Il report sullo Stato di diritto 2025 della Commissione europea promuove l’Italia con riserva: 28 pagine di ritardi strutturali, giustizia lenta, libertà civili a rischio, trasparenza assente, giornalisti spiati. Attacchi ai magistrati, abuso di decreti-legge e controllo della Rai. Zan (Pd): «Smascherano una deriva autoritaria ormai sotto gli occhi di tutti»
Fosse un esame, l’Italia lo avrebbe passato con il minimo. Un sei, pieno di note a margine e promesse non mantenute. Il Report sullo Stato di diritto 2025 presentato dalla Commissione europea, fotografa un Paese che si salva per inerzia, ma inciampa quasi su tutto. Mentre registra miglioramenti in diversi Stati membri, l’Ue dedica al Paese guidato da Giorgia Meloni 28 pagine di allarmi e ritardi. Non una semplice “critica tecnica”, ma una denuncia serrata.
La relazione europea parla di un sistema giudiziario ancora stretto in un nodo irrisolto di lentezze, organici insufficienti e riforme a metà. La digitalizzazione della giustizia penale è un miraggio (“l’Italia dispone di soluzioni digitali limitate”, si legge), con i tribunali che arrancano dietro il civile. La riforma sulla separazione delle carriere, approvata alla Camera ma bloccata al Senato, suscita “riserve da parte della magistratura” e rischia di alterare gli equilibri istituzionali.
Giustizia e corruzione
Il rapporto non nasconde le contraddizioni: sì, qualcosa si muove, ma lo sforzo appare ancora insufficiente. La durata media dei processi resta troppo lunga, gli arretrati ingombrano i tribunali, e le carenze di personale pesano sull’efficienza e sulla giustizia stessa. Il report segnala anche l’allarme dei magistrati per gli attacchi politici che “rischiano di minare la fiducia dei cittadini e l’indipendenza della giustizia”.
Nel capitolo sulla corruzione, il quadro è altrettanto preoccupante. La cancellazione dell’abuso d’ufficio è vista come un indebolimento delle garanzie contro i comportamenti opachi della pubblica amministrazione. Le norme su conflitti di interesse e lobbying restano ferme all’anno zero: manca un registro pubblico trasparente che documenti i contatti tra politici e gruppi di pressione.
Soldi alla politica
La questione dei finanziamenti alla politica è tra le più scottanti. La Commissione registra “nessun progresso” e una persistente mancanza di trasparenza: fondazioni e associazioni veicolano donazioni private ai partiti fuori da ogni controllo. Bruxelles invita a istituire “un sistema elettronico unico” e accessibile. Sul fronte istituzionale, l’abuso dei decreti-legge limita il dibattito parlamentare e offusca la trasparenza legislativa.
La libertà di stampa è un terreno minato, dove il lavoro giornalistico è ostacolato da norme restrittive e intimidazioni continue. La “riforma Nordio” e l’emendamento Costa hanno innalzato muri di silenzio: limitano la pubblicazione integrale delle ordinanze di custodia cautelare e innescano autocensure per paura di querele. Il report denuncia che alcune procure hanno omesso volutamente notizie di interesse pubblico. A Milano un protocollo sperimentale ha provato a rimediare, ma Bruxelles lo considera solo un palliativo.
Giornalismo spiato
L’esposizione della RAI “a rischi di ingerenze indebite” resta una preoccupazione persistente. Sei proposte di riforma sono state presentate nell’ottobre 2024, ma il Parlamento è fermo. Alcuni osservatori collegano lo stallo alla nomina del nuovo presidente della RAI, segno di un’egemonia politica ancora dominante.
Sul piano della sicurezza dei cronisti, il bilancio è inquietante: solo nel 2024 si contano 87 attacchi, tra minacce, spyware e perquisizioni. Lo scandalo Paragon -che ha rivelato l’uso di spyware per monitorare giornalisti italiani- rappresenta una minaccia senza precedenti al segreto professionale e alla libertà di stampa.
Nel campo delle libertà civili, il campanello d’allarme suona fortissimo. La nuova legge sulla sicurezza, approvata a giugno 2025, è descritta come “una grave violazione” dello spazio civico. Mascherata da norma anti-terrorismo, introduce divieti di accesso a spazi pubblici, inasprisce pene per manifestazioni, scioperi e blocchi. Le organizzazioni civiche temono venga usata per reprimere il dissenso. Anche la Cassazione ha espresso perplessità formali e sostanziali. In questo quadro pesa l’assenza di un’istituzione indipendente per i diritti umani: un ritardo ingiustificabile proprio in un momento di urgente bisogno di tutele, un vuoto che si trascina da anni, nonostante almeno cinque proposte ferme in Parlamento.
Un rapporto che restituisce il fermo immagine di un Paese che tenta di correre verso la modernità ma inciampa in vecchie rughe di inefficienza, scivola in zone d’ombra normative e rischia di soffocare la propria democrazia a colpi di leggi emergenziali e mancate riforme. Dura la reazione dell’opposizione. «Non si tratta più di opinioni: quella della Commissione è un'analisi formale e dettagliata con raccomandazioni all'Italia che smascherano una deriva autoritaria ormai sotto gli occhi di tutti» commenta l’europarlamentare Alessandro Zan, responsabile diritti nella segreteria Pd. Per la deputata Elisabetta Piccolotti di Alleanza Verdi e Sinistra: «Il Rapporto racconta un Paese sordo a ogni richiamo sulla protezione della libertà di stampa e sull'indipendenza della tv di Stato. E hanno anche il coraggio di offendersi se si parla di 'TeleMeloni'». Duro anche l’europarlamentare Gaetano Pedullà, del Movimento 5 Stelle: «Certifica il fallimento del governo Meloni».
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