La gestione della pandemia di Covid-19 da parte del secondo governo Conte è stato uno degli elementi al centro della crisi politica che ne ha determinato la caduta. Quando le cose sembravano andare male, i critici hanno accusato il governo di aver gestito l’emergenza peggio dei nostri vicini europei, mentre quando era l’Italia ad apparire in una posizione migliore, i suoi difensori ne hanno sottolineato i risultati positivi.

Non facile determinare in modo oggettivo chi ha ragione e probabilmente si discuterà ancora a lungo delle decisioni che sono state prese e di cosa invece non è stato fatto. Già oggi però è possibile fare una storia dell’ultimo anno del governo Conte, esaminare le misure sanitarie che ha intrapreso, le condizioni nelle quali si trovava quando lo ha fatto, e fare un paragone con gli altri principali paesi europei.

La prima ondata

L’Italia è stato il primo paese in Europa a essere colpito dal Covid-19 e il governo Conte è stato il primo a chiudere e quello a farlo in maniera più dura. Ad esempio, il primo lockdown localizzato è scattato subito dopo la scoperta del primo focolaio a Codogno, lo scorso 21 febbraio, una rapidità unica tra i grandi paesi europei, nessuno dei quali è intervenuto così decisamente dopo la scoperta dei primi focolai. Il 5 marzo, l’Italia è stata anche il primo paese in Europa a chiudere le scuole. Il lockdown nazionale è invece iniziato soltanto due settimane dopo la scoperta dei focolai in provincia di Lodi, il 9 marzo, un ritardo che in Italia ha causato molte polemiche nelle settimane successive.

La Francia è il paese che ha seguito l’Italia più rapidamente, adottando un lockdown nazionale il 16 marzo, a circa tre settimane di distanza dalla scoperta del primo focolaio nel paese. Il governo ha comunque insistito affinché le elezioni amministrative del 15 marzo si svolgessero regolarmente in tutto il paese.

In Germania il governo ha sostanzialmente seguito l’esempio francese e ha adottato il primo lockdown il 22 marzo, poco meno di un mese dopo la scoperta dei primi focolai nello stato del Nord Reno-Vestfalia. Inoltre, il 15 marzo, in Baviera si sono tenute regolari elezioni amministrative.

Il governo del Regno Unito è l’unico ad aver adottato una strada radicalmente differente all’inizio dell’epidemia, respingendo le ipotesi di lockdown, criticando i governi che adottavano questa strategia e perseguendo la cosiddetta immunità di gregge (la speranza che facendo gradualmente ammalare l’intera popolazione, si riesca a genere un’immunità diffusa in grado di eliminare il virus senza lockdown). Per questa ragione è stato l’ultimo tra i grandi paesi europei ad adottare un lockdown nazionale il 26 marzo (un mese dal primo focolaio a Edimburgo e quando i nuovi casi al giorno erano diventati 11.500 e i decessi quasi 600).

Seconda ondata

In Francia la seconda ondata è cominciata con molto anticipo rispetto al resto d’Europa e il governo francese è stato il primo a dare il via a un secondo lockdown lo scorso 28 ottobre. Ma il lockdown è arrivato solo quando i nuovi casi al giorno erano arrivati a una media di quasi 40mila: nessun altro dei grandi paesi europei ha mai atteso così tanto per inasprire le misure di contenimento. A differenza del primo lockdown, le scuole sono rimaste aperte.

In Germania, il governo ha coordinato le misure di chiusura autunnale con quello francese. Il secondo lockdown è stato annunciato il 28 ottobre, quando i nuovi casi erano in media circa 18mila al giorno. Anche in Germania gran parte delle scuole sono rimaste aperte all’inizio della seconda ondata.

Tra i grandi paesi europei l’Italia è quello che ha visto iniziare la seconda ondata più tardi, il che spiega in parte la reazione più lenta del suo governo. La prima misura adottata a livello nazionale è stato il coprifuoco alle 22 approvato il 25 ottobre, quando i nuovi casi al giorno erano circa 17 mila. Il sistema a zone gialle, arancioni e rosse è stato introdotto il 6 novembre, circa due settimane dopo, quando i nuovi casi giornalieri erano oramai arrivati a circa 30mila al giorno. A differenza degli altri grandi paesi europei, nel corso della seconda ondata il governo italiano ha chiuso le scuole superiori e limitato quelle inferiori.

La seconda ondata ha visto il governo del Regno Unito riallinearsi agli altri grandi paesi europei dopo l’abbandono definitivo della strategia dell’immunità di gregge. Il 12 ottobre (con circa 14mila nuovi casi al giorno) il governo britannico ha introdotto un nuovo sistema di lockdown locali e flessibili, un sistema simile a quello delle zone colorate italiane (ma a cui è stato dato il via quando il numero di nuovi casi nel paese era la metà di quello italiano).

Il nuovo anno

Nel 2021, la Germania si è confermata il paese con il governo più severo nella gestione della pandemia. Non solo la gran parte delle misure di contenimento è rimasta in vigore nel periodo delle vacanze, ma a dicembre le scuole sono state chiuse a livello nazionali e nuove restrizioni sono state approvate nel mese di gennaio.

