La cantante romana e il fumettista hanno chiuso con un talk il festival, organizzato con Momo edizioni, “Alziamo la voce, alziamo la testa”. Un modo per tornare a puntare i fari sul quartiere nella periferia di Roma est che non vuole essere considerato «una grande piazza di crack e un monumento all’abbandono istituzionale»
«Noi abbiamo dei valori e questa sera ha un senso perché ci rende orgogliosi di quello che siamo: una comunità. Se le istituzioni non ci aiutano, la chiamata deve partire da noi, insieme, per capire di cosa abbiamo bisogno e chiederlo tutti insieme». L’incontro nel parco Modesto Di Veglia a Quarticciolo, periferia est di Roma, era fissato per le 20 di sabato 27 settembre, ma Elodie è arrivata ore prima. Mentre il corteo, indetto da Quarticciolo ribelle durante la due giorni “Alziamo la voce, alziamo la testa”, organizzata insieme a Momo edizioni, aveva appena iniziato il suo percorso tra quei luoghi del quartiere che, da anni, aspettano un intervento delle amministrazioni pubbliche.
Asili in costruzione, case Ater da riqualificare, negozi chiusi, la piscina abbandonata come il mercato popolare. Elodie ha risposto alla chiamata di Zerocalcare ed è arrivata per parlare di periferie, lei che, come rivendica orgogliosamente in una borgata è nata, Quartaccio, nella periferia nord ovest della capitale. «Tutti pensano che sia di Quarticciolo, e allora eccomi qua, facciamo questo gemellaggio».
Nella palestra popolare, trasformata in backstage prima del talk con il fumettista, Elodie ha accolto tutte le persone del quartiere che volevano vederla per una foto, un abbraccio, un autografo. Stupendo tutti, come ha raccontato Zerocalcare dal palco, per il modo in cui si è concessa. Porte aperte per tutti, ma una sola condizione: nessun giornalista. Perché quello era il suo momento con il quartiere. «Quando sono in borgata mi sento in famiglia. È difficile quando parti da zero pensare di essere un adulto che può stare in società. E questo è perché ci tolgono la possibilità di accedere allo studio, la possibilità di pensare, di poter credere in qualcosa, di sognare», ha detto Elodie in apertura dell’incontro.
«E per questo è bellissimo che siate così tanti oggi qui con noi, che è importantissimo, perché si parte dallo stare insieme, da confrontarsi e dal pensiero che tutti abbiamo dei limiti e delle paure, tantissime paure. Io ho ancora oggi tantissima paura, perché a volte non ho gli strumenti, non avendo studiato. Non ho creduto in me da ragazzina, ho iniziato a pensare di poter avere un ruolo nella società solo quando ero più grande. Ed è questo, se mi posso permettere, che credo ci accomuni un po’ tutti».
A moderare il talk è Marika del progetto di ristorazione, tutto al femminile, di Quarticciolo. Uno dei tanti, dalla palestra popolare all’ambulatorio, dal doposcuola alla microstamperia, che il quartiere ha messo in piedi per supplire alla mancanza di servizi e che ne dimostrano la complessità. Una complessità che, secondo Zerocalcare, manca nella narrazione che si fa delle periferie.
«C’è sempre lo stesso approccio: o vieni a vedere il degrado e allora sono tutti mostri e cattivi. Oppure lo fai con il mito del “buon selvaggio”, dove sono tutti buoni». Partendo dal film Fuori, che è valso a Elodie il Nastro d’argento come migliore attrice non protagonista, nel dialogo a tre, la cantante e Zerocalcare hanno toccato diversi temi. A partire dal carcere, «un posto inutile e classista», come lo ha definito il fumettista, «nel senso che c’è solo chi non ha i soldi per stare fuori», un'istituzione che «produce solo altro carcere».
Si è toccato anche il tema della sorellanza, molto sentito da Elodie: «Dovremmo avere meno paura e pensare che dall’altra parte c’è una persona come te, che ti comprende. Perché certe ferite ataviche che abbiamo possono capirle solo le donne». Ma, senza fare «la guerra agli uomini, perché poi ci sono anche quelli intelligenti tipo Michele che è intelligentissimo, un fico incredibile. Mi manda dei messaggi che sono stupendi», ha detto la cantante scatenando l’imbarazzo di Zerocalcare («oh, così pare che te sto’ a batte i pezzi»).
Il fumettista è entrato poi nel ruolo dell’intervistatore: «Hai sempre parlato con orgoglio del tuo quartiere, ma mi chiedevo se ti abbiano mai fatto pesare le tue origini». Ma a Elodie i pregiudizi non fanno paura: «All’inizio avevo paura di non essere compresa, perché c’è uno storytelling, ma non è il mio. Io non lo racconto nelle canzoni, a me piace giocare, piacciono i balletti. Ma io ne sono super orgogliosa. Non so se c’è un pregiudizio, ma a me non importa come vengo vista, so chi sono, come faccio le cose. So di essere una cittadina davvero per bene. E, sì, sono coatta».
Quando cresci in un posto in cui pensi che potrai fare solo quello che vedi accadere intorno a te, come si fa a far scattare quella cosa che ti porta fuori? Per Elodie: «Ognuno lo fa a modo proprio, però ci devi credere davvero. Fai, non ci pensare, è il pensiero che ti butta giù». E Zerocalcare torna a parlare della dimensione collettiva: «È importante capire come si possa fare insieme. Lo so, lo dico sempre, anche se neanche io ho trovato una soluzione».
A Quartaccio Elodie non vive da quando aveva 20 anni, nel quartiere torna poco, anche se lì vivono le sue amiche di sempre. «Ho un progetto con Save the Children per aiutare i ragazzi a studiare nel doposcuola. Ma sto cercando di capire come fare di più, perché quel quartiere mi ha dato, sento il bisogno di dare qualcosa in cambio».
Poi, a fine talk un nuovo abbraccio con i tanti bambini accorsi per vederla. Dopo l’incontro, il dj set di White Trash ha chiuso la due giorni che ha visto anche la partecipazione di Valerio Mastandrea e di Michele Riondino. Altri due artisti che si sono messi a disposizione per aiutare a cambiare la narrazione di un quartiere che non vuole essere ridotto solo a piazza di spaccio. E dove gli abitanti continuano a immaginare nuove strade e che pensano non possa essere il “modello Caivano” a risolvere i problemi. «Per cambiare il mondo bisogna prima immaginarlo” ecco perché un festival. Quarticciolo ribelle e Momo camminano a fianco da un po’ di tempo, incordonati, perché il lavoro culturale oggi ha senso solo se in grado di stare in mezzo alle questioni concrete e materiali», dice Mattia Tombolini di Momo edizioni. «Abbiamo pensato a un festival con un corteo e a un corteo con un festival per mettere un faro su una situazione ma anche per non farla sembrare una questione solo territoriale. Volevamo dare un messaggio: non é vero che non serve a niente lottare, mobilitarsi, partecipare, alzare la voce. Il cambiamento si fa solo così è un passo alla volta».
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