Insulti ai giornalisti che si occupavano di lui e una richiesta di processo avanzata dalla procura di Roma. La posizione giudiziaria e pubblica di Marcello Minenna è sempre più pesante anche se, nelle ultime ore, l'ex potente direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli in quota M5s, ha ottenuto la revoca degli arresti domiciliari. La misura cautelare era stata disposta dal giudice per le indagini preliminari, Massimo De Paoli, su richiesta della procura di Forlì che lo indaga per corruzione insieme all'ex onorevole leghista, Gianluca Pini. Minenna così si potrà difendere da uomo libero, ma le contestazioni dei magistrati emiliani non sono le uniche grane giudiziarie che lo riguardano.

Domani aveva raccontato l'indagine della procura di Roma che lo vede coinvolto per i reati di calunnia e minaccia. L'inchiesta, nei giorni scorsi, ha fatto un passo avanti visto che i magistrati hanno chiesto il processo per l'imputato eccellente, da ultimo assessore nella giunta di centrodestra in Calabria. L'udienza preliminare, nella quale il giudice dovrà decidere sulla richiesta dei pubblici ministeri, si terrà il prossimo venti novembre.

L'accusa di calunnia

La vicenda romana ruota attorno al rapporto tra l'allora capo assoluto dell'Agenzia delle dogane e un dipendente, Miguel Martina, che è la parte offesa. Sul dipendente si erano concentrati sospetti e, perfino, una denuncia depositata presso la procura, ma la ricostruzione effettuata dagli investigatori ha convinto i pubblici ministeri ad agire contro Minenna che accusava il suo dipendente.

Le contestazioni nei confronti del manager grillino, in ottimi rapporti anche con Massimo D'Alema e Goffredo Bettini, sono pesanti visto che per il reato di calunnia si rischiano dai 2 ai sei anni di carcere. Iniziamo dalla prima accusa, Minenna avrebbe minacciato Martina per fargli rivelare notizie coperte da segreto istruttorio e atti coperti da indagine. Siamo nel 2020 e, in quel periodo, il dipendente aveva fatto diversi accessi nella banca dati perché stava indagando sull’approvvigionamento di mascherine da parte della Protezione civile. Accessi autorizzati e richiesti dall’autorità giudiziaria che stava, e ancora indaga, su possibili irregolarità nelle forniture di dispositivi di protezione. Nell'Agenzia delle dogane, Minenna si muoveva come un padrone, voleva tutti a disposizione e supini alle sue richieste. «Abusando della sua qualità e dei suoi poteri usava minaccia, intesa quale prospettazione di un male ingiusto, per costringere Martina a compiere atti contra ius», si legge nella richiesta di rinvio a giudizio. In pratica, Minenna pretendeva dal suo dipendente la rivelazione di notizie coperte dal segreto istruttorio, sia relative agli approfondimenti in corso sull'Agenzia, ma anche sugli eventuali dipendenti coinvolti.

L'allora manager, fortemente voluto da Beppe Grillo e Luigi Di Maio, per indurre a parlare il suo dipendente, intimava «al dott. Canali (vicedirettore dell'Agenzia delle dogane) di licenziarlo e, successivamente, al rifiuto di quest'ultimo, chiedendo al diretto superiore del Martina, dott.Brosco (che rifiutava) di revocargli tutte le password». Alla fine l'operazione di fare terra bruciata attorno a Martina aveva portato al suo spostamento all'ufficio giochi procurandogli un «male ingiusto».

Ma Minenna, secondo gli inquirenti, avrebbe fatto anche altro, condotte che hanno fatto scattare l'accusa di calunnia. Avrebbe indotto in errore Maurizio Montemagno, direttore generale dell’agenzia, che contro Martina aveva, perfino, presentato una denuncia per accesso abusivo alla banca dati così da incolparlo falsamente «pur sapendolo innocente». L’accusa era quella di aver effettuato interrogazioni ai terminali senza alcuna autorizzazione, ma Minenna sapeva che il dipendente operava perché autorizzato dall'autorità giudiziaria.

Gli insulti a Domani

Inizialmente l'impero di Minenna era impenetrabile, ma è venuto giù appena i suoi fedelissimi lo hanno abbandonato non eseguendo le sue richieste. Come Alessandro Canali, che ha rifiutato di licenziare Martina, e che è stato lui stesso cacciato dall’Agenzia, il quale ha presentato per altre vicende un esposto contro Minenna. Il livore nei confronti di Canali emerge dalle intercettazioni disposte dalla procura di Forlì. «Canali è quello che ho cacciato, il mascalzone», diceva Minenna al telefono con l'ex ministro Vincenzo Visco.

L'obiettivo degli strali di Minenna non era solo chi non aveva eseguito i suoi ordini, ma anche i giornalisti. Leggendo l'informativa della squadra mobile di Forlì emergono altri ascolti nei quali Minenna prende di mira il nostro quotidiano e l'attuale direttore, Emiliano Fittipaldi, che nel 2021 aveva dedicato alcune inchieste al potente manager, caro ai grillini e poi accolto a braccia aperte dal centrodestra. «È giusto rimasto quel coglione di Fittipaldi, lui e le sue stronzate», diceva. La conversazione continuava con Minenna che parlava di «articolo delirante» e Visco che rispondeva: «no, non è delirante, è un articolo scritto solo per far male (…) ma senza, senza nessun indizio di reato», prima di consigliargli prudenza.

L'informativa, come anticipato da un articolo del quotidiano Il Giornale, riportava anche altro, «Visco ricorda a Minenna la "raccomandazione" per il figlio di Biasco affinchè questi superi la procedura concorsuale pubblica per entrare in Agenzia delle Dogane. Minenna risponde di aver già provveduto in merito», scrivono gli inquirenti. Nell'indagine è coinvolto solo Minenna che ha ottenuto la revoca dei domiciliari, l'annullamento della misura cautelare è stata disposta dal tribunale della Libertà di Bologna, dopo il ricorso della difesa, avvocati Gianluca Tognozzi e Roberto D'Atri). L'indagine contesta un accordo illecito tra l'ex politico, Pini, che avrebbe dovuto accreditare Minenna negli ambienti della Lega di Matteo Salvini, in cambio dell'asservimento della funzione pubblica del manager pubblico. Un'indagine che ora ha subito un primo stop con l'annullamento della misura cautelare.

© Riproduzione riservata