi fornivano preziosi elementi di conoscenza in ordine all’attività di collegamento svolta dai cugini SALVO Antonino e SALVO Ignazio per conto di COSA NOSTRA con centri di potere politico-affaristici. Nei confronti dei predetti veniva, pertanto, emesso in data 12.11.1984 il mandato di cattura n. 390/84 per reati associativi. Ulteriori indagini istruttorie venivano avviate, sulla scorta delle dichiarazioni rese all’A.G. da BONO Benedetta e COLLETTI Vincenzo, rispettivamente amante e figlio del rappresentante della “famiglia” di Ribera COLLETTI Carmelo, in precedenza assassinato, nonché sulla base di intercettazioni telefoniche disposte dalla Procura della Repubblica di Agrigento, in ordine ai collegamenti intrattenuti dal SANTAPAOLA con elementi di spicco di COSA NOSTRA della Sicilia occidentale, come il predetto COLLETTI Carmelo - che nel corso di intercettazioni ambientali effettuate in Canada presso la latteria di VIOLI Paul veniva indicato quale capomandamento facente parte della commissione di Agrigento - come FERRO Antonio, rappresentante della “famiglia” di Canicattì (Ag) e AGATE Mariano, indicato dal CONTORNO quale rappresentante della “famiglia” di Mazara del Vallo, insieme al quale il SANTAPAOLA era stato controllato in territorio di Campobello di Mazara il 13.8.1980. In data 8 novembre 1985 veniva depositata la monumentale sentenza – ordinanza di rinvio a giudizio, nel quale trovava la sua più compiuta espressione l’analisi del “modus operandi” e dei settori delle attività illecite svolte da COSA NOSTRA nel periodo interessato dalla complessa attività investigativa condotta da Giovanni FALCONE e dagli altri magistrati del “pool” antimafia diretto dal Consigliere istruttore Antonino CAPONNETTO. In proposito può affermarsi senza tema di plausibile smentita che lo straordinario salto di qualità che era stato così impresso alla conoscenza di COSA NOSTRA dall’incalzare delle indagini e delle emergenze processuali e dall’affinamento del metodo investigativo che di pari passo si andava realizzando nell’ambito della predetta attività istruttoria avrebbe costituito per tutti gli operatori giudiziari e per le forze di polizia impegnati nel contrasto alla criminalità mafiosa un imprescindibile punto di riferimento per l’ulteriore lavoro di approfondimento e di aggiornamento della conoscenza di questa realtà criminale. Ma i risultati conoscitivi a quel tempo raggiunti avrebbero, altresì, ispirato la migliore produzione legislativa in tema di misure contro il fenomeno mafioso, perché essendo state concretamente individuate l’essenza unitaria della più pericolosa tra le associazioni criminali aventi tale natura e le proteiformi modalità attraverso cui essa si arricchisce e si potenzia, intrecciando perversi legami con alcuni settori del mondo politico – istituzionale e della società civile, indubbiamente diveniva più agevole la scelta dei mezzi idonei a debellare tale fenomeno.

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