Sedici migranti dei 41 portati nel cpr di Gjadër in Albania mancano all’appello. A denunciare questo giallo albanese sono state in una nota la deputata Rachele Scarpa e l’eurodeputata Cecilia Strada del Partito democratico, dopo che l’eurodeputata ha eseguito un’ispezione nel fine settimana nel centro costruito da Meloni.

I migranti erano arrivati lo scorso 11 aprile scortati dalle forze dell’ordine italiane e con delle fascette ai polsi, attirando critiche da parte delle opposizioni e delle associazioni a difesa dei diritti umani. Dall’ultima ispezione eseguita nel fine settimana, infatti, risultano nel centro solo 25 persone.

Secondo Scarpa e Strada, «nessuna informazione ufficiale è stata fornita in risposta alle nostre domande, né tantomeno ai diversi accessi agli atti effettuati, perciò lo dobbiamo dedurre incrociando informazioni pubbliche, registro degli eventi critici, informazioni provenienti dai legali».

È noto che una persona è rientrata nella mattinata del 12 aprile senza nemmeno entrare nel Cpr, mentre delle altre 15 mancanti, si legge nella nota, «riteniamo verosimile che 6 siano state riportate in Italia per mancata convalida del trattenimento, 5 perché valutate, a seguito di episodi autolesivi o criticità sanitarie, non idonee alla vita in comunità ristretta, e 4 siano state rimpatriate nel paese d’origine».

La posizione del Viminale

Sentito da Domani, il Viminale ha fornito la conferma che «alcuni migranti sono stati rimpatriati, altri sono stati dimessi per motivi sanitari, altri ancora per richiesta di protezione internazionale». Nessuna informazione più precisa sulle modalità di rientro in Italia e su come esso sia avvenuto.

Anche in quest’ultimo caso, tuttavia, i migranti sono stati riportati in Italia prima del rimpatrio come prevede la legislazione, comportando ulteriori costi a carico dello stato. 

Durante il vertice Med5 a Napoli, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi aveva assicurato che «non ci sono diseconomie visibili e tangibili se non quelle concettuali e ideologiche in merito al Cpr in Albania e alle altre strutture che adesso ripartiranno». Il progetto, però, per ora solleva interrogativi sulla tenuta economica e questioni rilevanti in tema di diritti umani.

Anche alla luce di questo nuovo rientro in Italia, Scarpa e Strada sottolineano le molte criticità dell’utilizzo del centro albanese come cpr: «I numeri delle presenze nel cpr parlano da soli, e certificano la storia drammatica di un’operazione fatta in fretta e furia, secondo incomprensibili criteri di selezione delle persone da trasferire, in un clima sostanzialmente ostativo al pieno esercizio del potere ispettivo dei parlamentari e di assoluta e deliberata noncuranza verso le vulnerabilità dei singoli, che sono emerse in continuazione sin dal primo giorno».

Gli eventi critici

Dal registro consultato risultano almeno 35 eventi critici nei primi tredici giorni dell’entrata in funzione del nuovo cpr. La maggior parte di questi fa riferimento a gesti autolesivi e tentativi di suicidio. In alcuni casi è stato necessario ricorrere alle strutture sanitarie albanesi. 

Anche questo solleva, secondo Scarpa e Strada, «profonda preoccupazione rispetto alle garanzie di tutela del diritto alla salute». Anche perché, come risulta dal registro degli eventi critici che ogni cpr è tenuto a tenere, diversi migranti assumono psicofarmaci con lo scopo dichiarato di sopportare la situazione in cui si trovano.

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