Tra novembre e marzo la nebbia è una costante più o meno fissa nella Bassa Pianura Padana. Ci sono abitanti della zona che non la vedono come un’ospite indesiderata, piuttosto cercano di carpirne i lati affascinanti, quando possibile, tipo quelli magistralmente descritti da fuoriclasse della penna come Giovannino Guareschi e Gianni Brera.

Quando parliamo di Bassa Pianura Padana intendiamo una terra di campagna, composta prevalentemente da argilla, sabbia e ghiaia, piuttosto impermeabile: in certi periodi dell’anno la nebbia e l’umidità sono solo una naturale conseguenza che abbraccia silenziosamente campi e paesini, soprattutto dopo una giornata fredda e soleggiata.

Pandino è una piccola cittadina al confine tra il territorio cremonese e quello bergamasco. È nel cuore di quest’area da novemila anime che scorre il fiume Tormo, un torrente che nasce da numerosi fontanili naturali che lo alimentano durante tutto il suo corso. La sua acqua purissima, filtrata da argilla, sabbia e ghiaia, è perfetta per l’allevamento degli storioni, pesci dalla carne pregiata conosciuti soprattutto per l’oro nero prodotto con le loro uova: il caviale.

Non è un caso se Alessandro Giovannini alla fine degli anni Cinquanta ha scelto proprio Pandino per mettere le radici della Salmo Pan, l’azienda che oggi produce Adamas, uno dei caviali più pregiati del mondo: «Anche se qui inizialmente si allevavano solo trote», precisa Sergio Nannini, dal 2013 a guida dell’azienda cremasca insieme a Matteo Giovannini. «Il cambio di rotta in favore dello storione e della produzione di caviale è arrivato all’inizio degli anni Duemila, quando questo pesce è diventato una specie in via d’estinzione a causa della pesca intensiva che ha ridotto drasticamente la sua popolazione nel Mar Caspio e nel Mar Nero».

Il segreto sta (quasi) tutto nella felice intuizione di Alfredo Giovannini, la seconda generazione della famiglia alla guida della Salmo Pan: «Siamo stati tra i primi a pensare al caviale, e questo ci ha dato un enorme vantaggio rispetto al resto del mercato mondiale perché dovete sapere che la specie di storione più veloce impiega sette anni a deporre le uova; la più lenta anche vent’anni», spiega Nannini: «Se oggi l’Italia è il secondo produttore al mondo di caviale è proprio perché è stato uno dei primi paesi a puntare su questo tipo di fish farming».

Tra i più pregiati 

In effetti pochi lo sanno, ma questo prodotto di lusso associato a posti lontani come Russia, Iran e Cina, in realtà è molto più vicino a noi di quel che pensiamo. L’Italia, con una produzione di 65 tonnellate annue, è il secondo paese al mondo per lavorazione di caviale, secondo solo alla Cina per quantità ma non per qualità: è doveroso sottolineare infatti che in Italia si punta solo su razze autoctone di storione che regalano un caviale inimitabile, cosa che spesso e volentieri non avviene in Cina dove l’utilizzo di pesci ibridi (che fanno uova molto più velocemente) è all’ordine del giorno. Le acque della Pianura Padana per anni hanno ospitato numerosissime specie di storione, che era considerato il pesce dei papi già nel Medioevo. Anzi, secondo alcuni storici l’usanza di portare in tavola queste uova pregiate è stata inventata proprio in Italia. A Roma, nella biblioteca Garum che ospita libri storici di cucina, è esposto Il Platina, una pubblicazione di Bartolomeo Scappi datata 1475: all’interno è presente anche una ricetta a base di storione e si parla anche di «uova di storione condite, salate, che prendono il nome di caviare». A Ferrara, invece, Cristoforo di Messisbugo nel suo Libro novo nel qual s’insegna a far d’ogni sorte di vivanda (1557) descriveva nel dettaglio la ricetta del «caviaro per mangiare, fresco, o per salvare» (per la conservazione). La particolarità di questo prelibato caviale ferrarese, che lo rende differente da tutti gli altri, stava nella cottura. Anche Leonardo da Vinci, sul finire del 1400, pare abbia donato delle uova nere pregiatissime a Beatrice d’Este. 

