L’avanzata dei Talebani segna per l’Occidente l’epilogo di una fase del conflitto afghano durata vent’anni, con un costo, per le forze di sicurezza internazionali, di più di tremila uomini (di questi circa 2.300 statunitensi) e, nel nostro caso, cinquantatré soldati italiani. Il prezzo pagato dalla popolazione afghana, in termini di vite umane è altissimo, più di 45.000 le vittime, a cui si aggiungono gli oltre 100.000 uomini delle forze di sicurezza afghane.

Per il popolo e le generazioni afghane la guerra è iniziata ancor prima, il 24 dicembre del 1979, quando i reparti dell’Armata Rossa oltrepassarono il confine settentrionale dell’Afghanistan. Da allora il paese ha conosciuto più di 40 anni di varie forme di conflittualità e, in queste ore, le lancette della storia sembrano tornare indietro al 1996, anno in cui i Talebani presero il potere e istituirono l’Emirato Islamico dell’Afghanistan.

Il regime talebano veniva abbattuto, come risposta agli attacchi dell’11 settembre del 2001 e in virtù del sostegno e della copertura offerta dai Talebani al Al – Qaeda, già nel novembre del 2001, in appena due mesi. L’intervento statunitense nell’ambito dell’Operazione Enduring Freedom, il primo atto della Global War on Terrorism (Gwot), attraverso l’impiego combinato di forze speciali, armi di precisione, insieme alle forze locali, diede risultati iniziali eccellenti.

L’efficacia

Il paragone, in termini di efficacia, con la prima fase dell’Operazione Iraqi Freedom condotta contro le forze di Saddam Hussein tra il 19 marzo e il 9 aprile del 2003, risulta ancora oggi paradigmatico per la condotta delle operazioni militari. Seppur con attori e contesti differenti, le immagini dell’avanzata talebana non possono non ricordare, sotto molteplici aspetti, l’offensiva che portò i miliziani del sedicente Stato Islamico a ridosso di Baghdad nel giugno del 2014.

Oggi, in Afghanistan, una dopo l’altra, cadono le capitali provinciali e poco possono fare le forze di sicurezza afghane che, seppure addestrate e capaci di combattere, fintanto che sono state affiancate da forze statunitensi e Nato, vengono abbandonate da autorità politiche inadeguate e corrotte.

L’Afghanistan rischia così di tornare ad esser quello stato fallito e quel santuario del terrore capace di produrre gli attacchi dell’11 settembre se non addirittura l’incubatore di una moltitudine di sigle, tra cui lo Stato Islamico del Khorasan e la rete Haqqani, potenzialmente pronte a compiere, anche grazie all’impiego di nuove tecnologie, molteplici attacchi. In queste ore si discute sulle reali possibilità di successo di quella che è stata definita una “guerra senza fine”.

Appare evidente che non si potesse conseguire un’effettiva stabilizzazione del paese nel momento in cui, nel 2019, le forze statunitensi e della NATO si attestavano a 20.000 unità, a fronte delle 140.000 del 2012. Numeri limitati per un effettivo controllo di un territorio così vasto dove il Pakistan ha potuto proseguire, in assenza di un effettivo controllo della frontiera, la sua guerra per procura e sostenere i Talebani per destabilizzare il precario ordine costituzionale post 2001.

Seppure nella fase iniziale furono conseguiti gli obiettivi strategici di negare libertà di manovra e retroterra alle reti del terrorismo globale, restava il problema di riuscire a consolidare il successo, separando i Talebani dal supporto della gente.

L’Afghanistan, ma prima ancora l’Iraq, impongono una riflessione sulla capacità di supportare dei processi di stabilizzazione e ricostruzione in aree di crisi dove spesso, le istituzioni informali, i signori della guerra e gli attori esterni rappresentano il potere reale con il quale dover trattare.

Il tempo

Se da un lato l’amministrazione Trump dichiarava nel 2019 che le «guerre senza fine devono finire», individuando nel tempo e nella durata un limite alla proiezione all’estero delle forze armate americane, dall’altro le condizioni reali sul terreno e la capacità delle forze di sicurezza e della polizia afghana sono state sovrastimate dall’amministrazione Biden che, a fronte di 83 miliardi di dollari spesi in vent’anni per addestrare 300.000 uomini delle forze di sicurezza afghane, ha confermato il ritiro delle forze statunitensi, dando così ulteriore slancio ai Talebani.Con i Talebani a pochi chilometri da Kabul l’aforisma rivolto alle forze occidentali ed attribuito ad un combattente talebano fatto prigioniero un decennio fa «voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo sembra risuonare in modo sempre più profetico e sinistro, con il rischio di produrre un effetto domino e dar forza a gruppi e milizie armate in altre aree di crisi.

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