«Scendiamo in piazza perché il decreto Sicurezza riguarda tutti e tutte», racconta Roberto Gammeri, giovane neuropsichiatra e attivista di Extinction Rebellion, una delle tantissime realtà parte di “A pieno Regime”, una rete di associazioni e movimenti di tutta Italia che si oppongono al decreto Sicurezza, ora in aula alla Camera per la conversione. 

«Ci siamo uniti non solo contro questo specifico decreto, ma più in generale contro la deriva autoritaria del governo e in senso in senso più ampio», prosegue Gammeri. Extinction Rebellion è il movimento internazionale nato nel 2019 che manifesta per la giustizia climatica a suon di parate rumorose e colorate azioni dimostrative, come l’occupazione di una sede di Leonardo o l’affissione di uno striscione sul Colosseo.

Finora queste azioni sono costate ai suoi membri denunce, fogli di via e fermi in questura dove alcune ragazze hanno raccontato di essere state costrette a spogliarsi: Extincion Rebellion ha risposto presentando ricorsi contro i fogli di via e denunciando tre questure. Spiega Roberto: «Della crisi climatica si sa dagli anni Settanta ma i vari governi che esistono anche per tutelare la nostra salute hanno fallito nell’affrontarla: siamo arrivati alla rottura del contratto sociale e avendo urgenza di parlare, perché parlare di clima significa ripensare il nostro modello di produzione e consumo, abbiamo capito che per far fronte al cambiamento climatico servono azioni molto più radicali rispetto ai semplici cortei, serve la disobbedienza civile».

Come attivista di XR si dice «preoccupato per le norme che ci riguardano più da vicino, in quanto movimento che utilizza alcune pratiche tipo i blocchi stradali, le occupazioni, le contestazioni alle grandi opere. Ma come cittadino mi sento di dire che il problema non è una o l’altra norma contenuta nel decreto Sicurezza, ma la visione che c’è dietro, l’aver costruito un decreto per rispondere a questa sorta di insicurezza nazionale generata da chi? Dalle persone nelle carceri, dai migranti, dai pericolosi attivisti che vogliono difendere il pianeta? Quindi è questo che preoccupa davvero, il fatto che scendere in piazza oggi comincia a essere davvero problematico».

Lo stesso Gammeri racconta che all’interno della rete “A Pieno Regime” ci sono una marea di associazioni e in parte presenti alla manifestazione del 26 maggio a Roma: dai movimenti climatici a quelli per il diritto all’abitare, da chi si occupa dei diritti delle persone nei Cpr e nelle carceri, come l’associazione Antigone che il mese scorso ha iniziato un digiuno a staffetta per protestare contro le norme che introducono il reato di rivolta all’interno degli istituti penitenziari.

Ancora, i comitati locali di quartiere delle periferie che sono state oggetto del decreto Caivano o anche la rete dei centri sociali del nord Italia.

La questione abitativa

Durante la discussione del dl alla Camera la premier Giorgia Meloni rivendicava sui social i primi sgombri avvenuti grazie al decreto in via di attuazione: «La questione abitativa è assolutamente emblematica», afferma la ricercatrice Margherita Grazioli, esponente del Movimento per il diritto all’abitare.

«Dietro le affermazioni della presidente Meloni sul ripristino della legalità si cela la criminalizzazione sia delle persone in emergenza abitativa, sia di chi esprime solidarietà nei confronti di questi stessi soggetti. Questo è uno dei tanti aspetti di un provvedimento complesso e composito che però riteniamo vada contrastato esattamente perché vuole impedire non solo l’espressione democratica del dissenso, ma la possibilità di rivendicare i diritti più basilari e minimi che in questo paese si continua ostentatamente a negare».

L’applicazione selettiva del diritto penale

Anche i giuristi si sono opposti al decreto: «Il più grande attacco alla libertà di protesta della storia repubblicana, parliamo di una forzatura istituzionale gravissima, perché il dl è stato sottratto alla discussione parlamentare ed è stato approvato nell’arco di 48 ore», afferma Federica Borlizzi, avvocata e attivista dell’associazione Nonna Roma.

«Assistiamo a una pericolosa applicazione selettiva del diritto penale ma anche del diritto amministrativo-punitivo», continua Borlizzi, «da un lato un diritto penale “dell’amico”, applicato con indulgenza alle reti del potere che garantisce fette di impunità, pensiamo a tutte quelle previsioni del decreto che introducono una tutela rafforzata per le forze dell’ordine nella gestione delle piazze, criminalizzando ulteriormente i manifestanti; d’altro lato, abbiamo un diritto penale del “nemico”, in cui i nemici sono individuati chiaramente: persone migranti, detenute, chi si trova in condizione di marginalità sociale; i movimenti ambientalisti, per il diritto all’abitare, che sono colpiti attraverso l’uso spropositato del diritto penale e amministrativo punitivo».

Il diritto a manifestare pacificamente viene ricordato anche dai rappresentanti del mondo del lavoro: «A volte è necessario anche occupare la propria sede di lavoro per farsi sentire»,   afferma Roberta Turi, NIdiL CGIL, rappresentante delle lavoratrici e dei lavoratori non subordinati.

Il co-portavoce di A Pieno Regime, Luca Blasi, che durante il presidio in piazza Barberini è stato ferito rilancia la manifestazione nazionale del 31 maggio: «Crediamo diventerà uno dei momenti più grandi di opposizione sociale al governo Meloni, se non il più grande. Quello che stiamo dicendo è che è la miglior risposta alla disobbedienza avvenuta durante il presidio, a un divieto ingiusto, cioè quello di poter manifestare pacificamente sotto i palazzi dove si prendevano delle decisioni importanti e fondamentali per la vita democratica del paese, è quello di essere in marea e di essere centinaia di migliaia in piazza sabato, conclude.

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