Il professor Loffi e i coniugi Pierozzi arrivano a Tauro Pigro, attratti da un misterioso invito in una località termale. Tra sarcasmo, rimpianti e tensioni coniugali, ciascuno cerca sollievo da una vita insoddisfacente. Ma il relax promesso pare più complesso del previsto
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Finzioni, disponibile sulla app di Domani e in edicola.
La fama della cittadina di Tauro Pigro era in gran parte legata alle sue sorgenti termali. Così almeno sosteneva la brochure che gli ospiti trovarono in camera insieme alle indicazioni per prenotare i trattamenti, una gamma completa di fanghi, massaggi e altre promesse di benessere in grado di risvegliare memorie felici in corpi stanchi, lenire dolori acuti e cronici, riportare alla luce splendori offuscati come, per strofinamento, si risveglia il corrusco lucore dell’argenteria.
Il dépliant annunciava che gli ospiti sarebbero stati sprimacciati, ribaltati, smontati e rimontati da mani esperte fino a tornare alla forma migliore: quella che – sottinteso – avevano perduto.
Il professor Loffi non era solito fidarsi di quel genere di promesse pubblicitarie, né aveva l’abitudine di credere alla semplicità delle cose della vita; o tantomeno all’opportunità di mantenere un’attitudine rilassata rispetto agli eventi futuri. Lui non si rilassava mai e disprezzava in cuor suo chi lo faceva. I mollaccioni, li chiamava: quelli che osavano prendersi arbitrarie vacanze dai propri doveri, o (ancor peggio) quelli che impiegavano, anche solo sporadicamente, la parola “coccole” a intendere una qualche concessione che edulcorasse lo sforzo del vivere. Per lui la vita era una condanna ai lavori forzati e pretendeva che avesse per chiunque la medesima durezza. Lo infastidivano in egual misura l’edonismo, il lassismo, la debolezza di carattere, le cattive maniere, gli strilli degli infanti sui mezzi di trasporto e l’ottimismo.
Il momento giusto
Eppure… eppure, si disse aprendo con mani dalle nocche villose le tende damascate color carta da zucchero e lasciando che la luce del mare inondasse la moquette panna della stanza, eppure era arrivato fin lì. E non per partecipare a un congresso, a un convegno, a un simposio, neppure a una tavola rotonda. Era lì – si disse con un piccolo sospiro – in vacanza. Come i mollaccioni che aveva vilipeso per tutta la vita. Possibile?
Possibile. Ma solo perché l’invito era venuto proprio al momento giusto – provvidenziale, aveva commentato fra sé il professore aprendo la busta. Dopo un periodo di grandi fatiche e indigeribili frustrazioni, dopo che era successo quel che era successo e che non aveva nessuna intenzione di rivangare; dopo tanta amarezza, quella lettera così cortese, scritta in un tono deferente e urbano, l’aveva convinto, lui sempre diffidente, a fare uno sforzo su se stesso e accettare. Non era riuscito a decifrare la sigla della firma, ma accanto allo svolazzo era stampigliato il titolo di direttore, e il Loffi si era fatto l’idea che fosse qualcuno dei suoi facoltosi clienti. Probabilmente gli aveva fatto una consulenza, una valutazione, o curato qualche compravendita a un’asta, chissà quanti anni prima. Nella lettera il misterioso anfitrione mostrava di conoscerlo di fama, il che già deponeva a suo favore. Poi, con quei chiari di luna, un soggiorno gratuito in una rinomata località termale, solo uno sciocco avrebbe potuto rifiutarlo! Il professore era uomo di mondo, era un raffinato intenditore d’opere d’arte, aveva un fiuto sopraffino per i falsi, aveva svergognato ricettatori senza scrupoli che speculavano sulle manie di distinzione di collezionisti ingenui come tordi… figurarsi se proprio lui, Marino Loffi, l’implacabile castigo dei falsari, il vigoroso rabdomante della bellezza, non doveva fidarsi del suo istinto!
