Londra si prepara al Capodanno con gli ospedali che rischiano di ritrovarsi con quasi la metà del personale in meno perché in isolamento da contagio.

Ma i londinesi potranno comunque festeggiare la mezzanotte in luoghi affollati, discoteche, locali, senza nuovi vincoli: solo blandi suggerimenti, appelli al buon senso, linee guida. Boris Johnson si appella alla responsabilità individuale degli inglesi, perché alla sua responsabilità politica ha rinunciato.

Assediato dal suo stesso partito, il premier conservatore preferisce sottrarsi alle fronde interne piuttosto che fare la scelta, sempre più impopolare tra i Tory, di imporre restrizioni. Dopo aver sbandierato Brexit, ora Johnson fa l’altra exit: mentre Scozia, Irlanda del Nord e Galles corrono ai ripari a causa della variante Omicron, l’Inghilterra rimane isolata dal resto del regno, senza tutele ulteriori.

Ma questa mossa di salvare la propria sorte politica prima che gli inglesi, non basterà comunque a Johnson. I conservatori stanno già discutendo su chi lo rimpiazzerà al governo: in prima fila ci sono Rishi Sunak e Liz Truss.

La destra anti restrizioni

British Prime Minister Boris Johnson speaks with a volunteer during a visit to a vaccination centre in Ramsgate, England, Thursday, Dec. 16, 2021. (Leon Neal, Pool via AP)

«Molte altre famiglie perderanno i loro cari prima del tempo»: così, a marzo 2020, Johnson ha inaugurato la stagione della pandemia dando il chiaro segno che le restrizioni non sarebbero state la sua priorità. Ma il suo discorso sulla «immunità di gregge», così somigliante a quelli della destra di Donald Trump o di Jair Bolsonaro, ha suscitato la rivolta di scienziati e opinione pubblica ed è stato poi rimpiazzato dal pragmatismo: anche il Regno Unito ha fatto i conti con i lockdown, e per sciogliere ogni vincolo il premier ha scommesso tutto sui vaccini.

Tuttora la sua priorità resta vaccinare, stavolta con il richiamo, ma la scelta di non arginare al contempo i contagi anche con nuove restrizioni riporta alla memoria quel discorso di quasi due anni fa. «La divergenza tra ciò che la scienza suggerisce di fare, e ciò che la legge impone, non è mai stata così ampia», dicono gli esperti come l’immunologo Danny Altmann dell’Imperial College.

Anche se la vaccinazione contiene di molto il numero di decessi, nel Regno Unito i contagi non sono mai stati così alti. La sanità pubblica rimane sotto pressione, stavolta non per le terapie intensive sature ma perché gli operatori sanitari si contagiano. Le previsioni indicano che a Londra si arriverà al 40 per cento di personale in meno perché a casa in isolamento. Eppure per Capodanno Johnson non ha imposto alcuna misura in più.

Fronde su fronde

A far tornare il premier sulle posizioni libertarie degli esordi è la pressione interna al suo partito, che cresce mentre lui si indebolisce. Già a ottobre 2020 una fronda di conservatori, il Northern research group capeggiato da Jake Berry, aveva dato i primi segnali pubblici di insofferenza: più di cinquanta parlamentari del nord dell’Inghilterra, area che era la più colpita dai contagi, avevano firmato all’epoca una lettera per dire che «siamo allo sbando, serve un piano chiaro per uscire dalle restrizioni».

Ma è a novembre 2020 che si sono creati i presupposti per le attuali divisioni del partito: l’ala più euroscettica, lo European research group (Erg), sostenitrice della Brexit, si è saldata con quella degli oltranzisti anti lockdown. Secondo loro, sia sull’uscita dall’Ue sia sulla pandemia, Johnson si stava dimostrando troppo morbido.

Così un anno fa, per opporsi alle restrizioni imposte dal premier, è nato il Covid recovery group. Tra i fondatori, Steve Baker, in precedenza a capo dei brexitari di Erg. Le fronde anti restrizioni sono diventate, in questa fine 2021, un’unica ondata pronta a sommergere il premier: Baker, il suo gruppo anti lockdown, ma pure altri libertari come Esther McVey, ribelli di lunga o nuova data, per un totale di un centinaio di eletti Tory, si sono opposti a metà dicembre alla introduzione di un Covid pass il cui uso era comunque più limitato della versione nostrana.

Il piano di Johnson è in ogni caso passato grazie al sostegno laburista in aula, ma ora il premier non è più disposto a rischiare. «Enough is enough», adesso è troppo: è il modo in cui Baker ha cacciato una lealista di Johnson dalla chat dei sovversivi. Dunque per fine anno il premier propone solo «linee guida», che non richiedono voti parlamentari, e si appella al buon senso.

La successione

(Rishi Sunak. Foto AP)

La posizione di Johnson non ha fatto che indebolirsi di recente, e una serie di scandali a raffica – dal party in pieno lockdown alla ristrutturazione dell’appartamento camuffata, per non parlare degli intrecci lobbistici del compagno di partito Owen Paterson – ha fatto calare a picco la sua credibilità.

Ora gli elettori preferirebbero i laburisti ai conservatori, e se il conservatore in questione è Johnson, ancora di più. Perciò il partito punta a cambiare prima leader, poi premier. Come è già successo quando Theresa May si è dimessa dalla leadership dei Tory, chi conquista il vertice del partito diventa poi primo ministro. Nel 2019 è stato Johnson a rimpiazzare May.

Molto probabilmente nei prossimi mesi sarà il cancelliere dello scacchiere Rishi Sunak, a sostituire Johnson. Oppure sarà Liz Truss, che ha appena rimpiazzato il dimissionario David Frost nei negoziati con l’Ue. Stando ai sondaggi, Sunak è il volto noto dei Tory preferito dagli elettori, Truss è la preferita dallo zoccolo duro degli iscritti; e sono le loro preferenze a esser decisive se non si va al voto. In comune i due hanno almeno una cosa: il sostegno a oltranza al libero mercato.

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