«La violenza sulle donne è una barbarie sociale che richiede un’azione più consapevole di prevenzione severa, concreta e costante» così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in una lettera inviata ieri al Corriere della sera in occasione della decima edizione del festival “Il tempo delle donne”. «Non c’è libertà quando una persona è vittima di molestie e violenze fisiche o morali – continua il presidente – è importante agire sul sistema educativo e culturale contro mentalità distorte e una miserabile concezione dei rapporti tra donna e uomo».

Parole riprese anche dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che ieri si trovava a Palermo. «Contro i femminicidi si può fare molto, soprattutto dal punto di vista culturale, è importante parlarne e sono importanti i messaggi come quello inviato dal presidente della Repubblica» ha detto. «Noi perseguiamo e reprimiamo questi reati con la legge, ma bisogna puntare sempre di più sulla scuola».

Le istituzioni ne parlano, la Camera ieri ha approvato una stretta alle norme del cosiddetto “Codice rosso” – la legge del 2019 che istituisce una corsia preferenziale per le denunce e le indagini riguardanti casi di violenza su donne e minori – e la Commissione giustizia di Montecitorio ha iniziato mercoledì l’esame di un nuovo disegno di legge per il contrasto alla violenza sulle donne e alla violenza domestica. Eppure questa settimana si conclude con il bilancio, tragico, di altri due femminicidi, uno a Roma (Rossella Nappini, 52 anni) e l’altro nel trapanese (Marisa Leo, 39 anni).

Il quadro legislativo

Prima del 2013 il genere della vittima non assumeva uno specifico rilievo nel nostro codice penale, tanto che non veniva nemmeno censito nelle statistiche giudiziarie. Ma quell’anno l’Italia ha ratificato la Convenzione di Istanbul, il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che si preoccupa di creare un quadro globale di misure volte alla protezione delle donne contro qualsiasi forma di violenza. Da quel momento governi e parlamento hanno iniziato a lavorare per inserire nel nostro ordinamento nuove norme per combattere il fenomeno del femminicidio.

Con il decreto n. 93 del 2013 sono state introdotte modifiche al codice penale inserendo aggravanti per reati di violenza sessuale e modifiche al codice di procedura penale che prevedono l’uso di intercettazioni per reati di stalking, allontanamento dalla casa familiare per l’autore delle violenze e danno priorità assoluta alle udienze per reati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e stalking.

Durante la legislatura successiva il parlamento ha proseguito il lavoro, specialmente con la legge n. 69 del 2019 (Codice rosso) che tra le altre cose ha inserito quattro nuovi delitti nel codice penale che vanno a punire condotte mai normate delle violenze di genere e soprattutto ha agito nuovamente sul codice di procedura penale, andando a velocizzare i procedimenti penali per i delitti di violenza domestica e di genere come anche l’adozione di provvedimenti di protezione delle vittime.

L’idea è che, più che in altri delitti, l’urgenza con cui si interviene nei reati di violenza domestica e di genere può fare la differenza tra la vita e la morte della vittima. Un’idea rafforzata dalla modifica approvata al Senato, e l’altro ieri alla Camera, che prevede sia il procuratore della Repubblica ad ascoltare la persona che ha denunciato qualora il magistrato designato non l’abbia fatto entro tre giorni dall’inizio delle indagini.

Dati

Le norme ci sono, ma i femminicidi non sono diminuiti. Come rivela l’Istat, a fronte di una generale diminuzione degli omicidi volontari – di cui ha beneficiato il genere maschile per la contrazione degli omicidi di mafia – il numero dei femminicidi, come incidenza sul totale degli omicidi, è proporzionalmente in crescita.

Sono 79 le vittime donne dall’inizio dell’anno, solo due meno rispetto allo stesso periodo del 2022. Una tendenza che non indica una riduzione del fenomeno. Dall’analisi del Viminale sui femminicidi degli ultimi tre anni infatti le vittime donne in ambito familiare o affettivo dal 2020 al 2022 sono state rispettivamente 101, 103 e 104, mentre quelle uccise da un partner o ex partner rispettivamente 68, 70 e 61.

Secondo la presidente di Differenza donna, Elisa Ercoli, il sistema normativo italiano in materia di violenza di genere è di «alto livello». Ma allora perché le leggi che si sono susseguite non hanno prodotto alcun cambiamento reale in questi dieci anni? La risposta la fornisce sempre Ercoli: «La cultura patriarcale impedisce l’implementazione e l’applicazione delle norme». Quei settori che potrebbero prevenire la violenza sono colmi di stereotipi e pregiudizi che – come ricordava Mattarella – «impregnano la cultura del nostro paese e accrescono la disparità di potere nel rapporto uomo-donna».

Per Ercoli è fondamentale agire sulla formazione di forze dell’ordine, operatori socio-sanitari e giudici perché «gli stereotipi impediscono a questi ruoli istituzionali di applicare delle norme altrimenti valide».

Quando una donna chiede aiuto il primo impatto con chi l’accoglie è importantissimo. Non tutte le donne sono pronte a raccontare tutto subito. E se operatori e polizia non sono correttamente formati potrebbero sottovalutare il pericolo. Anche una lesione lieve, che potrebbe essere ignorata dal medico, è un episodio grave perché le lesioni arrivano in una fase avanzata del maltrattamento.

Ercoli poi evidenzia un elevato tasso di sessismo nei tribunali, che emerge in numerose sentenze che hanno a oggetto reati di violenza di genere in cui si colpevolizza la vittima, tanto che Differenza donna le ha spesso impugnate con successo davanti la Corte europea. In sostanza è inutile approvare delle leggi se poi quelle stesse norme non vengono giustamente utilizzate da chi ha il potere per prevenire la violenza.

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