L'intervento, definito da procuratore Tescaroli «straordinario per dimensioni e necessità», è parte di un'indagine che sta svelando un sistema criminale esteso e ramificato nonostante le precedenti azioni repressive. Si indaga per estorsione, violenza privata, traffico di stupefacenti, detenzione di armi improprie e introduzione di telefoni, attraverso un particolare meccanismo di approvvigionamento
Una delle più imponenti operazioni mai condotte in un carcere italiano ha preso forma nelle ultime ore, a partire dalle 23 di venerdì 21 novembre, all'istituto penitenziario "La Dogaia" di Prato. Un contingente di circa 800 agenti e militari ha dato esecuzione al decreto di perquisizione e sequestro disposto dalla procura diretta da Luca Tescaroli. I controlli hanno coinvolto l’intera struttura: celle, aree comuni e reparti di alta e media sicurezza e semiliberi.
L'intervento, definito dal procuratore Tescaroli «straordinario per dimensioni e necessità», si inserisce in un'indagine che sta svelando un sistema criminale esteso, ramificato e frammentato, capace di permeare la quotidianità della struttura carceraria nonostante i precedenti interventi repressivi. Il decreto ha riguardato 564 detenuti, dei quali 29 sono attualmente indagati per un ampio ventaglio di reati: estorsione, violenza privata, traffico di stupefacenti (cocaina, hashish, eroina, metanfetamine), introduzione illecita di telefoni in carcere, detenzione e porto di armi improprie.
La procura ha deciso di estendere le perquisizioni all'intero istituto non solo per la vastità delle violazioni riscontrate, ma anche per la loro capacità di «irradiarsi» tra sezioni e reparti. Le condotte illecite, inizialmente circoscritte ad alcune aree - in particolare le sezioni quinta, sesta, ottava e decima - hanno infatti trovato terreno fertile negli spostamenti dei detenuti lavoranti, dei semiliberi e di chi gode di permessi, oltre che nelle potenziali connivenze di alcuni operatori penitenziari, ancora in fase di verifica.
L'indagine, si legge nel comunicato di Tescaroli, si confronta con un fenomeno criminale pulviscolare: una miriade di micro-episodi, apparentemente autonomi ma interconnessi, che insieme hanno generato un circuito illegale estremamente resistente ai normali interventi repressivi.
Negli ultimi mesi erano già stati effettuati controlli all’interno dell’istituto penitenziario, nell’ambito dell’indagine avviata dalla procura nel luglio 2024 sul traffico di droga e telefoni cellulari. Il 28 giugno erano stati sottoposti a verifica 127 detenuti, con l’impiego di 263 operatori. La prima parte dell’inchiesta si è chiusa a luglio: risultano coinvolti 33 detenuti e sono stati rinvenuti 41 telefoni introdotti nei reparti di alta e media sicurezza.
Droga, telefoni e armi
Gli inquirenti hanno ricostruito un articolato meccanismo di approvvigionamento di droga, telefoni e armi. La catena iniziava spesso all'esterno, dove soggetti liberi o detenuti in permesso reperivano lo stupefacente, per poi introdurlo in carcere attraverso tecniche sempre più sofisticate: droni equipaggiati con lenze da 20 metri, capaci di depositare pacchi direttamente alle finestre delle celle prive di rete anti-lancio; ovuli occultati nel corpo da parte di detenuti che rientravano dai permessi: solo il 31 ottobre 2025 ne sono stati scoperti 27, contenenti oltre 180 grammi tra cocaina e cannabis; involucri lanciati oltre il muro del perimetro: l'ultimo sequestro del 19 novembre ha restituito telefoni pronti all'uso e oltre 230 grammi di hashish e cocaina; familiari che tentavano di introdurre stupefacenti nascosti negli indumenti o in alimenti durante i colloqui; spedizioni postali camuffate in pacchi o cibo.
Un capitolo a parte riguarda la gestione illecita dei telefoni cellulari: nelle varie sezioni risultavano attivi 17 Imei e 21 utenze telefoniche riferibili a detenuti, sebbene molti dei dispositivi non siano ancora stati ritrovati. Gli investigatori ritengono che uno di questi telefoni permetta a più reclusi di aggiornare profili TikTok direttamente dalla cella. Non meno importante il ruolo della struttura di accoglienza "Jacques Fes" di via Pistoiese, considerata dagli inquirenti una vera base logistica per l'approvvigionamento della droga destinata ai detenuti permessanti.
La violenza su altri detenuti
L'indagine ha documentato anche un clima di violenza sistematica. Numerosi detenuti sarebbero stati costretti, con minacce e aggressioni, a farsi carico del trasporto della droga dall'esterno. Tra gli episodi più gravi ricostruiti: l'aggressione dell'8 aprile 2025, quando un detenuto fu picchiato con calci e pugni in volto per convincerlo a introdurre stupefacenti al rientro dal permesso; quella del 16 maggio 2025, in cui un altro fu ferito con un punteruolo rudimentale a braccio e inguine; un episodio estorsivo nella sesta sezione, dove un recluso sarebbe stato minacciato di morte per imporre un ulteriore pagamento di 1.000 euro oltre la somma pattuita per l'acquisto di cocaina.
La pressione psicologica e fisica su alcuni detenuti è stata tale da spingerne sei a rompere il muro di omertà e collaborare con gli investigatori, ottenendo specifiche misure di tutela. La procura, in tal senso, invita tutti i detenuti vittime di soprusi a denunciare, assicurando protezione e riservatezza. Dal luglio 2024 a oggi, le diverse operazioni hanno portato al sequestro oltre un chilo di hashish, 163 grammi di cocaina, 4,61 grammi di eroina, 0,66 grammi di anfetamine, 49 telefoni cellulari e diversi router.
Il valore della droga all'interno del carcere raggiunge cifre esorbitanti. Un collaboratore ha riferito di aver pagato 500 euro per appena 0,7 grammi di cocaina, cifra impensabile sul mercato esterno, ma resa possibile dall'altissimo rischio del trasporto e dalla forte domanda interna.
Le investigazioni hanno evidenziato una serie di interventi considerati ormai indispensabili: installazione di telecamere aggiuntive; reti anti-lancio su tutte le finestre per impedire la ricezione dei pacchi consegnati dai droni; sistemi anti-drone e vigilanza armata continua per presidiare dall'esterno il perimetro aereo del carcere; schermature per impedire la connessione a internet o alle reti cellulari dall'interno; controlli radiologici sistematici sui detenuti permessanti. Misure costose ma, secondo la procura, non più rinviabili. Per il procuratore Tescaroli è essenziale ripristinare condizioni di legalità e sicurezza e affermare una presenza dello stato «visibile, coordinata e determinata» a fronte di un fenomeno criminale che ha assunto dimensioni eccezionali.
© Riproduzione riservata


