Non c’era solo il nome di Matteo Salvini tra le personalità che Huawei desiderava incontrare attraverso le società di consulenza dei Verdini. Domani può rivelare un elenco di politici, di rappresentanti di agenzie di sicurezza e di importanti aziende nazionali con cui il colosso cinese voleva stabilire un contatto tramite l’intermediazione di Denis e Tommaso Verdini, suocero e cognato del numero uno della Lega.

Il rapporto tra i Verdini e Huawei è confermato anche dagli atti dell’inchiesta della procura di Roma sulla presunta corruzione gestita dal sistema che ruota attorno ai Verdini e all’Anas, la società controllata dal ministero delle Infrastrutture guidato da Salvini. Da questi documenti emerge anche il giro d’affari garantito dal cliente cinese: le società di Verdini jr avevano un contratto da 10mila euro al mese più ricchi premi (anche da 40mila euro) che scattavano ogni volta che veniva realizzato un incontro.

Freni, Crosetto e Tajani

Oltre a Salvini, nell’elenco ci sono anche alcuni ministri e sottosegretari del governo Meloni. Da incontrare o già incontrati quando era ormai nota la notizia dell’indagine che interessava la Inver di Tommaso Verdini di cui Denis Verdini sarebbe stato secondo gli investigatori della guardia di finanza il regista occulto. Nell’elenco figura il ministro della Difesa Guido Crosetto, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, il presidente del Senato Ignazio La Russa, il sottosegretario all’Economia Federico Freni, e quello alla presidenza del Consiglio Alessio Butti. Ci sono poi anche due incontri avvenuti nel 2021: uno con l’allora amministratore delegato di Tim Luigi Gubitosi, uno con l’ex direttore dell’Agenzia per la Cybersicurezza Roberto Baldoni. Abbiamo chiesto a Huawei conto di tutti questi incontri organizzati da Verdini, ma l’azienda cinese non ha voluto rilasciare nessuna dichiarazione.

«Tutti gli incontri hanno avuto luogo, tranne quelli con il ministro Tajani e il sottosegretario Butti», sostiene una fonte autorevole e qualificata. Da quanto risulta a Domani, i due appena sentito il nome Verdini hanno declinato.

Abbiamo chiesto a tutti i protagonisti un commento. Siamo partiti dal numero uno di Forza Italia, il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Seppur sollecitato più volte, non ha voluto rispondere alle nostre domande. Ci ha aiutato a fare chiarezza il ministro Crosetto, che ci ha ricordato le sue posizioni «non vicine alla Cina» e risposto: «Mai visto Verdini con alcun vertice di nessuna azienda. Mai ricevuta alcuna richiesta di incontrare alcuna azienda. Mai conosciute le società che lei cita. I ministri se si incontrano con le multinazionali lo fanno in modo ufficiale».

Non tutti la pensano così però. Il ministero delle Infrastrutture, per esempio, non ha rilasciato nessun comunicato dopo l’incontro di Salvini con Wang Wilson, Ceo di Huawei Italia, avvenuto lo scorso dicembre. Il numero uno della Lega dal 2019 è compagno di Francesca Verdini, figlia di Denis, sorella di Tommaso, oltre che socia della Inver fino all’estate del 2021. Lo staff di Salvini non ha voluto, però, dirci gli argomenti trattati sul tavolo.

Tra gli incontri di rilievo di Huawei c’è anche il sottosegretario all’Economia Federico Freni. Pure lui non ci ha aiutato a chiarire i motivi dell’incontro, «non vedo motivi per commentare».

Huawei, tramite i Verdini, avrebbe agganciato anche il presidente del Senato, Ignazio La Russa. Abbiamo chiesto un commento al suo staff, che ha risposto: «In agenda nessun appuntamento con Huawei, ma prima dell’elezioni a presidente del Senato c’è stato però un incontro con Tommaso Verdini».

Da Baldoni a Gubitosi

Huawei aveva tutto l’interesse ad accreditarsi con il nuovo esecutivo, considerando anche la politica del governo Meloni, vicino alle posizioni degli Stati Uniti. Le sue attività di lobbying, portate avanti attraverso le società dei Verdini, miravano ad «attenuare il ricorso al Golden Power che può strozzare l’azienda», spiega una fonte a Domani. Tant’è che su queste attività aveva acceso i fari anche il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, che coordina i nostri servizi. Nella relazione al Parlamento del 2019, pur non citando direttamente Huawei, parla delle «aggressive strategie di penetrazione del mercato perseguite da player stranieri pure attraverso...attività di lobbying/networking». Sono gli anni della firma del Memorandum sulla Via della Seta del governo 5 Stelle-Lega. Huawei aveva programmato investimenti fino a 3 miliardi di euro cercando accordi con Tim.

Il contratto più importante, proprio sulla rete, scadeva nella primavera del 2021, in quell’anno Huawei era già cliente di Verdini jr: in quelle settimane il colosso cinese prova a intervenire sull’allora amministratore delegato Luigi Gubitosi. Si presenta proprio Verdini jr per conto di Huawei.

«È stato un unico incontro, molto cordiale, successiva alla fine del contratto con i cinesi», ha risposto a Domani l’ex ad Tim. Qualche tempo dopo, Verdini andrà a parlare sempre per conto di Huawei con l’allora direttore della Agenzia per la Cybersicurezza, Roberto Baldoni. Baldoni conferma l’incontro: non può dire molto altro visto che la questione Huawei è materia classificata. Ricorda però un dato: «Huawei prima usava altre persone per essere rappresentata. Poi è arrivato Verdini». Risulta a Domani, che il tentativo di Verdini irritò molto Baldoni, anche perché sul tavolo c’era anche una richiesta di patrocinio a un’iniziativa nelle scuole organizzata da Huawei. Una questione che Verdini sollecitò durante l’incontro con l’allora capo della cybersicurezza italiana, il quale ribadì il suo diniego.

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