In Italia, 70 mila alunni con disabilità, il 23 per cento, non ha potuto partecipare alla didattica a distanza durante il primo lockdown. Nel mezzogiorno la percentuale ha sfiorato il 30 per cento, a fronte di una media dell’8 per cento. È quanto emerge dal rapporto dell’osservatorio sulla povertà educativa “Diritto incondizionato. L’inclusione dei minori con disabilità, tra la rimozione delle barriere sociali e culturali e il superamento di quelle architettoniche”. Lo studio è stato pubblicato in occasione della giornata internazionale delle persone con disabilità, ed è a cura della fondazione Openpolis e l’impresa sociale “Con i bambini”.
Quello degli studenti disabili che non hanno potuto usufruire della dad è uno dei dati peggiori rilevati dal osservatorio sulla povertà educativa. Non solo, un altro limite all’istruzione è quello delle barriere architettoniche presenti nelle scuole. Così se il 23 per cento degli alunni non ha potuto accedere alla didattica a distanza, per contro il 46,4 per cento delle scuole italiane non è accessibile a studenti con disabilità, per la presenza di barriere fisiche.

In base alle testimonianze degli insegnanti, raccolte attraverso l’indagine Invalsi, «il profilo degli esclusi dalle lezioni in emergenza coinciderebbe molto spesso con quello di studente Bes», cioè portatore di bisogni educativi speciali.

I dati

«Insieme allo svantaggio socio-economico e al background migratorio, la disabilità è stata un forte limite alla concreta possibilità di accesso alla Dad», evidenzia il rapporto. Tra i motivi che hanno reso impossibile fare didattica a distanza nei mesi del primo lockdown, per il 27 per cento dei casi, c’è la gravità della patologia. Poi, la difficoltà da parte delle famiglie nell’attivazione della dad, una problematica emersa in un caso su cinque.

Per il 17 per cento degli alunni, invece, l’impossibilità è derivata dal disagio socio economico della famiglia. C’è poi la questione dell’incompatibilità tra il proprio piano educativo per l’inclusione (Pei) e le modalità previste dalla dad, che ha inciso nel 6 per cento. Infine, la mancanza di dispositivi tecnologici e di ausili didattici specifici per i disabili. Questo stato di cose, come si legge nel documento, ha «riproposto lo svantaggio formativo di cui soffrono questi bambini e ragazzi».

Ma cosa significa avere una disabilità? Come rileva il rapporto, «per decenni, la lettura prevalente ha confinato la disabilità in un ambito quasi esclusivamente clinico».  E, nel caso di minori di età, l’attenzione si «concentra sul profilo di studente con handicap oppure su quello di utente dei servizi sociali». Una prospettiva che il rapporto definisce «fortemente limitante», oltreché superata dalla letteratura scientifica da almeno un ventennio. Nel 2001 l’Organizzazione mondiale della sanità è passata da un approccio meramente clinico nei confronti della disabilità a concepirla come «il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive». Pertanto, «in condizioni ambientali sfavorevoli chiunque affronti un problema di salute può vivere una disabilità».

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