Non solo il testo slitta al 2026, ma rischiano di sparire dal documento i capitoli più importanti a partire da quello sull’obbligo di accordi fra operatori di telecomunicazioni e big tech
Zoppa alla meta, e non si sa nemmeno quando si arriverà alla meta. La legge europea sulle reti digitali (Digital Networks Act) - annunciata in pompa magna come la “svolta” per accelerare sulle reti ad alta velocità e a catena sulla digitalizzazione continentale – sta evolvendo in tutt’altra direzione. Tanto per cominciare il documento che la Commissione Ue e in particolare la commissaria Henna Virkkunen puntava a “bollinare” entro fine anno è stato rimandato al mittente dall’Impact assessment board, il comitato di esperti chiamato a valutare la strategia in termini di fattibilità. Quindi tutto slitta al 2026 e la prima data utile per ripresentare la proposta è il 20 gennaio.
Criticità su tutti i fronti
Diverse le obiezioni messe nero su bianco dal comitato ma non è questo l’unico ostacolo sul cammino: le pressioni delle varie lobby - dalle aziende del digitale alle associazioni dei consumatori spesso caldeggiate da partiti politici- e ancor peggio, le “rimostranze” da parte delle autorità di regolazione e il disallineamento fra gli Stati membri stanno non solo rallentando la roadmap ma stanno sfilacciando tutta la strategia iniziale. E la Commissione Ue, che si era autoelogiata nell’aver fatto proprie le raccomandazioni dei report di Mario Draghi ed Enrico Letta, rischia di arrivare a destinazione con una proposta lontanissima dalle indicazioni.
Numerose le questioni su cui non c’è condivisione di intenti: dallo switch off (“spegnimento”) delle vecchie reti in rame alle semplificazioni normative, dal rafforzamento del Berec (l’Autorità di regolazione Ue) agli accordi fra operatori di telecomunicazioni e big tech del digitale. Riguardo al cosiddetto switch off del rame la proposta iniziale fissava al 2030 l’anno in cui mandare in pensione le reti di vecchia generazione per passare definitivamente a quelle in fibra, ma su questo fronte ci sono Paesi, a partire dalla Germania, che vogliono spostare la data in avanti poiché non sarebbero in grado di garantire il passaggio senza difficoltà operative per gli utenti finali. Ma è un cane che si morde la coda perché più la data viene fatta slittare più gli operatori di Tlc che hanno in capo le infrastrutture in rame, ossia le big telco storiche, tendono a rallentare la marcia sugli investimenti nella fibra.
Le Autorità nazionali non vogliono perdere potere
Altra questione dirimente quella del rafforzamento del Berec, l’Autorità di regolazione, al fine di armonizzare le regole per l’accesso alle reti ma anche per la definizione dei listini tariffari in direzione di un mercato unico delle Tlc. Ma a quanto risulta a Domani le varie Agcom e le varie autorità di competenza nazionali (circa 270 in tutto) non avrebbero alcuna intenzione di cedere poteri facendosi scudo dietro le peculiarità dei singoli mercati e dell’evoluzione degli stessi, seguendo la solita e anacronistica logica della difesa del proprio “giardinetto”. E anche sulle semplificazioni normative è in atto uno scontro persino inimmaginabile considerando che la burocrazia è da sempre considerata il nemico numero uno per accelerare sui piani e per attrarre investimenti. C’è chi invoca il rischio di un ritorno ai monopoli (meno regole avvantaggerebbero le aziende più grandi) e chi sbandiera la difesa dei consumatori (sarebbe il tana libera tutti) a dimostrazione che la lezione di Draghi e Letta è entrata da un orecchio per uscire dall’altro.
La debolezza dell’Europa e il ricatto di Trump sui dazi
Per non parlare della questione del “fair share” ossia del riequilibrio di condizioni fra telco e big tech – i colossi tecnologici generano il 60 per cento del traffico di rete ma non hanno neanche la metà degli obblighi degli operatori di telecomunicazioni. L’Europa era orientata a obbligare gli attori in campo a stringere accordi di collaborazione ed era stata ipotizzata anche la creazione di una sorta di “arbitro” europeo per favorire le negoziazioni e dirimere le controversie. Ma questo capitolo sarebbe stato addirittura cancellato, in questo caso per effetto degli accordi Ue-Usa sui dazi e sulla forte pressione del presidente Donald Trump. E sarebbe sparita dal documento anche la revisione delle regole sulla net neutrality (la neutralità della rete) che impongono parità di velocità di rete per tutti gli utenti a prescindere dalla quantità di dati che consumano. Senza una revisione della norma non è possibile ad esempio garantire alle aziende più banda e più qualità dei servizi, in particolare quelli 5G.
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