Visto dal mondo ecologista italiano, il Partito democratico è stato in questi anni allo stesso tempo una fortezza inespugnabile, un enigma e un tappo al cambiamento. La scena del suo ennesimo crollo elettorale è stata osservata come la più facile delle profezie che si avverano, e l'ipotesi che esista una sinistra oltre il Pd viene guardata come l'unica prospettiva per rifondare la politica progressista.

Gabriella Sesti Ossèo è una ricercatrice che studia i movimenti per il clima e mette il dito sul primo dei problemi del Pd: la sua capacità di confondere gli elettori: «I suoi posizionamenti politici sono stati nel corso degli ultimi dieci anni prima indecifrabili, poi ambigui e infine in contraddizione con la propria storia e identità».

Un oggetto politico incomprensibile, un partito «classista e paternalista, dove i diritti sociali sono scomparsi e quelli civili sono stati affrontati senza alcuna attenzione alle diseguaglianze strutturali».

Laura Boldrini è stata fronteggiata con rabbia nella piazza di Non una di meno. Dal campo del clima, dai rappresentanti di quello che dovrebbe essere uno dei grandi temi del Partito democratico, c'è più una distaccata sfiducia, coltivata in anni di aspettative basse.

Il Pd e lo status quo

Come spiega Clara Pogliani, portavoce del collettivo Ci sarà un bel clima (tutt'altro che un covo di estremisti, anzi una delle voci più moderate del movimento) «Fare politica per il clima oggi significa essere radicali e, ancor meglio, voler sradicare tutte le resistenze che impediscono la transizione. Come può far sua questa istanza un partito come il Pd che ha nel suo Dna il “mantenimento”?».

Il punto è esattamente questo: tutti i segretari e i blocchi di potere hanno coltivato la reputazione di forza di argine, di mantenimento dello status quo.

Dopo anni di accumulazione di energia politica ecologista dal 2019 in poi, alle urne non si è visto nessun effetto Fridays for Future perché lo status quo, tanto strategico nel Pd, per gli attivisti è sinonimo di ansia, precarietà e collasso ecologico. Nessuno aveva voglia di votare per la manutenzione del sistema.

La domanda di radicalità

Quella marginale ma vistosa scena di tensione tra le attiviste e Laura Boldrini è la spia che nella società italiana c'è il risveglio di una domanda di radicalità, a sinistra come a destra. A destra però quella domanda ha sempre incontrato un'offerta.

Quella di sinistra, in particolare dal fronte ecologista, non si è trovata di fronte nessuna proposta, nessuna interlocuzione, e questa è una strada senza ritorno.

Come spiega Giorgio De Girolamo, una delle menti più «politiche» di Fridays for Future, «Il Pd ormai è irriformabile».

È un giudizio netto, ma più che condiviso dai suoi compagni di militanza. Irriformabile e invotabile: questa diagnosi ha a che fare con la natura del Pd più che con la sua attuale leadership.

Non c'è Elly Schlein che tenga in questo clima di sfiducia: come dice De Girolamo, la vicepresidente dell'Emilia-Romagna «è un personaggio politico assorbito da quelle stesse dinamiche, se diventasse segretario cambierebbero le apparenze, non la sostanza».

È un altro lato chiave del Pd percepito: un buco nero che assorbe e neutralizza ogni possibilità di cambiamento. L'impressione è che questo Pd non sfonderebbe nel mondo ecologista nemmeno se diventasse segretario Greta Thunberg.

Il partito parassita

Per dirla con le parole di Marco Modugno, uno degli otto portavoce nazionali di Fridays for Future,  «Il Pd è un partito non solo morente, ma che nel suo voler vivere da moribondo diventa parassita. Parassita non tanto nel senso di "poltrone da mantenere", quanto psicologicamente».

È l'eredità del ricatto decennale del voto utile e del voto contro gli altri, «un travaglio e una frustrazione sempre più grandi, che nessun elettore dovrebbe meritarsi».  

È per questo che per Sesti Ossèo il Pd non potrà mai essere «né interlocutore né tanto meno alleato di nessuno dei movimenti nati in Italia in questi anni», custodi di temi che sono vivi nella società ma inesistenti nell'elaborazione del partito.

Il risultato paradossale è che «il Pd occupa uno spazio che impedisce la crescita a sinistra e facilita quello a destra». Quindi la speranza dell'avanguardia politica dei cinque milioni di persone che hanno votato per la prima volta il 25 settembre è che la fortezza crolli una volta per tutte.

Come dice con saggezza e quasi con sobrietà Sofia Pasotto di Fridays «non credo che il Pd sia l'unico problema della sinistra, ma se fosse smantellato, lascerebbe (finalmente) un vuoto fisico da colmare.

Forse abbiamo proprio bisogno di essere messi davanti all'inesistenza della sinistra - senza Pd a fare da "scelta sicura" - per reagire e ricrearla a nostro modo». Sarebbe l'effetto virtuoso di una scomparsa del Pd: la fine degli alibi per tutti gli altri.

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