Nella sua fase più recente, la storia dell’alimentazione americana è dominata da due fenomeni. Il primo, per usare un’espressione coniata da Michael Pollan, è il disordine alimentare nazionale, che vede molti americani ossessionati dall’essere magri. L’esigenza è paradossalmente messa a continuo confronto con il persistente avanzare dei problemi di obesità, nonostante l’onnipresenza di diete alla moda, delle più svariate tipologie. Il secondo è il consumo di un eccesso di alimenti trasformati, anche qui paradossalmente coesistente con il salto di qualità nella disponibilità degli ingredienti e nella raffinatezza culinaria. 

Oggi, gli Usa

Questi due fenomeni hanno viaggiato e continuano a viaggiare su binari paralleli, perché alcuni segmenti della popolazione dipendono sempre di più dal fast food, mentre altri si accostano con convinzione crescente all’ambito della gastronomia sofisticata, al cibo biologico, biodinamico e ‘slow’. Il doppio “paradossalmente” utilizzato nelle righe precedenti, a ben vedere, potrebbe sembrare scorretto. Perché, forse, di paradossale non c’è poi molto: la differenza la fanno la disponibilità economica e l’idea stessa di ricchezza, come l’hanno sempre fatta. 

Tra la fine del medioevo e l’inizio dell’età moderna il sapere medico viveva in stretta connessione con quello alimentare, tanto che per curare i dottori prescrivevano delle diete individuali. Cercavano un equilibrio tra le mancanze che causavano i malanni e la possibilità di introdurre nei corpi qualcosa capace di riempire quei vuoti. Per esempio, i cibi caldi andavano bene per chi aveva un temperamento freddo.

Non sempre, però, i correttivi per rendere un cibo “caldo” erano alla portata del borsellino di tutti. Si pensi a spezie come lo zenzero, che secondo il medico medievale (morto alla fine del XIII secolo) Aldobrandino da Siena aveva la “capacità di aiutare lo stomaco freddo” o  come i chiodi di garofano, che debellavano “la ventosità e i cattivi umori”, causati dal freddo. Zenzero e chiodi di garofano aiutavano inoltre a rendere ottimale la cottura della carne. In quanti, però, potevano all’epoca davvero permetterseli?  

Per di più, questo tipo di convinzioni mediche non comportava affatto un’unità di pensiero, una dieta buona per tutte e per tutti. No, perché la scienza medica divideva l’umanità in due categorie: da una parte chi faceva lavorare la mente (ivi compresi sovrani, nobili e preti), dall’altra chi non aveva che le braccia, fosse un contadino o un povero di città.

Il terzo fattore della buona salute, infatti, oltre a costituzione fisica e dieta era l’attività. Tale modo di ragionare portava a conseguenze di questo genere: il magistrato francese che nello stesso secolo di Aldobrandino da Siena vietava la vendita della carne avariata nelle macellerie pubbliche, nel medesimo provvedimento suggeriva di distribuire quella stessa carne tra i poveri. In quanto abituati a faticare sodo, loro sarebbero riusciti in qualche modo a digerirla. 

Questione d’immagine 

Come si inseriva, in questo discorso, la quantità? La medicina medievale guardava con sospetto alle grandi abbuffate, con una notevole eccezione, però: quella dei re. La rappresentazione del potere maschile del sovrano, derivata principalmente dalla cultura barbarica, non poteva rinunciare ai grandi banchetti e alle enormi bevute: mangiare è anche un fatto sociale, che talvolta deve ignorare le regole della dietetica.

Luigi IX di Francia detto il Santo (che regnò tra 1226 e 1270) era un cristiano devoto e convinto. Le sue biografie insistono sulla capacità di essere moderato anche nelle occasioni ufficiali: seguiva abitualmente i sobri costumi alimentari dei monaci, ma quando il suo rango lo richiedeva partecipava senza indugio ai banchetti, con le sole accortezze di annacquare il vino e rendere insipide le pietanze, sempre con l’acqua. 

Per secoli il simposio fu momento fondamentale di rappresentazione del potere e, di conseguenza, della ricchezza. Ai poveri - quelli più fortunati - erano riservati gli avanzi, regolarmente redistribuiti senza però prestare alcuna attenzione al loro stato di conservazione e alla loro freschezza. Abituati ad avere poco a disposizione, i beneficiati non andavano certo per il sottile. 

Il ribaltamento di questo schema è ai nostri giorni evidente. L’immagine della ricchezza non corrisponde più alla tavola abbondante, anzi. Porzioni piccole, cibi sani e bevande gustate a piccoli sorsi sono i protagonisti del banchetto del Terzo Millennio. Chi non se le può permettere trova spesso rifugio in quel cibo che si menzionava all’inizio: raffinato, pronto al consumo e così a buon mercato da non temere la scarsità. 

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