Ieri sera la facciata di Palazzo Chigi si è illuminata con lo slogan «Non sei sola, chiama il 1522» e parlando da piazza Colonna, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha detto: «Siamo qui per dire alle donne italiane che non sono sole. Le norme ci sono. Le istituzioni ci sono». Nonostante aver tagliato i fondi per la prevenzione primaria, Meloni ha voluto specificare che il suo governo «ha portato i fondi per i centri antiviolenza a un livello mai visto prima». 

La morte di Giulia Cecchettin non è stato il primo caso di femminicidio in Italia e neanche l’ultimo. Il 20 novembre, a Fano, Rita Talamelli è stata uccisa dal marito. Quello di Giulia è però il caso che ha riacceso il dibattito pubblico e politico attorno al tema, rivoluzionando la percezione sociale di un dramma quotidiano, anche grazie all’impegno della sorella Elena. È proprio sulla spinta della sorella («Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto») che il movimento Non una di meno ha indetto l’annuale manifestazione del 25 novembre, nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, al grido di «Bruciate tutto». Per la prima volta in otto anni, il corteo nazionale di Non una di meno si è sdoppiato, si tiene a Roma e a Messina. Alle 14.30 al Circo Massimo si concentreranno tutti i manifestanti della capitale che marceranno fino a San Giovanni. A Messina invece la riunione è alle 15 a Largo Seggiola, il corteo partirà un’ora dopo da via Cesare Battisti. La scelta di Messina non è casuale, non solo è un modo per venire incontro alle difficoltà di movimento di tutte le siciliane e i siciliani, ma è anche un modo per portare avanti le mobilitazioni nate dopo lo stupro di Palermo di agosto.

Il programma

La marea che scenderà in piazza oggi a Roma insieme a Non una di meno è composta da Centri antiviolenza, tra cui Lucha y Siesta che marcia insieme al movimento da tempo, comunità lgbt, consultori e compagne palestinesi, curde e iraniane. Come riferito a Domani dall’attivista di Non una di meno Isabella Borrelli, la violenza da combattere non è solo quella fisica dell’uomo sulla donna, infatti, «la violenza patriarcale ha numerose declinazioni», per questo la manifestazione sarà intervallata da diverse azioni. La prima, all’inizio del corteo sarà a cura dalle donne palestinesi contro il «genocidio a Gaza» secondo quanto riferisce il movimento.

Tra le altre sette azioni previste c’è la riappropriazione di un semplice gesto che tutte le donne hanno compiuto almeno una volta nella vita tornando da sole a casa, stringere il mazzo di chiavi tra le mani. Da gesto di difesa – tenerle nel palmo e stringerle in un pugno – stavolta diventerà altro, «un’affermazione di solidarietà femminista, perché le strade sicure le fanno le libere soggettività che le attraversano» dice Borrelli, e dunque le chiavi staranno in aria, bene in vista, a tintinnare. O ancora il “grido muto”, il silenzio che cala tra le migliaia di persone in piazza, fin quando loro stesse lo romperanno con urla liberatorie. Un’azione che si oppone alla «retorica di mortificazione e paura che il governo propone quando chiede di fare un minuto di silenzio per Giulia Cecchettin» spiega Borrelli.

Contro la logica della mortificazione che coinvolge i corpi delle donne, la piazza affermerà il «diritto al piacere», mentre il collettivo transfemminista Cattive maestre esporrà l’educazione sessuoaffettiva «amorale, aconfessionale, onnicomprensiva e aperta a tutti gli orientamenti di genere sessuali» che loro e Non una di meno propongono. «Un’educazione – dice Borrelli – completamente opposta» alle linee guida “Educare alle relazioni” del ministro dell’ Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, definite da Borrelli «fumose e mortificanti» e che non prevedono nemmeno «l’intervento degli operatori dei Cav» che – come ha ricordato l’Istat nel report pubblicato ieri sui centri antiviolenza – oltre a rappresentare un presidio di protezione per le donne, si occupano della prevenzione rispetto alla violenza di genere per gli operatori di settore e per la cittadinanza. Si parla di oltre tre quarti dei Cav (il 75,4 per cento), che l’anno scorso ha organizzato attività formative rivolte all’esterno.

I femminicidi

I numeri raccolti dall’Istat per il 2022 sui femminicidi e le utenze dei Centri antiviolenza disegnano un quadro allarmante. L’anno scorso si sono verificati 322 omicidi, di cui 126 con una donna per vittima, ben l’84 per cento sono ritenuti dei femminicidi (106 su 126). Tra queste 61 sono state uccise dal partner o ex partner. Per l’Istat il dato conferma la tendenza degli ultimi tre anni e racconta come per le donne le morti violente avvengano soprattutto all’interno della coppia.

Confrontando i dati del 2022 con quelli del 2021, l’Istat ha rilevato che è in crescita il numero di donne uccise da parenti (0,14 su 100mila donne, contro lo 0.10 del 2021), anche qui nell’81,4 per cento si tratta di delitti perpetrati da uomini, segno che l’assoggettamento fisico o psicologico della donna non si esaurisce nella coppia, ma può iniziare e finire nella propria famiglia.

La rete antiviolenza

L’analisi fatta sui centri antiviolenza (Cav) indica che stanno emergendo sempre più donne che chiedono aiuto. Sempre l’Istat ha rilevato che nel 2022 le donne che hanno contattato almeno una volta i Cav sono state oltre 60 mila, in aumento del 7,8 per cento rispetto al 2021 e del 39,8 per cento rispetto al 2017 (anno in cui l’istituto ha cominciato a raccogliere dati inerenti al sistema di protezione delle donne vittime di violenza). E sono oltre 105mila i contatti per richieste di aiuto delle donne, +4,9 per cento rispetto al 2021. Il 2022 vede anche un aumento del 3,2 per cento dell’offerta dei Centri antiviolenza rispetto all’anno precedente e del 37 per cento rispetto al 2017. Anche se il processo di uscita della violenza appare forse ancora farraginoso. Il 20,9 per cento delle donne si è rivolto a più di tre servizi prima di approdare al Cav.

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