Molti ripetono ossessivamente questa frase: «I vaccini contro il Covid non prevengono il contagio, più di centomila persone si ammalano lo stesso ogni giorno, i vaccini sono inutili!». Chiariamo una cosa: nessun vaccino impedisce che un individuo venga infettato e sviluppi la malattia causata da un virus o da un batterio. Il vaccino serve a diminuire il rischio che quell’individuo, se infettato, sviluppi una malattia grave e muoia.

Quando sviluppano un vaccino, gli scienziati devono essere sicuri che protegga dalla malattia grave e sia sicuro. I vaccini anti Covid proteggono dalla malattia grave, non sempre ma nella stragrande maggioranza dei casi, e sono sicuri, senz’ombra di dubbio. Innanzitutto, gli scienziati hanno scoperto che la proteina spike del coronavirus, quella che lui usa per “attaccarsi” alle nostre cellule, è l’antigene in grado di stimolare la risposta immunitaria più efficace per sconfiggerlo.

Quindi, si sono messi a progettare vaccini a base di proteina spike, e ne hanno prodotto di due tipi: vaccini a vettore virale, cioè costituiti da virus innocui modificati geneticamente, incapaci di replicarsi, ma che contengono il gene per la proteina (come Astrazeneca), e vaccini a Rna, costituiti da goccioline di lipidi, dette liposomi, che contengono l’Rna che codifica la proteina spike (come Pfizer e Moderna) e induce le nostre cellule a produrla.

Il gruppo placebo

Gli scienziati hanno iniziato la sperimentazione clinica nell’uomo, che è servita a capire se il vaccino protegge dalla malattia ed è sicuro. Per esempio, per testare il loro vaccino, gli scienziati della Pfizer hanno arruolato 43.661 individui, e poi a metà di loro, circa 21.830, hanno inoculato il vaccino (il gruppo vaccino), e all’altra metà, circa 21830, hanno inoculato un placebo, cioè acqua distillata con dentro nulla (il gruppo placebo).

La sperimentazione è iniziata il 27 luglio 2020, giorno in cui gli studiosi hanno iniziato a inoculare il vaccino o il placebo ai volontari; e si è conclusa il 14 novembre 2020, giorno in cui si è infettato il 170esimo dei volontari coinvolti nell’esperimento. Gli scienziati hanno scoperto che nel gruppo placebo si erano ammalati 162 individui, di cui otto in maniera gravissima, e che nel gruppo vaccino se n’erano ammalati solo otto, tutti lievi.

Hanno calcolato che ogni individuo del gruppo placebo aveva un rischio di sviluppare la malattia pari a 162/21.830= 0,74, cioè del 74 per cento; mentre nel gruppo vaccino ogni individuo aveva un rischio di svilupparla pari a 8/21.830= 0,04, cioè dello 0,04 per cento.

Infine, hanno calcolato l’efficacia del vaccino contro la malattia. Si fa così. Per prima cosa si calcola la differenza fra il rischio di infezione nei due gruppi: 0,74-0,04= 0,7. Quindi si divide la differenza del rischio di infezione tra gruppo placebo e gruppo dei vaccinati, che è 0,7, per il rischio di infezione del gruppo placebo, che è il valore di rischio di riferimento: 0,7/0,74= 0,945. Questa è l’efficacia del vaccino. Significa che il vaccino ha un’efficacia del 94,5 per cento, cioè che riduce del 94,5 per cento il rischio di contrarre la malattia: un risultato enorme.

Quando si parla di efficacia del vaccino senza specificare altro si intende questo: la sua efficacia nel prevenire la malattia. Però, si è visto che l’efficacia dei vaccini anti-Covid diminuisce col tempo, cioè che dopo circa sei mesi non ci proteggono più come prima dal rischio di malattia, passando dal 94,5 all’80 per cento circa, o anche meno.

Inoltre, l’efficacia del vaccino contro la malattia diminuisce se compaiono nuove varianti mutate del virus capaci di sfuggire all’immunità acquisita. Per esempio, contro la variante Omicron l’efficacia dei vaccini nel prevenire la malattia è scesa al 70 per cento circa. Per questi motivi, noi ora dobbiamo fare tutti la terza dose, che riporta l’efficacia al 95 per cento.

