Era il 27 dicembre 2020 quando ho fatto il mio primo turno come vaccinatore volontario. Nella grande hall dell’ospedale di Niguarda si vaccinavano i vip, sotto i riflettori e davanti alle telecamere di tutti i tg nazionali. Nei sei mesi successivi ho continuato a vaccinare, nell’ordine: tutti i dipendenti dell’ospedale, gli ultraottantenni, i soggetti estremamente fragili (trapiantati, neoplastici, dializzati…), gli ultrasettantenni-sessantenni-cinquantenni-quarantenni, i giovani e i giovanissimi. Insieme a me, nei primi giorni, si erano offerti come vaccinatori una ventina di altri medici più o meno recentemente pensionati che avevano lavorato in ospedale per decenni.

Molti erano ex-primari, molti avevano avuto importanti responsabilità cliniche e organizzative, tutti avevamo in comune l’idea che, in quel momento, chiunque potesse dare un contributo dovesse farlo. In fondo lo stato ci passava una buona pensione, avevamo del tempo libero e una professionalità da mettere a disposizione. E poi, per dirla tutta, non ci dispiaceva l’idea di tornare tra le quattro mura dell’ospedale, indossare di nuovo un camice e ritrovarci fianco a fianco con i vecchi amici e colleghi. Col volgere delle settimane il gruppo si sarebbe allargato grazie all’arrivo dei medici assunti con il decreto Arcuri, poi dei medici di medicina generale, e da ultimi degli specializzandi delle più varie discipline, medicina interna e dermatologia, genetica medica e nefrologia, oculistica e ortopedia.

Tutto questo per dire che ho partecipato alla campagna vaccinale da un osservatorio insieme privilegiato ed estremamente variegato, dove competenze, motivazioni e sguardi professionali diversi si sono confrontati con i bisogni e le aspettative di persone altrettanto diverse tra loro nel fisico e nello spirito. Senza alcuna pretesa di completezza vorrei raccontare alcune delle cose che ho visto e le riflessioni che mi hanno suscitato.

Il vaccino, questo sconosciuto

Abbiamo cominciato che c’era solo Pfizer, poi sono arrivati AstraZeneca e Janssen. Moderna c’è sempre stato poco e forse per questo è diventato un mito. Il top di gamma. Il vaccino che hanno fatto a Sergio Mattarella. Non è che per caso ne è avanzata una dose? Le prime indicazioni erano rigorose: AstraZeneca sotto i 55 anni, perché gli studi clinici avevano arruolato solo giovani. Pfizer o Moderna sopra i 55 e a tutte le persone estremamente fragili, elencate in una dettagliata tabella emanata dal ministero della Salute.

La documentazione scientifica a supporto dei contenuti della tabella era e rimane scarsa o inesistente. Semplicemente, si suppone che un vaccino che dà una più alta percentuale di copertura possa essere migliore per chi corre un rischio maggiore in caso di malattia. Ragionevole, ma non dimostrato. Comunque non si può sfuggire a un dubbio: se un vaccino protegge meglio di un altro, perché non farlo a tutti? Per quanto riguarda i possibili effetti collaterali, all’inizio Pfizer e AstraZeneca erano allineati: dolorabilità nel sito di iniezione, stanchezza, febbre, dolori muscolari, mal di testa, nausea. Nulla sul rischio di trombosi. Tanta paura per le possibili allergie, ma pochissimi casi e non gravi. Poi è arrivata la Vitt (trombosi-trombocitopenia indotta dal vaccino) che colpisce un vaccinato ogni 200mila e tutto è cambiato.

Molta confusione per cominciare, anche tra i medici e gli addetti ai lavori. Tutti si preoccupavano per le vene varicose e i contraccettivi orali quando in realtà la Vitt ha una base immunitaria e molto poco a che fare con le trombosi che siamo abituati a incontrare nei nostri ambulatori. Inevitabile però il ribaltone di aprile: Pfizer sotto i 60 e Astra Zeneca sopra. La mancanza di studi clinici sui vaccini a vettore virale nei grandi anziani non preoccupa più. Gli studi clinici non sono più un riferimento. Le decisioni si prendono solo sulla base dei dati epidemiologici e sugli effetti collaterali segnalati (ma forse non sempre) nei milioni di persone che sono state vaccinate. Di nuovo ragionevole, ma a uno sguardo scientifico non del tutto soddisfacente. Intanto si fanno avanti le novità, la vaccinazione eterologa (accreditata sulla sola base della risposta anticorpale in poche centinaia di pazienti), la variante Delta… Nuove incertezze con cui convivere.

