L’allarme del rapporto Istat su bullismo e cyberbullismo. Più vittime al nord e tra i maschi, specie se stranieri. Alla presentazione dei dati, la ministra Roccella e il ministro Valditara parlano del modello Caivano, di “caf” per la famiglia e del nuovo nome dell’esame di stato. Zan (Pd): «È proprio questo governo a osteggiare l’educazione alle differenze a scuola»
Sul contrasto al bullismo e al cyberbullismo il governo ha le idee chiare e la dottrina pronta, e per darne prova tira in ballo il modello Caivano e il controllo parentale. E così, in nome della santa alleanza tra famiglia e scuola, la soluzione alla drammaticità del malessere giovanile passa esclusivamente attraverso le reti parentali e laddove queste non ci sono, attraverso i “caf” per la famiglia, un cambio di denominazione in programma per l’esame di stato che ritorna a essere “l’esame di maturità”, e una non ben chiara “cultura del rispetto”. Ma basta intendersi sull’idea escludente di famiglia dell’attuale esecutivo, e il paradigma è già noto.
Per la ministra della famiglia, Eugenia Roccella, «alla fine si torna sempre alla famiglia» e la rete parentale è la «prima comunità educante ed è protettiva». Non è un caso che al Sud ci sia un po’ meno tendenza al bullismo perché «probabilmente ancora resistono le reti parentali», cioè cugini, fratelli, zii e questo, spiega la ministra, «crea una sorta di rete di protezione per un bambino, un giovane. Mentre al Nord, soprattutto nelle grandi città, questa rete è smagliata».
I dati del rapporto
L’occasione per sgranare i fondamentali sulla famiglia è la presentazione, questa mattina, nella sala stampa di Palazzo Chigi, del report dell’Istat su bullismo e cyberbullismo nei rapporti tra giovani. Da cui emerge che il fenomeno è più diffuso al Nord rispetto al Sud e colpisce maggiormente i maschi rispetto alle femmine.
Nel 2023 il 68,5 per cento dei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni dice di essere stato vittima di almeno un comportamento offensivo, non rispettoso o violento, online o offline. Il 21 per cento dichiara di essere rimasto vittima di bullismo, ossia di aver vissuto questi comportamenti in maniera continuativa (più volte al mese), mentre l’8 per cento più volte a settimana. Secondo l’Istat, oltre il 14 per cento dei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni hanno subito offese e insulti più volte al mese e un giovane su 10 è stato vittima di esclusione con frequenza anche maggiore.
E se per i maschi il bullismo si manifesta soprattutto attraverso offese e insulti (16 per cento rispetto al 12,3 per cento delle femmine), l’impatto dell’esclusione per le ragazze è superiore al 12 per cento (contro l’8,5 per cento riscontrato tra i maschi).
Tra i ragazzi stranieri, il 26,8 per cento dice di avere subìto comportamenti offensivi, non rispettosi e o violenti con una cadenza più che mensile contro il 20,4 per cento riscontrato tra i coetanei italiani. Rumeni e ucraini i più bullizzati, con il 29,2 per cento e 27,8 per cento rispettivamente. Anche in termini di esclusione e emarginazione si registrano oltre 4 punti in più tra gli stranieri.
La famiglia come soluzione
Stando ai dati, le parole che fanno la differenza rispetto al resto sono “esclusione” e (non) “integrazione”. Sulle quali né la ministra Roccella né il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, anch’egli presente, hanno speso alcuna attenzione.
«Non è che vogliamo tornare alle reti parentali se non ci sono, quello che vogliamo fare è cercare di sostituirle in qualche modo con un “welfare di prossimità”», sostiene la ministra Roccella. E continua: «Noi abbiamo pensato a questi centri per la famiglia, su cui abbiamo investito quest’anno 50 milioni, e su cui vogliamo continuare a investire nei prossimi tre anni, creando una rete molto meglio distribuita sul territorio, con compiti più precisi e facendo di questi centri una sorta di “caf” per la famiglia, che offrono servizi ma sono anche un hub che illustrano ai cittadini i servizi per la famiglia presenti nel loro territorio, e di cui spesso non sono a conoscenza».
«Noi non vogliamo sottrarre competenze alla famiglia» dice la ministra. «È fondamentale un’alleanza scuola-famiglia, non un trasferimento di responsabilità». «Questo l’abbiamo fatto con il decreto Caivano, lo abbiamo fatto con tutti gli interventi, anche per esempio con il parental control».
Valditara ha ricordato l’introduzione della cultura del rispetto come tema trasversale nei programmi scolastici di educazione civica, e ha aggiunto: «Abbiamo distribuito 2 milioni di euro alle scuole per il fondo permanente contro il cyberbullismo. E stiamo formando i docenti».
Ma, per Ernesto Caffo, presidente di Telefono Azzurro, «tutto questo deve farci riflettere, ma soprattutto deve spingere le istituzioni e il Parlamento a impegnarsi maggiormente per affrontare queste grandi sfide». Aggiungendo che i dati rivelati da Istat presentano un fenomeno allarmante, ma parziale perché «è evidente che sono in fortissimo aumento tutte le forme di cyberbullismo e di violenza digitale in rete».
«Il governo contro l’educazione alle differenze»
Contattato da Domani, Alessandro Zan, europarlamentare e responsabile Diritti della segreteria del Pd, dice: «Oggi, davanti ai dati allarmanti sul bullismo e sul cyberbullismo, il governo si dice preoccupato. Ma poi, invece di assumersi responsabilità, le solite dichiarazioni: per la ministra Roccella è colpa delle famiglie, per il ministro Valditara sono i cellulari a stimolare l’aggressività. Peccato che sia proprio questo governo, ogni giorno, a sdoganare un linguaggio d’odio contro le persone più vulnerabili, le differenze, le fragilità. Dicono di aver fatto tanto, ma continuano a diffondere fake news sul gender e a osteggiare ogni proposta seria di educazione all’affettività e alle sessualità. Invece di agire concretamente per prevenire davvero il bullismo, si preferisce agitare paure, fare campagne ideologiche e cercare capri espiatori. Se l’odio lo semini ogni giorno nei talk show e nei banchi del governo, poi cresce anche tra i ragazzi».
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