Sono state 1150 le esecuzioni delle condanne a morte nel 2024, secondo il report di Amnesty International. Le esecuzioni spesso sono usate come strumento di repressione del dissenso e in alcuni casi sono il risultato di pregiudizi razziali. Diverse le violazioni del diritto internazionale. Ma c’è anche una buona notizia
Il numero di esecuzioni della pena capitale nel 2025 sono state 1150, il numero più alto dal 2015, dove il numero ammontava a 1634 persone. Si tratta del 32 per cento in più rispetto al 2023.
È quanto emerge dal report annuale di Amnesty International «condanne a morte ed esecuzioni», che prende in considerazione il periodo gennaio – dicembre 2024.
Nonostante i numeri in crescita, resta comunque un calcolo al ribasso. Tuttavia i paesi nei quali si è registrato il più alto numero di esecuzioni capitali sono tre: Iran, Iraq e Arabia Saudita, responsabili del 91 per cento delle esecuzioni nel 2024. In totale sono 1380 esecuzioni.
Uno strumento per reprimere il dissenso
Nel 2024 la pena di morte è rimasta uno strumento di rilievo utilizzato da diversi governi per esercitare controllo sulla popolazione e reprimere il dissenso, prendendo di mira in particolare i difensori dei diritti umani, i manifestanti, i dissidenti e gli oppositori politici, e avendo un impatto sproporzionato su coloro che appartengono a minoranze etniche o religiose e a contesti socioeconomici svantaggiati.
Amnesty International ha osservato come leader politici abbiano strumentalizzato la pena di morte con il falso pretesto di migliorare la sicurezza pubblica o per seminare paura tra la popolazione.
Negli Stati Uniti, dove le esecuzioni sono in costante aumento dalla fine della pandemia da Covid-19, sono state messe a morte 25 persone, contro le 24 del 2023. Il neoeletto presidente Donald Trump ha più volte invocato la pena di morte nei confronti di «stupratori violenti, assassini e mostri». Le sue dichiarazioni disumanizzanti hanno alimentato la falsa convinzione che la pena capitale abbia un effetto deterrente unico contro la criminalità.
Pregiudizi razziali e discriminazione: il caso Usa
Anche i pregiudizi razziali e la discriminazione hanno avuto un impatto nei casi di pena capitale negli Stati Uniti. Tra questi, quello di Richard Moore, un nero di 59 anni giustiziato nella Carolina del Sud il 1° novembre 2024 per l'omicidio di un commesso bianco di un minimarket avvenuto nel 1999. Al processo, il pubblico ministero ha respinto gli unici due potenziali giurati neri, con il risultato di una giuria composta esclusivamente da bianchi.
Marcellus Williams, un nero di 55 anni, è stato messo a morte in Missouri il 24 settembre 2024 nonostante seri dubbi sulla qualità della sua rappresentanza legale al processo, sulla credibilità dei principali testimoni dell'accusa e sulla gestione delle prove del Dna.
Al suo processo, in una contea con ben noti precedenti di tattiche discriminatorie nella selezione della giuria e significative disparità nell'applicazione della pena di morte, il pubblico ministero ha respinto 6 dei 7 aspiranti giurati neri.
Le violazioni del diritto internazionale
Il sostegno alla pena di morte è stata anche parte di narrazioni infondate e risposte punitive promosse da governi di diversi paesi per porre fine all'uso e al commercio di droghe. I crimini legati alla droga non soddisfano la soglia dei «reati più gravi» a cui l'uso di questa punizione deve essere limitato secondo il diritto e gli standard internazionali; inoltre, l'uso di questa punizione ha continuato a colpire in modo sproporzionato individui appartenenti a minoranze o a contesti socioeconomici svantaggiati.
Di tutte le condanne del 2024, il 42 per cento è stato eseguito illegalmente per reati legati alla droga in quattro paesi (Cina, Iran, Singapore e Arabia Saudita). Durante l'anno, diversi paesi hanno valutato l'introduzione della pena di morte per punire reati legati alla droga, tra cui Maldive, Nigeria e Tonga.
Le violazioni del diritto e degli standard internazionali si riscontrano anche in altri casi, spesso aggravati da restrizioni procedurali che limitano l'ammissione di nuove prove o appelli.
Negli Stati Uniti, Joseph Corcoran, a cui era stata diagnosticata da tempo una schizofrenia paranoide, è stato messo a morte in Indiana il 18 dicembre 2024. Nel 2005, non aveva rispettato la scadenza per firmare una richiesta di revisione post-condanna. I suoi avvocati hanno ripetutamente cercato di far riesaminare il caso, facendo notare che la sua disabilità mentale aveva gravemente influenzato la sua difesa. Ciononostante, le autorità non hanno sospeso l’esecuzione.
l’assenza di dati dalla Cina
La regione Asia e Pacifico continua ad essere l'area con il maggior numero di esecuzioni al mondo, ma segretezza e pratiche restrittive applicate in alcuni paesi hanno reso impossibile per Amnesty International una valutazione accurata.
In particolare, i dati sull'uso della pena di morte sono rimasti classificati come segreto di stato in Cina e fortemente sottostimate rispetto al reale ricorso a questa forma di punizione.
Le autorità continuano a bilanciare la segretezza sulle informazioni sulla pena di morte con rivelazioni occasionali su alcuni casi, apparentemente per far passare il messaggio che il crimine e il dissenso non vengono tollerati.
La pena di morte è stata utilizzata anche per mandare messaggi politici e colpire gli oppositori. Il 5 febbraio, lo scrittore cino-australiano Yang Hengjun è stato condannato a morte (con possibilità di sospensione dopo due anni) con l'accusa di spionaggio al termine di un processo iniquo tenutosi a porte chiuse.
Sempre meno paesi prevedono la pena capitale
Tuttavia, a fronte dell’aumento delle esecuzioni sono sempre di più i paesi che hanno deciso di abolire la pena di morte nei propri ordinamenti nazionali. «La pena di morte è una pratica aberrante che non ha spazio nel mondo di oggi», ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International: «con soli 15 stati ad aver eseguito condanne a morte nel 2024, il numero più basso mai registrato per il secondo anno consecutivo, si conferma la tendenza all’abbandono di questa punizione crudele, inumana e degradante»
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