Dopo il lockdown di fine ottobre, la Francia ha visto calare il significativamente il numero di nuovi casi, tanto che a novembre c’è stato un primo allentamento. Ma a metà gennaio, con circa 15mila nuovi casi in media al giorno, il governo ha allungato il coprifuoco dalle 18 alle 6 di mattina, facendolo diventare così il più duro tra quelli adottati dai grandi paesi europei. In tutto questo periodo, la Francia ha sempre mantenuto le scuole aperte.

Nel Regno Unito, il sistema a zone introdotto ad ottobre ha contribuito a ridurre l’epidemia fino a una media di circa 10mila nuovi casi al giorno all’inizio di dicembre, ma la diffusione della variante più contagiosa del coronavirus ha causato un rapido incremento dei casi che, nella seconda settimana di gennaio, ha prodotto il record europeo di infezioni: quasi 60mila al giorno. Il 5 gennaio, il primo ministro Boris Johnson ha dovuto annunciare un nuovo lockdown nazionale simile a quello di marzo, con annessa chiusura delle scuole.

Per l’Italia, invece, l’inizio dell’anno ha segnato un momento di sostanziale riapertura, dettato non tanto dalle scelte del governo quanto dall’inaspettato rallentamento dell’epidemia. Il governo ha cercato di prevenire almeno in parte le riaperture rendendo più facile per una regione finire in zona arancione e rossa. Ma il basso numero di contagi ha comunque portato gran parte del paese in zona gialla a partire dal primo febbraio. Le scuole superiori rimangono comunque parzialmente chiuse in tutto il paese.

Tamponi

Per quanto riguarda i tamponi, tutti i grandi paesi europei hanno fatto significativi progressi nella quantità di test che riescono a somministrare e analizzare, ma allo stesso tempo sono tutti rimasti sotto gli obiettivi che i loro governi si erano posti.

In Italia, il numero di tamponi è cresciuto costantemente dall’inizio della pandemia, tranne alcune settimane di diminuzione durante le vacanze di Natale. Oggi, l’Italia analizza una media settimanale di 250mila tamponi al giorno. Si tratta del numero più alto dall’inizio della pandemia, ma ancora inferiore alla promessa del governo di raggiungere i 350mila tamponi al giorno.

La Francia ha avuto un percorso simile a quello italiano, riuscendo però ad analizzare in rapporto alla popolazione un numero di tamponi sempre leggermente superiore (4,8 otto test ogni centomila abitanti, contro i 4,1 dell’Italia).

In Germania, invece, le autorità sanitarie hanno deciso di cambiare strategia e, all'incirca dalla metà di dicembre, hanno ridotto sensibilmente il numero di tamponi analizzati. Il loro obiettivo è ridurre i ritardi accumulati dai laboratori a causa dell’eccessivo numero di tamponi da analizzare così da risultati più tempestivi e quindi più utili per fare calcoli e stime sullo stato dell’epidemia. Oggi, la Germania fa meno della metà dei test di Italia e Francia in rapporto alla popolazione.

Il Regno Unito è un’eccezione nel senso opposto e grazie a un capillare sistema di laboratori è diventato uno dei paesi che fanno più test al mondo: una media di circa 500mila al giorno, il doppio dell’Italia, ma comunque lontanissima dall'obiettivo fissato dal governo, ben 10 milioni di test al giorno.

Tracciamento

La principale utilità dei tamponi è quella di permettere il tracciamento e quindi l’isolamento dei casi infetti, il sistema migliore per contenere l’epidemia secondo l’Organizzazione mondiale della sanità. Purtroppo, però, tutti i grandi paesi europei hanno fallito nel contenere l’epidemia con questi strumenti.

In Italia, il fallimento del sistema di tracciamento è stato dichiarato ufficialmente a metà ottobre, quando i nuovi casi giornalieri si sono avvicinati a 10mila al giorno. In autunno, il governo ha deciso di assumere 1.500 tracciatori aggiuntivi rispetto ai circa 10mila già impiegati dalle regioni, ma il loro arrivo non ha cambiato la situazione.

Circa una settimana dopo l’Italia, anche la Germania ha raggiunto lo stesso livello di casi e le sue autorità sanitarie hanno ammesso il fallimento del sistema di tracciamento.

In Francia il sistema è collassato prima di raggiungere la quota critica di 10mila nuovi casi al giorno. Nel corso dell’estate, infatti, il governo aveva dato a chiunque la possibilità di essere testato. Questo aveva prodotto un numero di richieste impossibile da processare per i laboratori e i giornali francesi che segnalavano fino a una settimana di ritardo tra data di prelievo del campione e comunicazione del risultato. Come in Italia, la decisione di assumere 2mila nuovi tracciatori in autunno non ha modificato la situazione.

