Per identificare la fonte della notizia dell’incontro tra Matteo Renzi e l’allora dirigente dei servizi segreti, Marco Mancini, la procura di Roma ha acquisito i tabulati telefonici di due giornalisti di Report. In particolare di Sigfrido Ranucci, che conduce il programma e dirige la squadra di cronisti, e dell’autore del servizio, Giorgio Mottola.

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Lo confermano a Domani autorevoli fonti giudiziarie vicine all’inchiesta sull’insegnante, colpevole secondo l’accusa di aver inviato le foto e i video dell’incontro in autogrill tra Renzi e Mancini. La donna è indagata per diffusione e registrazione fraudolente. Questo perché da cittadina ha filmato l’incontro tra i due personaggi pubblici nell’area di sosta di Fiano Romano (provincia di Roma) il 23 dicembre 2020. Fonti giudiziarie confermano inoltre che la signora non ha alcun legame con gli apparati di sicurezza, a differenza di quanto ipotizzato dai renziani e dall’ex presidente del consiglio. I magistrati, pur riconoscendo che Report ha lavorato con la fonte nella massima trasparenza, sono convinti che un comune cittadino non possa riprendere due persone per strada e poi veicolare le immagini alla stampa. 

Di certo, però, la questione è delicata. Setacciare i tabulati telefonici dei giornalisti vuol dire monitorare i contatti degli ultimi mesi avuti dai cronisti. Vuol dire entrare nella rete di relazioni di un’intera redazione. Ed entrare in possesso di un numero notevole di possibili fonti in rapporto con i cronisti durante quelle settimane. Il che viola la segretezza della fonti, che sono sacre per ogni giornalista e tutelate peraltro dalla giurisprudenza europea.

E allora perché farlo? «I giornalisti hanno giustamente opposto il segreto professionale e non hanno voluto rivelare le fonti», spiegano dalla procura di Roma, «così i tabulati erano l’unico modo per individuare la persona che aveva recapitato le immagini dell’incontro tra Renzi e Mancini». 

Nessun ripensamento, quindi, da parte di chi indaga sull’insegnante dei video. Una vicenda che ricorda in qualche modo quanto accaduto a Trapani nell’indagine sulle Ong: i magistrati avevano ascoltato le telefonate di diversi cronisti impegnati sul fronte migranti e in Libia. In un caso era stata messa sotto intercettazione anche una giornalista seppure mai indagata. A Roma nel caso Renzi-Mancini non ci sono intercettazioni, ma solo l’acquisizione dei tabulati, cioè l’analisi delle telefonate in entrata e in uscita dei giornalisti in un determinato arco temporale. L’effetto, tuttavia, è identico: mettere a rischio l’identità e la sicurezza delle fonti, non solo della donna che ha filmato Renzi, ma di molte altre che in quel periodo erano in contatto con la redazione del programma di Rai 3. Anche perché questi atti ufficiali confluiranno nel fascicolo a disposizione delle parti, anche quindi di chi ha denunciato Report.

Segreto di stato

Nei giorni scorsi Renzi aveva protestato perché Elisabetta Belloni aveva posto il segreto di Stato sulla vicenda. In realtà il vincolo non è stato messo sull’incontro in autogrill, ma sul funzionamento degli apparati di sicurezza di cui lei era a capo. 

«Va decisamente escluso, senza timore di smentita, che qualcuno possa aver opposto il segreto di Stato sul rapporto fra la mia assistita ed i servizi di informazione e sicurezza giacché tale asserito collegamento, ipotizzato esclusivamente dal senatore Matteo Renzi, era ed è del tutto inesistente», è stata la risposta di Giulio Vasaturo, l’avvocato che difende l’insegnante del video inviato a Report.  Il legale dell’insegnante presenterà entro venti giorni una memoria articolata, contestando le ipotesi della procura. Come prima cosa cercherà di spiegare che l’incontro Renzi-Mancini non è un meeting privato, ma pubblico tra due personaggi pubblici in un luogo pubblico. 

Attacco alle fonti

L’indagine della procura di Roma è nata da una denuncia di Renzi, in cui peraltro il politico ipotizzava tutt’altra fattispecie di reato e non quello contestato ora all’insegnante dalla procura. C’è da dire che non c’è una norma che impedisce alla procura di acquisire i tabulati e indentificare la fonte. I magistrati hanno rispettato la legge, ovviamente. Ma su questo la difesa della donna darà battaglia. Da quanto risulta a Domani chi difende la donna sta pensando a un passo ulteriore: l’ipotesi di porre una questione di legittimità costituzionale dell’atto di visione dei tabulati, ritenuto enorme e sproporzionato. 

Il metodo utilizzato dai pm romani solleva parecchie perplessità tra i rappresentanti della stampa. Beppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale della stampa italiana, ha scritto su Twitter: «Chi e perché Chi è perché avrebbe acquisito i tabulati telefonici per controllare fonti di Report? Si tratta di una questione di assoluta rilevanza per il diritto di cronaca». Ora sappiamo come sono andate le cose. E la domanda è sempre la stessa: è lecito scavare tra i contatti dei giornalisti per scovare una fonte? Nessuna legge lo vieta espressamente, ma questo demolisce ogni tutela sulla protezione delle fonti. L’atto dei pm farà discutere e non solo in Italia. 

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