Servono linfociti addestrati

Come agisce il vaccino contro il Covid? Sia i vaccini a vettore virale sia i vaccini a Rna iniettano, per così dire, il gene della proteina spike del coronavirus all’interno delle nostre cellule, che si mettono a produrla in gran quantità; poi, le varie molecole di proteina spike prodotte vengono inserite sulla membrana delle nostre cellule.

A quel punto, speciali cellule immunitarie la riconoscono come proteina antigene estranea, passano questa informazione ad altre cellule immunitarie specializzate, e queste a loro volta istruiscono linfociti B a produrre anticorpi contro la spike, e linfociti T a uccidere le cellule che la espongono. Se il vero Sars-CoV-2, con la sua proteina spike sul mantello, penetra nel nostro organismo, si trova di fronte questi linfociti B e T già addestrati, che lo attaccano e lo uccidono.

Che cosa succede quando il coronavirus incontra un individuo vaccinato? Il coronavirus penetra all’interno delle sue vie aeree, nella bocca e nel naso, qui comincia a infettare qualche cellula e a proliferare, ma la sua presenza richiama i linfociti B e T addestrati che in breve tempo arrivano e si mettono a combatterlo. In breve tempo, ma non subito. Perciò, il virus ha qualche ora per replicarsi e diffondersi, ma così l’infezione si sviluppa, e intanto l’individuo può rimanere asintomatico oppure mostrare qualche sintomo, come un raffreddore o qualche linea di febbre. Infezione non è sinonimo di malattia, ricordatelo!

Nel frattempo, la risposta immunitaria monta, e i linfociti B e T cominciano a respingere e a uccidere il virus, che quasi sempre non riesce a diffondersi fino ai polmoni e ad altri organi, e non può provocare una malattia grave. Nel giro di poche ore o pochi giorni, il sistema immunitario del vaccinato sconfigge il virus. E comunque, fino a quando il virus resta all’interno del suo corpo, il vaccinato può trasmetterlo ad altri.

Il vaccino risponde all’infezione

Quindi, nessun vaccino previene totalmente l’infezione, nessun vaccino previene totalmente la malattia, e nessun vaccino previene totalmente il contagio. Il virus deve prima infettare il nostro corpo affinché il nostro sistema immunitario possa attaccarlo e sconfiggerlo. Per questo, il vaccino non può impedire che chi viene infettato dal virus sviluppi una infezione asintomatica o lieve, e possa contagiare altri, anche se diminuisce la probabilità che ciò avvenga, mentre diminuisce di molto la probabilità che egli sviluppi la malattia grave. 

Perciò, l’efficacia di un vaccino contro l’infezione e la trasmissione del virus, quella dei vaccini attuali contro il Covid è circa del 40-50 per cento, sarà sempre più bassa rispetto alla sua efficacia nel prevenire la malattia grave e la morte, che, come abbiamo visto, è pari circa al 90 per cento.

Invece, un non vaccinato non ha un sistema immunitario addestrato dal vaccino e pronto a combattere il virus, quindi nel suo corpo il virus si replica incontrastato per giorni e giorni, invadendo i polmoni e altri organi, e perciò ha un’alta probabilità di sviluppare una malattia grave, di contagiare altri, e purtroppo anche di morire. In genere, un vaccinato ha una malattia più lieve e più breve rispetto a non un vaccinato, e contagia gli altri meno di lui.

La nostra vita sarebbe sicuramente più facile se i vaccini fossero una specie di corazza invincibile che ci difende da ogni microbo, ma non funziona così. Il virus deve entrare in noi e infettarci prima che il nostro sistema immunitario possa attivarsi e sopprimerlo, come un pompiere che prima vede il fuoco e poi lo spegne prima che la casa bruci.

Chi, a proposito di Covid, vi ha parlato di vaccini sterilizzanti, vi ha raccontato una favola. Il nostro sistema immunitario non può essere addestrato per raggiungere la perfezione.

Perciò se qualcuno obietta: «Anche chi è vaccinato si infetta, si ammala, e può contagiare gli altri» voi dovete rispondergli: «Nessun vaccino impedisce nel cento per cento dei casi l’infezione, la malattia, e il contagio. Un vaccino deve solo impedire che un individuo possa ammalarsi gravemente e morire». Cosa che i vaccini anti Covid fanno egregiamente.

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