Il Regno Unito è un’eccezione per via del numero altissimo di tamponi che realizza, circa il doppio degli altri grandi paesi europei. Ma anche qui il sistema di tracciamento è collassato tra settembre e ottobre, quando i tempi per ottenere il risultato di un tampone sono arrivati in alcuni fino casi a cinque giorni.

Vaccini

I confronti sulla distribuzione di vaccini sono particolarmente complicati poiché Regno Unito e paesi membri dell’Unione Europea hanno due sistemi diversi per approvvigionarsi, con il primo che ha sottoscritto una serie di contratti con i produttori in modo autonomo, e i secondi che hanno invece affidato l'acquisto alla Commissione europea.

Al momento, la strategia che sembra funzionare meglio (cioè quella che ha permesso di ottenere la maggiore quantità di vaccini) è quella del Regno Unito e questo influenza direttamente i risultati delle vaccinazioni. Con 16 dosi di vaccino distribuite ogni 100mila abitanti, il Regno Unito è al terzo posto al mondo per somministrazioni dopo Israele ed Emirati Arabi Uniti. La strategia britannica prevede di fornire la prima dose al più alto numero di persone possibile il più in fretta possibile, quindi il numero di persone vaccinate con due dosi rimane piuttosto basso, lo 0,74 per cento della popolazione.

Tra i grandi paesi europei, l’Italia arriva subito dopo il Regno Unito per numero di vaccini somministrati, ma a grande distanza (soprattutto a causa della scarsità di vaccini disponibili per l’Unione europea), con circa 3,8 persone vaccinate ogni 100mila abitanti. L’Italia è invece seconda in Europa, dopo la Danimarca, per seconde dosi distribuite. L’1,58 per cento della popolazione, il doppio del Regno Unito, ha già ricevuto una vaccinazione completa.

In questa classifica, la Germania arriva terza, con 3,57 persone vaccinate ogni 100mila abitanti e l’1 per cento della popolazione che ha già ricevuto la seconda dose (il ritardo della Germania rispetto all’Italia è probabilmente dovuto al fatto che nel paese un numero maggiore di vaccini è stato distribuito ad anziani e residenti nelle case di riposo, più complicati da raggiungere rispetto agli operatori sanitari che in Italia hanno ricevuto la maggioranza delle vaccinazioni).

Tra i grandi paesi europei la pecora nera è la Francia che ha vaccinato solo 2,8 persone ogni 100mila abitanti e ha somministrato la seconda dose allo 0,2 per cento della popolazione. Il piano vaccinale francese ha avuto enormi difficoltà a partire, in parte per la decisione di cominciare dagli anziani, invece che dagli operatori sanitari.

Conclusione

La gestione della pandemia da parte dei governi europei nel corso dell’ultimo anno è stata per molti aspetti simile. In generale, la Germania ha chiuso in anticipo rispetto ad Italia e Francia che, in particolare nel corso della seconda ondata, hanno aspettato fino a quando i nuovi casi non erano superiori ai 30mila al giorno prima di intervenire. Il governo britannico è stato invece l’unico a compiere una svolta di 180 gradi, respingendo per settimane l’idea dei lockdown adottati nel resto d’Europa, per poi adeguarsi quando l’epidemia minacciava di andare fuori controllo.

Tutti e quattro i paesi, inoltre, non sono riusciti a prepararsi adeguatamente alla seconda ondata nel corso della scorsa estate. L’aumento nella capacità di fare test e tracciamento non è stato sufficiente e tutti e quattro hanno dovuto adottare lockdown nazionali piuttosto simili.

Ma è importante ricordare che ci sono altri fattori, fuori dal controllo immediato dei governi, che distinguono questi quattro paesi. Il numero di casi del Regno Unito, ad esempio, è influenzato dalla diffusione dalla variante del coronavirus. È colpa di questa famosa B117 se nel Regno Unito i casi sono tornati a toccare un livello record, nonostante il lockdown.

Altrettanto importante è quanto erano efficienti e organizzati i sistemi sanitari prima dello scoppio della pandemia. La Germania, ad esempio, negli ultimi anni ha aumentato molto la sua spesa sanitaria, mentre l’Italia l’ha ridotta. E questo emerge chiaramente nel modo in cui i due paesi hanno affrontato la pandemia. Ad esempio, non si può non considerare che la Germania ha un basso numero di decessi anche perché partiva con il triplo delle terapie intensive per abitanti rispetto all’Italia e una delle sanità territoriali migliori d’Europa.

Ma pur tenendo conto di queste differenze che dettano almeno parte della risposta alla pandemia, indipendentemente da ciò che fanno o non fanno i singoli governi, i numeri assoluti di contagi e decessi sembrano mostrare che in Europa l’epidemia è stata affrontata in modo più organico di quanto si possa pensare. Il Regno Unito ha avuto 3,88 milioni di casi confermati, la Francia 3,3, l’Italia 2,58 e la Germania 2,23. Anche i decessi presentano un quadro simile. Il Regno Unito ne ha avuti 110mila, l’Italia quasi 90mila, la Francia 77mila e la Germania quasi 60mila.

 

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