Dalla ricerca alla pratica

Durante il turno di vaccinazione in un grande hub milanese avevo impiegato un quarto d’ora a convincere una signora appena sessantenne ad accettare di essere vaccinata con AstraZeneca. «Purtroppo il cittadino non può decidere» avevo concluso. «Se non accetta AstraZeneca l’unica possibilità che ha è quella di rifiutare la vaccinazione e questo, sinceramente, non glielo consiglio». La vaccinazione era stata fatta e la signora si era allontanata ringraziando, anche se ancora piena di dubbi. Non più di dieci minuti dopo, uno dei responsabili aveva fatto il giro dei box dicendo a tutti che le dosi di AstraZeneca erano terminate e che da quel momento fino a fine giornata si sarebbe fatto Pfizer a tutti. Non ho potuto fare a meno di domandarmi a favore di chi mi fossi eretto a difensore a oltranza di regole che potevano poi essere superate senza problemi per meri, anche se comprensibilissimi, problemi organizzativi. Col tempo mi sono convinto che, quando vaccinare il più possibile è l’obiettivo prioritario, bisogna adeguarsi e tollerare qualche strappo alla regola. Fatico però ancora ad accettare che AstraZeneca e Janssen siano registrati per l’uso dai 18 anni in su (anche se con l’indicazione preferenziale per le persone oltre i 60 anni) e che questo abbia consentito di tenere gli “open day vaccinali” dove molti giovani li hanno ricevuti, almeno in un caso subendone gravi conseguenze.

Resta da dire dei medici. Quella varietà di dottori giovani e meno giovani, con diversa formazione e motivazione, che hanno adattato alcune scelte alle proprie convinzioni individuali. Il concetto di soggetto fragile o vulnerabile per esempio è stato allargato a volte ben al di là delle indicazioni diffuse dal ministero. Proporre o sconsigliare la singola vaccinazione a chi avesse fatto il Covid-19 è stata altrettanto spesso una scelta influenzata dalle opinioni e dal sentire dei medici. Lo stesso presidente Mario Draghi non ha aiutato a rinforzare il rispetto delle regole. Dapprima, forse per rassicurare tutti, ha detto che avrebbe fatto l’eterologa. Quando si è accorto di avere superato la settantina e di avere quindi indicazione per AstraZeneca, si è giustificato dicendo che aveva sviluppato pochi anticorpi dopo la prima vaccinazione e che gli era di conseguenza stato consigliato di passare a Pfizer. Un vero peccato che l’Organizzazione mondiale della sanità e l’Aifa abbiano più volte ribadito che il risultato dei test sierologici non deve essere preso in considerazione per fare scelte vaccinali.

La gente

Come spesso accade è stata la gente a fare giustizia di tutte queste ambivalenze. Gli anziani sono stati d’esempio. Sicuri della loro scelta e felici di poter finalmente uscire di casa per vaccinarsi. I giovani, più informati, hanno avuto spesso maggiori esitazioni, ma il desiderio di uscire da una situazione sociale per molti di loro insostenibile ha in genere prevalso su ogni dubbio. Nelle prime settimane le complicazioni che vedevamo più spesso erano svenimenti, capogiri, formicolii, palpitazioni: crisi d’ansia dovute alla paura dell’ignoto. Poi il passaparola ha reso tutto più familiare: «Mi sono sentita/o come se mi fosse passato sopra un trattore, ma il giorno dopo ero di nuovo in pista!» e le crisi di panico sono quasi scomparse. Alla fine chi veniva a fare il richiamo scriveva di non avere avuto nessuna reazione avversa anche dopo i brividi e il febbrone. «Ah, perché quella sarebbe una reazione avversa? Pensavo fosse normale». L’immagine che conservo è quella di una ragazza di trent’anni che aveva già ricevuto un doppio trapianto di fegato e di rene. Le stavo dicendo che forse le sarebbe venuta la febbre o il mal di testa e che non doveva preoccuparsi, ma non sono riuscito a terminare la frase. Lei aveva perforato la mascherina con un sorriso. Perché farla tanto lunga per una vaccinazione? I problemi nella vita sono altri.

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