Coppia
Con un sorrisetto sardonico (bisogna dire che, avvezzo com’era al sarcasmo, ogni suo sorriso risultava sardonico) indugiò a scrutare il braccio di mare sottostante, strizzando gli occhi come di fronte agli oli che spietatamente valutava, per mettere a fuoco il profilo chiaro di San Gregorio in lontananza. La sirena del porticciolo annunciò un nuovo traghetto. Vide scendere due donne, sulla quarantina, forse – ma da quella distanza era difficile pronunciarsi. Dal molo correvano verso l’hotel, come avessero chissà quale fretta di arrivare. La prima portava un foulard di seta annodato sotto il mento e grandi occhiali scuri, l’altra la seguiva scapigliata, trascinando una valigia pachidermica e inciampando ogni due passi. Aveva una notevole criniera rosso tiziano; poco ma sicuro, però, non sapeva camminare sui tacchi. Strizzò ancora gli occhi, come dovesse valutare pure loro. Anche se nessuno gli aveva chiesto un parere.
Sentirono gracchiare un corvo e alzarono gli occhi come un sol uomo. Essere sposati da una vita, secondo tutti i loro amici divorziati, era una rara fortuna; ma i coniugi Pierozzi, Pierpaolo e Sandra, nata Torvaia – che ancora ogni tanto firmava con il suo nome da ragazza e poi d’impulso si chiedeva se fosse legale, se non dovesse correggere – qualche volta si allarmavano di fronte a questi effetti collaterali. Visti da una certa angolatura, potevano anche apparire divertenti; ma Sandra non era convinta che fosse proprio il massimo trasformarsi, a sessantacinque anni d’età, in una copia di suo marito. Quando lo osservava a tavola, quando si soffermava sull’orribile, vorace energia che metteva nel masticare, sull’avversione che manifestava verso un utensile utile e innocuo come il tovagliolo, le si accapponava la pelle.
Trentacinque anni di vita comune li avevano fusi in un unico individuo, il quale malauguratamente somigliava, nel suo complesso, più a lui che a lei. E non a lui com’era stato a vent’anni, bruno e scattante, con due occhi sfrontati che parevano ammiccare sempre. Intanto, tutto quell’ammiccare si era rivelato esito di un astigmatismo mal diagnosticato; poi, era imbolsito presto, e lo stesso, pur con diversi anni di ritardo, era accaduto a lei. Ora aveva persino un accenno di mustacchio sul labbro superiore – lei, che era sempre stata liscia come una pesca! – ad alimentare l’impressione di quell’improvvida affinità. Portavano occhiali con montature gemelle, lui rossa e lei blu, l’ennesima idea che sul momento era parsa spiritosa e ora le sembrava solo stupida, persino un po’ triste. Dicevano le stesse cose, qualche volta addirittura nello stesso momento; quel che era più grave era però che non pensassero le stesse cose, poiché l’unica a esercitare ancora il cervello era rimasta lei. Almeno, questa era la sua impressione. Suo marito non faceva che mangiare, bere, russare, e lei non ne poteva più; quando lo guardava vedeva tutto il tempo che era passato, quanto erano cambiati dai ragazzi di una volta, le occasioni di felicità che avevano sprecato. Allora le montava una rabbiosa malinconia e se la prendeva con lui. Ma era inutile, era come prendersela con sé stessa. Tempo buttato.
La fatica
Forse quella vacanza avrebbe appianato un po’ le cose, avrebbe aiutato a distendere i rapporti, o almeno a farle dimenticare il fastidio del tran tran quotidiano.
Forse una vacanza era proprio quel che ci voleva. Forse non aveva senso rompersi la testa nel tentativo di capire da dove fosse spuntato l’invito – Sandra ci si era lambiccata per giorni, poi aveva concluso che probabilmente si trattava di qualche coupon riempito sovrappensiero mentre sfogliava una rivista in sala d’aspetto dal dentista. Si era infatti appena sottoposta alla delicata estrazione di un molare. Pierpaolo a ognuna delle sue ipotesi aveva risposto con i soliti mugugni, ma ormai lei non si stupiva nemmeno più di quanto potesse essere neghittoso quell’uomo. E dire che quando se l’era sposato… o si era sbagliata lei?
Il corvo era scomparso al di là delle tegole rosse del tetto dell’hotel. Sandra Torvaia riprese il manico della sua valigia e salì gli scalini che portavano alla reception senza aspettare il marito, il solito bietolone che rimaneva incantato a guardare in su.
Aveva adocchiato immediatamente il bar nella hall, perché era un uomo di mondo e sapeva che quando si viaggia è essenziale concedersi ogni possibilità di benessere, non lesinare sulle occasioni voluttuarie, aggrapparsi al minimo spiraglio di sollievo. Perché viaggiare è una fatica, e la fatica peggiora le persone…
Da L’hotel del tempo perso, Rizzoli, 2025
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