A pochi giorni dalle celebrazioni per i dieci anni di pontificato, l'8 marzo papa Francesco si è trovato all'ingresso del Vaticano un suo compatriota, ospite inatteso e per la verità ben poco incline a festeggiare. A chiedere di lui alla Porta Angelica era Sebastián Cuattromo, 46 anni, vittima di un prete pedofilo, accompagnato dalla moglie Silvia Piceda, anche lei sopravvissuta a un abuso sessuale quando era bambina.

I due si sono incontrati a causa del passato comune e si sono innamorati: insieme a una nuova famiglia, nel 2012 hanno costituito Adultxs por los derechos de l'infancia, un'associazione di sopravvissuti agli abusi infantili che si batte per i diritti dei bambini. Una storia, la loro, che testimonia la capacità di trasformare la sofferenza in lotta civile: il papa, però, non si è fatto impressionare e non li ha ricevuti.

«Il reato più impunito della terra»

La coppia sta affrontando in queste settimane un viaggio attraverso l'Europa per rendere visibile quello che definiscono «il reato più impunito della terra», le violenze sui minori: la tappa romana, organizzata grazie all'aiuto della Rete L'Abuso, assume un forte potere simbolico, soprattutto a ridosso del 13 marzo, anniversario dell'elezione del papa. Dieci anni sono una buona occasione per un bilancio e, sul fronte della lotta alla violenza clericale, quello di Francesco è fatto più di ombre che di luci. Durante la conferenza stampa, che si è tenuta il 9 marzo alla sala stampa estera, la coppia argentina ha ribadito l'importanza della denuncia pubblica degli abusi sessuali sui bambini, a fronte di un alto livello di impunità dei colpevoli e del silenzio delle istituzioni.

L'omertà della Chiesa Cuattromo la conosce bene. È stato abusato ripetutamente nel 1989 e '90, quando aveva 13 anni e frequentava il Collegio della congregazione dei Fratelli marianisti a Buenos Aires, da padre Fernando Picciochi, sacerdote e insegnante della scuola. Grazie alla denuncia di Cuattromo e dopo una lunga battaglia giudiziaria, il suo abusatore è stato infine condannato a dodici anni di reclusione nel 2012 per violenza reiterata su minori, una sentenza poi ratificata nel 2016 dalla Corte suprema argentina.

«Picciochi è stato latitante per dieci anni anche grazie a complicità istituzionali – precisa Cuattromo a Domani – viveva sotto falsa identità negli Stati Uniti e per poterlo processare è stato necessario chiedere l'estradizione. L'ordine di cattura internazionale che pendeva su di lui per molto tempo non è stato effettivo a causa di un errore del potere giudiziario e del potere esecutivo in Argentina, errori sospetti che hanno permesso a quest'uomo di rimanere al riparo della giustizia per anni».

Nessuna condanna è arrivata invece dalla Chiesa. Quando Cuattromo nel 2000 denuncia il suo abusatore, il Collegio marianista non solo non vuole riconoscere le proprie responsabilità in quanto istituzione in cui si sono svolti gli abusi, ma propone alle vittime di Picciochi un accordo economico sottobanco purché non raccontino quel che è successo. «I marianisti pretendevano il nostro silenzio in cambio di denaro», dice Sebastián Cuattromo, che rifiuta e riesce alla fine ad ottenere un risarcimento in sede civile.

Freddezza verso le vittime

In quegli anni il cardinale Jorge Bergoglio è arcivescovo di Buenos Aires ma il clima che si respira nella gerarchia cattolica argentina è di freddezza verso le vittime e solidarietà con gli aggressori, se non di vero e proprio insabbiamento. «A metà del 2002, quando il Collegio marianista voleva silenziare le vittime e il mio abusatore era latitante, mi sono rivolto all'arcidiocesi di Buenos Aires, chiedendo di parlare con il cardinale Bergoglio», racconta Cuattromo.

«Sono stato ricevuto da un segretario, padre Martín García Aguirre, e gli ho chiesto esplicitamente se l'arcidiocesi condannasse il tentativo dei Fratelli marianisti di mettere a tacere le vittime. Il segretario mi ascoltò, disse che avrebbe riferito al cardinale e poi mi fece sapere che Bergoglio mi invitava a rivolgermi al vescovo Mario Poli, responsabile del vicariato del Barrio de Flores, che aveva la giurisdizione territoriale sul Collegio».

Monsignor Poli, attuale arcivescovo di Buenos Aires, dopo una serie di colloqui con Cuattromo, gli comunica infine la risposta delle autorità ecclesiastiche: «Mi disse chiaramente che la gerarchia cattolica di Buenos Aires capeggiata da Bergoglio avallava la presa di posizione della scuola – dice Cuattromo – e lo fece in un modo molto arrogante, con la consapevolezza di trovarsi in una posizione di potere rispetto a me, e con una profonda sottovalutazione della gravità del crimine e della sofferenza delle vittime».

Nessuna convocazione

In dieci anni di papato, non sono arrivati gesti di riparazione da parte di Francesco o della conferenza episcopale argentina, che non ha mai convocato pubblicamente le vittime né ha mai istituito una commissione di indagine indipendente. Nonostante la proclamata “tolleranza zero” sugli abusi nella Chiesa, il papa non ha mai fatto nulla di concreto: «Tantissime volte, in questi anni, le vittime in Argentina gli hanno chiesto di partecipare a confronti pubblici – dice Cuattromo – ma Francesco non ha mai risposto, né agli inviti della nostra associazione né alla lettera personale che gli ho scritto nel 2015. Che cosa si può pensare di un papa che ignora le vittime del suo stesso paese?».

Un anno fa, l'ultima richiesta di incontro, fatta pervenire da Cuattromo a Bergoglio tramite la Nunziatura apostolica: nessuna risposta ufficiale ma solo un suggerimento informale, arrivato da una terza persona, che lo invitava a recarsi in Vaticano durante un'udienza generale «per fare il baciamano al papa». Non esattamente il tipo di proposta che le vittime si aspettavano, e che suona quasi come una beffa. Cuattromo ci ha comunque riprovato presentandosi di persona ma il papa, ancora una volta, non gli ha aperto la porta.

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