La Lombardia, in particolare, è uno dei territori perfetti per crescere lo storione e per ricavare il caviale: «Noi ne confezioniamo circa 10 tonnellate all’anno», spiega Nannini. «Il 70 per cento della nostra produzione finisce all’estero: fino allo scoppio del conflitto con la Russia, l’Ucraina era il nostro principale mercato; oggi esportiamo soprattutto in Francia, Germania, Spagna, Hong Kong e Giappone. Ma sta crescendo in maniera esponenziale anche la richiesta negli Stati Uniti».

A Calvisano 

A circa 70 km da Pandino, meno di un’ora d’auto tra Brebemi e A4, c’è Calvisano, altra capitale mondiale “nascosta” del caviale che esporta oro nero in tutto il mondo. Al comando del marchio Ars Italica c’è un’altra famiglia Giovannini, legata da una stretta parentela con quella di Pandino: «Mio padre Giacinto è il fratello di Alfredo di Salmo Pan», ricostruisce John Giovannini, direttore vendite e socio fondatore di Ars Italica: «Sono due dei tredici figli di Alessandro Giovannini, colui che diede il via al primo progetto di acquacoltura in Pianura Padana settant’anni fa. Mio padre faceva l’allevatore di trote e ha cominciato a conservare gli storioni pescati, avviando così un allevamento per la riproduzione. Di fatto quella sua intuizione ha salvato lo storione italiano che stava scomparendo, e dalla fine degli anni Novanta abbiamo iniziato a pensare al caviale».

Dal 2007 è cominciata la vendita del caviale a marchio Ars Italica, nato dal sito di produzione Storione Ticino e dal sito di lavorazione Italian Caviar; mentre il 2008 è stato l’anno della partnership con Agroittica Lombarda, il colosso di Calvisano proprietario del marchio Calvisius che dalla fine degli anni Settanta aveva concentrato la produzione sullo storione Bianco del Pacifico: l’accordo tra queste tre realtà storiche dell’acquacoltura italiana (Storione Ticino, Italian Caviar e Agroittica Lombarda) ha dato origine al più grande allevamento mondiale di storioni che oggi lavora circa 30 tonnellate di caviale all’anno, quasi la metà dell’intera produzione italiana. «Almeno l’80 per cento del nostro caviale viene venduto tra Stati Uniti, Giappone, Medioriente, Francia, Germania, Belgio, Svizzera», spiega John Giovannini. «Un tempo Agroittica aveva anche un collegamento privilegiato con la Russia, ma oggi quel canale è per forza di cose bloccato». Nel 2014 il pregiatissimo caviale di Calvisano è riuscito addirittura ad aggirare l’embargo russo, essendo stato uno dei pochi prodotti rimasto fuori dalla “lista nera” di Putin. Un’eccezione che fa pensare che il caviale lombardo arrivasse anche sulle tavole del Cremlino.

Ma anche se il Belpaese produce una grande quantità di oro nero, tutto di qualità elevatissima, questo prodotto non ha ancora conquistato il cuore dei consumatori italiani. Un po’ per il prezzo (un Beluga di 20-25 anni, la qualità più rara e costosa, può arrivare in alcune selezioni anche a diecimila euro al chilo), un po’ per la scarsa cultura che lo circonda: «Lo comprendiamo», risponde John Giovannini, «del resto noi paghiamo il fatto che la filiera del caviale è rimasta completamente azzerata per più di sessant’anni. Costa tanto? Produrre uova di storione richiede una filiera straordinariamente lunga e complicata, che può durare anni. Un compito così delicato e difficile richiede un prezzo di vendita importante. Ma l’errore è paragonare il caviale al pane o al latte: non dev’essere visto come un alimento quotidiano ma, piuttosto, come un qualcosa di extra ordinario da consumare per occasioni uniche, come un matrimonio, un anniversario o un compleanno».

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