Il decreto legge 34 del 30 marzo 2023, meglio noto come “decreto bollette” contiene anche numerose disposizioni in materia di salute, con particolare attenzione alla crisi dei Pronto soccorso ospedalieri.

Per dare un senso complessivo ai numerosi articoli che il decreto dedica a questo tema, si potrebbe dire che si tratta di norme dedicate quasi esclusivamente a contenere la fuga dei medici e degli infermieri dai reparti di emergenza-urgenza  e a ridurre l’impiego da parte degli ospedali dei medici di cooperativa che vengono pagati molto più dei dipendenti, senza avere lo stesso livello di specializzazione e di formazione.

Il bastone e la carota

Questo obiettivo viene ricercato con un insieme di provvedimenti che potremmo chiamare “del bastone e della carota” dove il bastone sono le paventate sanzioni ai medici che abbandonano il loro posto in ospedale per andare a lavorare in una cooperativa, ai quali sarà vietato di  rientrare nel posto abbandonato (ma sembra che potranno farlo partecipando a un nuovo concorso)  e ai direttori ospedalieri, ai quali potrebbe essere contestato un danno erariale se utilizzeranno medici di cooperativa per un periodo più lungo di 12 mesi. Sempre sul versante del bastone, vi sarà l’obbligo per le cooperative di impiegare solo medici in possesso dei requisiti richiesti ai medici dipendenti  per ricoprire lo stesso incarico e di non offrire un compenso superiore a quanto previsto da apposite tabelle che il Governo si è impegnato a pubblicare entro 90 giorni.

Per quanto riguarda la carota, vi sarà un incremento nella retribuzione delle eventuali ore notturne aggiuntive all’orario di servizio (sottolineo aggiuntive, quando semmai bisognerebbe ridurre il carico di lavoro responsabile del burn-out e della fuga degli operatori sanitari), la possibilità di richiedere il tempo determinato per i medici di Pronto soccorso che abbiano  già maturato i requisiti per il pensionamento anticipato (ma quanti vorranno restare?), l’inserimento del lavoro in emergenza-urgenza tra i lavori usuranti con un anticipo della pensione di due mesi per anno lavorato fino ad un massimo di 24 mesi.

I nuovi medici dei Pronto soccorso 

Il Decreto 34 si preoccupa anche di rispondere alla domanda che sorge spontanea dopo la lettura dei commi che ho fin qui riassunto: se gli ospedali non potranno più fare ricorso alle cooperative e le stesse perderanno capacità di offerta, dato che non potranno più impiegare i medici non specializzati che costituiscono la gran parte del loro organico, né pagarli le cifre esagerate con cui oggi  li retribuiscono, chi coprirà gli oltre 4000 posti vacanti nei Pronto soccorso italiani?  La risposta, anch’essa molto italiana, mette insieme sanatorie e rattoppi.  

Innanzitutto, non verrà più richiesta una specializzazione per i medici che hanno lavorato per almeno tre anni  a vario titolo nei servizi di emergenza. Se questo può essere considerato un giusto riconoscimento per i tanti casi in cui l’esperienza sul campo data addirittura da decenni, si tratta comunque di un rischioso passo indietro in termini di preparazione professionale che fa del Pronto Soccorso un caso unico nel panorama ospedaliero. 

Visto che la crisi coinvolge anche altre discipline, come la psichiatria e la terapia intensiva, potrebbe trattarsi invece  di un primo esperimento  che potrebbe portare nel tempo a un  più generale abbassamento dei requisiti richiesti per lavorare in ospedale.   Non una buona notizia per i cittadini. Soprattutto però, assumere a tempo indeterminato chi fino ad oggi ha lavorato con contratti precari potrà certo sanare posizioni individuali, ma non aggiungerà numeri al sistema che già, seppure a diverso titolo, può contare sul lavoro di questi professionisti. 

Un secondo tassello viene dalla  possibilità  concessa ai  medici iscritti a una  scuola di specializzazione di lavorare con un contratto aggiuntivo per non oltre otto ore settimanali. Un piccolo rattoppo, forse utile, ma certo non risolutivo. Infine, il decreto  apre all’assunzione temporanea (fino al 31 dicembre 2025) di operatori laureati all’estero (anche fuori dalla Comunità europea) in deroga alle leggi che fino ad oggi ne regolamentavano l’accesso al nostro Servizio sanitario. Forse in attesa di fare ulteriori sanatorie, questa volta per i medici stranieri che avranno lavorato tre anni nei nostri ospedali,al posto dei loro colleghi italiani che, come anche moltissimi infermieri, sempre più spesso preferiscono trasferirsi all’estero. 

Il futuro resta grigio

Quali conclusioni si possono trarre da tutto questo? Niente di confortante purtroppo. Per usare un termine medico si potrebbe dire che si tratta di una terapia sintomatica, verosimilmente poco efficace, che non va ad intaccare le cause della malattia. Un’aspirina per affrontare una polmonite che richiederebbe invece pesanti dosi di antibiotici. Niente di cui i cittadini si accorgeranno comunque, se non forse per  un  ulteriore calo della qualità professionale di chi li assisterà.  La crisi dei Pronto soccorso è dovuta in gran parte  all’affollamento di pazienti che attendono un letto in reparto.  Uno dei 70.000 letti tagliati negli ultimi 10 anni in attesa di una crescita, purtroppo ancora di là da venire, della medicina territoriale.

Uno dei 70.000 letti che non torneranno mai, considerata la percentuale del PIL destinata alla Sanità che è tra le più basse di tutta Europa e il fatto che non si saprebbe dove reperire i professionisti necessari per tenerli aperti. Intanto si resta in attesa delle  40.000 nuove uscite di medici dal sistema, tra pensionamenti e licenziamenti, che si prevedono entro la fine del 2024.

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