Hasta la resiliencia, siempre! Quando sul far della mezzanotte Leonardo Bonucci ha piazzato a tradimento la parola passepartout di questo passaggio d'epoca italico abbiamo capito che il percorso della neo-italianità calcistica si è definitivamente compiuto. E il fatto che esso proceda sotto le insegne del termine più orrifico mai sdoganato dal linguaggio pubblico è un potente segno dei tempi.

Perché al di là della semifinale degli Europei vinta ai rigori, al di là dell'appuntamento in finale fissato a Londra per domenica 11 luglio alle 21 (l'altra finalista sarà nota stasera al termine della gara fra Inghilterra e Danimarca), al di là delle indicazioni tecniche ricavabili dall'estenuante semifinale contro gli spagnoli, ciò che più colpisce è lo scatto linguistico. Che in realtà, come tutti gli scatti linguistici e i neologismi che se ne fanno espressione, altro non è che un modo diverso per dire le cose medesime. E di cose medesime rappresentate in modo altro se ne è viste tante, nella semifinale di ieri sera fra neo-italiani e neo-spagnoli.

Difesa e contropiede vs Tiki Taka

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Evidentemente era destino che l'appuntamento calcistico di lunedì sera fosse segnato dal ricorso al vocabolario più stucchevole, una vera tortura linguistica e acustica. La resilienza è giunta alla fine, quasi un colpo alla nuca tirato al morente come segno d'estremo oltraggio anziché segno d'umana pietà.

Ma la tortura era iniziata ben prima, all'annuncio delle formazioni ufficiali. Quando con la presa d'atto che gli spagnoli lasciavano Álvaro Morata in panchina s'è incastrata nel racconto della partita la iattura linguistica del falso nueve. Roba da optare per l'audio di Radio Maria come sottofondo alle immagini di gara. Ché tanto, se serata penitenziale doveva essere, allora che la si affrontasse come esperienza radicale.

E invece ci si è lasciati infliggere 120 minuti di falsi nueve, formula mantenuta anche dopo l'inserimento in campo di Morata nella ripresa perché subito i commentatori constatavano che lo juventino non si schierasse al centro dell'attacco. Del resto, non è che sul fronte opposto le cose andassero tanto meglio. Perché il povero Ciro Immobile, che sarebbe un nueve fatto e finito, in nazionale sembra avere imboccato una china da “generoso Ciccio” che accompagnò Graziani quando prese a vedere sempre meno la porta. E all'attaccante laziale tutti quegli elogi sul “sacrificio” e il “lavoro prezioso” dovrebbero risultare tutt'altro che rassicuranti. Cerchi di scacciarli via se non vuol ritrovarsi da “generoso Ciro” fra una ventina di anni a allenare il Cervia.

Spain's Aymeric Laporte, left, duels for the ball with Italy's Ciro Immobile during the Euro 2020 soccer championship semifinal match between Italy and Spain at Wembley stadium in London, England, Tuesday, July 6, 2021. (Carl Recine/Pool Photo via AP)

Tutto ciò per dire che nel calcio le cose cambiano (soprattutto nome) ma restano sempre uguali. E che, gratta gratta, alla fine gli italiani del calcio hanno fatto gli italiani del calcio e gli spagnoli del calcio hanno fatto gli spagnoli del calcio. Dopo un lungo avvicinamento fatto di narrazioni sulla mutazione genetica, sull'Italia giochista e non più resultadista, sulla Spagna che adesso avrebbe dovuto guardare gli azzurri dal basso verso l'alto, in campo si è vista la scena solita.

Con gli spagnoli che sciorinavano calcio manovrato ma al momento di tirare in porta parevano i portoghesi di un quindicennio fa (quando, in epoca pre-Cristiano Ronaldo, la conclusione a rete pareva non contemplata negli schemi della nazionale lusitana). E con gli azzurri che un po' per scelta ma molto per adattività (resilienza ditelo voi) tenevano botta in attesa del momento giusto e poi colpivano in contropiede. Perché sì, cosa altro è stata l'azione del gol partita dal rilancio basso di Donnarumma e conclusa da Federico Chiesa in pochi tocchi e pochi secondi? Contropiede puro, senza alcuna vergogna di chiamarlo così.

All'italiana

Spain's manager Luis Enrique, left, speaks with Italy's manager Roberto Mancini at the end of the Euro 2020 soccer championship semifinal match between Italy and Spain at Wembley stadium in London, Tuesday, July 6, 2021. Italy defeated Spain 4-2 in a penalty shootout after the game ended tied 1-1 after extra time.(Facundo Arrizabalaga/Pool Photo via AP)

Dovrebbe farsene una ragione lo stesso Roberto Mancini, che nel momento delle interviste post-partita ha forse tradito l'unico attimo di nervosismo da quando è iniziata la competizione. È successo davanti alle telecamere Rai, quando Alessandro Antinelli gli ha proposto il tema della vittoria giunta un po' più all'italiana. Manco fosse una parolaccia.

In realtà «all'italiana» si è vinto tutto ciò che si potesse vincere nel corso della storia. E ieri sera, assolutamente, gli azzurri hanno superato la prova con una dimostrazione di tempra in perfetta continuità con la tradizione calcistica e identitaria. Ma evidentemente non si può dire. Serve una neo-lingua da neo-italiani. La prossima volta gli si dica che la squadra è stata resiliente e ha vinto grazie alla grande capacità di transizione. Magari se la scrive sul CV.

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