Insieme al terzogenito del presidente del Senato è indagato l’amico dj. Secondo le magistrate «Leonardo Apache agì senza il consenso della ventiduenne»
La procura di Milano chiede il processo per Leonardo Apache La Russa, figlio del presidente del Senato Ignazio, e per l’amico dj Tommaso Gilardoni.
L’accusa è quella di revenge porn. I due sono indagati per la «diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti». Secondo le pm Letizia Mannella e Rosaria Stagnaro, il 19 maggio 2023 La Russa jr avrebbe infatti prima girato e dopo inviato su Whatsapp, all’amico Gilardoni, «un video destinato a rimanere privato», riguardante la ragazza che in seguito lo denuncerà per stupro.
Anche Gilardoni, denunciato dalla ventiduenne come Leonardo Apache, quella notte inviò un video dello stesso tenore a un amico, l’organizzatore della festa Eclipse al club Apophis di Milano: il filmato ritraeva la ragazza nel bagno della casa dei La Russa.
Su questo filone investigativo dovrà pertanto pronunciarsi la gip Rossana Mongiardo. Per la tranche sui presunti abusi la procura meneghina ha invece chiesto, nello scorso mese di aprile, l’archiviazione: istanza a cui si è opposta proprio la giovane e su cui si deciderà il 25 settembre.
Dalle due magistrate la richiesta di archiviazione sulle accuse di violenza sessuale è stata motivata col fatto che «non vi è la prova che gli indagati, pur consapevoli dell’assunzione di alcuni drink alcolici da parte della ragazza, abbiano percepito, in modalità esplicita o implicita, la mancanza di una valida volontà» della giovane nel «compiere gli atti sessuali».
Ma nonostante la richiesta, le pm nel loro atto giudiziario hanno stigmatizzato il comportamento di La Russa jr e amico. «Comportamento – si legge nel decreto di archiviazione – certamente connotato da una profonda superficialità e volgarità nella modalità di concepire e trattare una ragazza, che viene passata da uno all’altro, con l’unica preoccupazione di farle lavare i denti tra i diversi atti sessuali».
Un «atteggiamento – concludono le due magistrate – che non è assolutamente rispettoso della dignità della donna, ma non integra in sé la condotta di induzione e approfittamento richiesto dalla norma».
Il video
Sul revenge porn, al contrario, la procura non ha dubbi. E per questo motivo chiede il processo. I video di due anni fa, in base a quanto si legge nelle carte degli organi inquirenti, sono stati realizzati «senza il consenso» della giovane, ex compagna di liceo del figlio del presidente del Senato che, a sua volta, ha sempre difeso il terzogenito, dichiarando, ad esempio, in una nota, di aver interrogato Leonardo Apache e di essere sicuro che il giovane non abbia compiuto «atti penalmente rilevanti».
Sempre sui video, La Russa jr, oltre a dichiarare in sede di interrogatorio di averli girati dopo l’ok della ragazza – aspetto che le pm mettono appunto in dubbio – si è all’epoca difeso. Il giovane dichiarò alle pm di aver filmato l’ex compagna di scuola e di aver inviato il video all’amico Gilardoni per «giustificare» l’uscita anticipata dal locale in cui entrambi si trovavano.
Una versione, confermata dallo stesso Gilardoni, e che tuttavia oggi non sembra convincere affatto le pm della procura meneghina.
Gli incroci con Equalize
La vicenda di La Russa jr, intanto, si è intrecciata anche a quella degli spioni di via Pattari numero 6 a Milano e cioè dei membri di Equalize, al centro dell’inchiesta giudiziaria sui presunti dossieraggi. Dagli atti erano, infatti, emersi dettagli che mettevano in relazione le due vicende.
L’hacker Samuele Calamucci, principale indagato dell’inchiesta, aveva parlato agli inquirenti di una telefonata fatta nella seconda metà di maggio del 2023 da un certo “Ignazio” a Enrico Pazzali. Chiamata a cui lo stesso Calamucci avrebbe assistito e che sarebbe avvenuta dopo poche ore dal presunto stupro di una ragazza da parte del figlio più piccolo di La Russa.
Da evidenziare un fatto: nel momento in cui sarebbe avvenuta la telefonata la faccenda della presunta violenza sessuale non era di dominio pubblico.
Dagli atti era emerso anche che qualcun altro ancora avrebbe contattato l’allora presidente della Fondazione Fiera di Milano. Pazzali cioè sarebbe stato chiamato, oltre che da un ancora ignoto “Ignazio”, anche da un ufficiale dei carabinieri per un’informazione inerente alla logistica della casa milanese della seconda carica dello Stato, la casa dove sarebbe avvenuto lo stupro per il quale le magistrate hanno chiesto l’archiviazione.
© Riproduzione riservata