La notizia sconcertante delle intercettazioni illecite di giornalisti e avvocati da parte dei procuratori impegnati in indagini volte a colpire le ong attive nei soccorsi in mare ci ha indignati, ma sicuramente non sorpresi. Avevamo intuito da tempo, magari sperando di sbagliarci, che l’operazione di criminalizzazione della solidarietà e della difesa dei diritti umani, portata avanti dalle autorità italiane, non si sarebbe fermata davanti a nulla.

E infatti abbiamo avuto prova di come anche i principi cardine del nostro ordinamento giuridico possano essere calpestati fino a mettere in pericolo il diritto a un’informazione libera e quello alla difesa pur di colpire chi salva vite in mare. Nei giorni che hanno preceduto questo scandalo, d’altra parte, le intercettazioni di membri delle ong, estrapolate dal contesto delle conversazioni registrate, sono state diffuse e usate strumentalmente per screditare le persone intercettate e, di riflesso, tutte le organizzazioni umanitarie impegnate in attività di ricerca e soccorso.

Questa nuova ondata di attacchi indiscriminati al nostro lavoro indispensabile si differenzia nei dettagli da quelle precedenti, ma è in linea di continuità con l’ostilità cui siamo abituati a far fronte da almeno quattro anni e quattro governi, tutti incredibilmente preoccupati di impedire con ogni mezzo che le persone in fuga dalla Libia possano arrivare vive in Europa.

Se non fosse per le omissioni di soccorso criminali di queste stesse autorità, noi non esisteremmo. Saremmo ben contenti di non essere più indispensabili perché le istituzioni italiane ed europee adempiono al loro dovere di soccorrere chiunque si trovi in pericolo in mare.

Purtroppo non è così e la nostra presenza sarà necessaria ancora a lungo, almeno a giudicare dalle parole del presidente del Consiglio Draghi in visita in Libia, che confonde i respingimenti illegali con i soccorsi in mare.

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