Lavoratori non pagati, due impiegati in nero, l’ombra delle false fatture e le condizioni dei centri di accoglienza.

Sono questi i quattro fronti aperti che riguardano le cooperative Karibu e consorzio Aid, operanti nel sud del Lazio e gestite da Liliane Murekatete e Marie Terese Mukamitsindo, moglie e suocera del deputato Aboubakar Soumahoro, dell’Alleanza verdi e sinistra.

Tutto questo sembra trovare conferma in un dossier realizzato dopo un’ispezione di una parlamentare, avvenuta in uno dei centri nel 2019.

Chi sono gli accusatori?  A che punto è l’indagine della procura di Latina?

Partiamo dall’indagine giudiziaria. La procura di Latina ha confermato l’esistenza di un’indagine e ha delegato la Guardia di finanza che deve approfondire il quadro economico e quanto finora emerso.

Di certo c’è che da un controllo dell’ispettorato del lavoro sono risultate due posizioni lavorative prive di contratto.

Un’altra indagine, il secondo filone d’inchiesta, è seguito dai carabinieri che indagano a partire dal ritrovamento in strada, nei pressi della sede legale di Karibu, di 8 sacchi neri con dentro documenti contabili e schede degli immigrati. Materiale che racconta una gestione confusionaria delle cooperative.

Un altro capitolo da approfondire è il trattamento riservato agli ospiti delle strutture e in particolare ai minori che hanno raccontato al sindacato Uiltucs le condizioni degradanti (per il cibo e la qualità delle strutture) nelle quali hanno vissuto in questi mesi.

I mancati pagamenti

Il sindacato che ha sollevato il polverone è la Uiltucs, grazie al lavoro svolto dal segretario provinciale Gianfranco Cartisano.

«La nostra battaglia ha come obiettivo quella di far pagare gli stipendi ai lavoratori, parliamo di 400 mila euro di arretrati, nel mese di luglio abbiamo convocato le cooperative presso l’ispettorato del lavoro, ci sono dipendenti che hanno mensilità in ritardo anche di 22 mesi, in quella sede abbiamo condiviso un piano di rientro che non è stato rispettato. Così abbiamo coinvolto la prefettura», dice Cartisano.

Quanto riferito dal sindacalista corrisponde al vero, ma bisogna precisare che gli enti territoriali erano in ritardo con i pagamenti previsti dall’appalto per ragioni legate a una rendicontazione incompleta da parte delle cooperative e per i ritardi cronici della pubblica amministrazione.

Così è intervenuta la prefettura, guidata da Maurizio Falco, che una settimana fa ha convocato le parti per garantire la legalità, il rispetto dei diritti dei lavoratori e dei migranti.

Alla fine la prefettura ha versato circa 50mila euro a quattro dipendenti rimasti senza stipendio e contemporaneamente ha sollecitato gli altri enti locali in ritardo con i versamenti.

In tutto questo, però, 22 dipendenti, che si sono nel frattempo dimessi, sono ancora senza salario e sono in credito per una cifra che ammonta a circa 360 mila euro.

Il dossier del 2019

La cooperativa Karibu è nata nel 1999 dall’iniziativa di cinque rifugiati e con il tempo ha iniziato a occuparsi di migranti.

Nel bilancio sociale c’è la parabola di questa realtà del terzo settore, a partire dal sostegno dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, nel 2004, al primo progetto avviato con il finanziamento del ministero dell’Interno: una casa famiglia per donne richiedenti asilo.

Ma è solo l’inizio: Karibu e il consorzio Aid sono diventate presto un riferimento nel settore. Negli anni hanno avviato un centro per minori non accompagnati, una struttura residenziale per donne, una casa per famiglie con bambini, un manuale delle buone prassi nella gestione dei migranti politici.

Ma poi ci sono i progetti con la regione Lazio, finanziati dall’Europa, dai comuni e in collaborazione con enti e associazioni.

Una parabola nell’olimpo dei buoni che rischia di fermarsi davanti agli otto sacchi neri, ai lavoratori non pagati e alle parole dei minori raccolte dal sindacato.

Cosa dicono gli ospiti delle strutture? Le loro testimonianze sono state tradotte e inviate tramite messaggio, riferiscono di cibo di scarsa qualità, di assenza di acqua ed elettricità. Testimonianze che vanno riscontrate e bisogna aspettare le verifiche che la prefettura ha condotto, nelle scorse settimane, per avere un quadro chiaro delle condizioni degli edifici.

Le ombre sulla gestione delle cooperative di famiglia del deputato risalgono a qualche tempo fa, quando circolava un dossier diffuso dopo la visita di una parlamentare in uno dei centri gestito dalla cooperativa Karibu.

Il dossier, risalente al 2019, riferiva una situazione al limite della decenza. «La struttura risulta sporca con parti al limite del fatiscente. Dai pavimenti con radici che divelgono il pavimento, soffitti con macchie evidenti di muffa, malfunzionamento della caldaia a pellet, sporco generale e gli esterni (ci sono tettoie con presenza di eternit) tenute quasi a discarica», si leggeva.

Poi si parlava di ospiti con scarpe sporche di fango come se fossero stati impegnati in lavoro nei campi, per chiudere così: «Se la gestione strutturale e sanitaria sembrano essere lasciate al caso, anche quella economica lascia perplessi».

Cosa dice il deputato

La moglie e la suocera del deputato non sono indagate, lui non ha alcun ruolo nelle società, ma abbiamo contattato l’esponente politico per chiedergli di esprimere una posizione sulle questioni emerse, senza ricevere risposta.

Lei era a conoscenza dei mancati pagamenti dei salari da parte delle cooperative gestite da sua moglie e da sua suocera?

Due suoi ex compagni di sindacato denunciano che non hanno mai avuto contezza della destinazione dei soldi alla lega braccianti, potrebbe fornire spiegazioni?

Il deputato ha affidato ai social la sua risposta minacciando querele. «Falso!  Non c’entro niente con tutto questo e non sono né indagato né coinvolto in nessuna indagine dell’arma dei carabinieri, di cui ho sempre avuto e avrò fiducia. Non consentirò a nessuno di infangare la mia integrità morale. Per questo, dico a chi pensa di fermarmi, attraverso l'arma della diffamazione e del fango mediatico, di mettersi l’anima in pace.  A chi ha deciso, per interessi a me ignoti, di attaccarmi, dico: ci vediamo in tribunale!», scrive.

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