Nel nostro ordinamento, è possibile sostituire una pena detentiva breve con il pagamento di una somma di denaro, tramutandola così in pena pecuniaria. Una legge del 1981 fissava la cifra minima a 250 euro, per ogni giorno di carcere non scontato.

La Corte costituzionale ha stabilito però che la cifra fissata per legge sia troppo onerosa e produca l’effetto che la commutazione della pena da detentiva a pecuniaria sia «un privilegio per i condannati abbienti».

Per questo la sentenza numero 28 depositata oggi primo febbraio (redattore Francesco Viganò) ha dichiarato la parziale incostituzionalità dell’articolo 53, comma due, della legge numero 689 del 1981, per «violazione dei principi di eguaglianza e finalità rieducativa della pena».

Inoltre, ha fissato un nuovo minimo per giorno di carcere commutato a 75 euro, che corrisponde alla cifra prevista nel caso di decreto penale di condanna. Il decreto penale di condanna, infatti, fa parte dei riti speciali per i quali, in caso di reati a bassa offensività sociale, il condannato non subisca nemmeno il processo e accetti la condanna al pagamento di una somma, chiudendo così il contenzioso.

La Corte ha rilevato che «se l’impatto di pene detentive della stessa durata è, in linea di principio, uguale per tutti i condannati, non altrettanto può dirsi per le pene pecuniarie» che dipendono dalla disponibilità di reddito e patrimonio del singolo condannato. Ha dunque stabilito che il minimo di 250 euro sia sostituito da un minimo di 75 euro, già previsti dalla normativa in materia di decreto penale di condanna.

Rimane inalterato invece l’attuale limite massimo giornaliero di 2.500 euro. La Corte ha sottolineato che il legislatore può, nella sua discrezionalità, individuare soluzioni diverse e, potenzialmente, ancor più aderenti ai principi costituzionali definiti nella sentenza.

Nella prospettiva di un’eguaglianza “sostanziale” e non solo “formale”, la sentenza sottolinea la necessità che il giudice possa sempre adeguare la pena pecuniaria alle reali condizioni economiche del reo, per evitare che risulti sproporzionatamente gravosa. «Una quota giornaliera minima di 250 euro è ben superiore alla somma che la gran parte delle persone che vivono oggi nel nostro paese sono ragionevolmente in grado di pagare».

La questione era stata sollevata dal tribunale di Taranto, che si era trovato davanti al caso di una persona condannata per violenza privata, aveva parcheggiato dell’auto davanti a un passo carrabile, e aveva patteggiato la sostituzione della pena di tre mesi di reclusione. In base alla norma vigente avrebbe dovuto pagare ben 22.500 euro, molto più dei suoi redditi annui.

© Riproduzione riservata