Ma chi paga le follie del calcio italiano? Gli stipendi milionari di giocatori, allenatori e procuratori, i buchi nei bilanci delle società, i ricavi in calo per la vendita dei diritti per la trasmissione delle partite, gli stadi spesso vecchi e inadeguati e ora mezzi vuoti anche a causa del Covid? Niente paura, pagano i cittadini, come sempre.

Anzi, in questo caso un tipo particolare di cittadini, i giocatori d’azzardo, quelli che scommettono sui risultati delle competizione sportive, calcio compreso, e su mille altri eventi, da Sanremo alle previsioni del tempo, dal Grande fratello a Miss universo.

Gli scommettitori giocano rispettando la legge perché le scommesse sono legali e organizzate dallo stato che ci guadagna e bene, anche se la passione degli scommettitori non è digerita da gran parte dell’opinione pubblica che la considera una malattia (la «ludopatia»), un vizio da estirpare o almeno da tenere a briglia corta.

Stretti da una parte dalla necessità di rimpinguare le casse pubbliche e dall’altra dalla voglia di lisciare il pelo alla vasta platea degli anti gioco, governo e parlamento oscillano di continuo quando si parla di azzardo, ma alla fine se c’è da raccattare un po’ di soldi per coprire qualche buco o per accontentare qualche lobby è agli scommettitori che mettono le mani in tasca.

Ora è il calcio a pretendere un aiutino. Da alcuni giorni i signori del pallone, dall’ex presidente della Lega di Seria A Paolo Dal Pino, al capo della Federcalcio Raffaele Gravina, fino a Luigi De Siervo, amministratore della Lega, hanno avviato un pressing sul governo per avere l’1 per cento per cento su ogni scommessa.

Lettera a Vezzali

Dal momento che la raccolta annuale delle puntate è intorno ai 15,8 miliardi di euro, stanno pretendendo circa 160 milioni. Che sembrano poco rispetto alle cifre stellari che accompagnano di solito le vicende dei campioni (basti pensare che solo il passaggio dalla Fiorentina alla Juventus di un giocatore, il centravanti Dusan Vlahovic, muove circa 75 milioni di euro).

Ma evidentemente fanno gola: l’ormai ex presidente Dal Pino (si è dimesso il primo febbraio) ha inviato una lettera alla sottosegretaria allo Sport, Valentina Vezzali, in cui batteva cassa. E l’ex campionessa di fioretto si è dimostrata molto comprensiva.

Alla base della rivendicazione dei signori del calcio ci sono un ragionamento e una rivendicazione. Il ragionamento è questo: dal momento che le scommesse si basano sulla nostra attività sportiva, ci sembra giusto partecipare alla festa.

La rivendicazione è invece collegata al fatto che in piena prima ondata del Covid, a maggio del 2020, anche il calcio era stato «ristorato» dal governo e la fonte del sussidio erano state le scommesse.

La quota era stata fissata allo 0,5 per cento e, rinfrancata dalla performance agli Europei, la lobby del calcio si era convinta che il beneficio sarebbe stato esteso anche al 2022. Invece nella legge di Bilancio lo 0,5 è scomparso.

A questo punto la lobby è passata al contrattacco. Non si accontenta più dello 0,5, ma punta al raddoppio con la speranza di mettere qualche toppa su un abito sempre più logoro.

La crisi del calcio non è figlia del Covid anche se ovviamente la pandemia ci ha messo del suo. Il sistema era in difficoltà già da prima come dimostrato dai conti delle cinque società più titolate: nel 2019 la Juventus ha chiuso il bilancio con una perdita finanziaria netta di 463 milioni di euro, l’Inter 260 milioni, la Roma 220, il Milan 83, la Lazio 55.

Nel frattempo il costo degli stipendi dei giocatori della Serie A è cresciuto a dismisura e ha avuto una leggera flessione solo sotto i colpi del Covid: 882 milioni di euro nella stagione 2015/2016, l’anno dopo 927, poi 955 milioni, poi un miliardo e 129 milioni fino al record di un miliardo e 360 milioni nella stagione 2020/2021.

La quota di Miss universo

Gli scommettitori non hanno una lobby, anzi, sono cani sciolti per definizione. Ma il sistema del gioco la lobby ce l’ha, anche se ammaccata rispetto agli splendori di un tempo.

E le società del betting sanno che l’eventuale prelievo dell’uno per cento verrà inevitabilmente scaricato sui giocatori, costretti a pagare di più per sostenere il circo del calcio proprio in un momento in cui la propensione al gioco è in forte flessione, soprattutto a causa del Covid.

Il settore del gioco legale è stato uno dei più colpiti dalla pandemia, le sale sono state chiuse per mesi, gli incassi precipitati e decine di migliaia di lavoratori messi in cassa integrazione. Ovvio che avverta come una pericolosa minaccia il tentativo di andare a frugare di nuovo nelle tasche degli scommettitori.

La lobby dell’azzardo contesta tutta l’impostazione dei padroni del calcio e fa notare che seguendo il loro ragionamento le scommesse dovrebbero per assurdo versare il loro contributo anche a Miss universo o alle previsioni del tempo.

Le scommesse sul calcio italiano, inoltre, sono una quota minoritaria del monte complessivo, meno del 19 per cento, 2,6 miliardi di euro sui quasi 16 di totale. Se da questa cifra si detraggono le vincite degli scommettitori, restano circa 355 milioni di euro.

Una parte di questa quota la incassa lo stato con le tasse (circa 80 milioni di euro), il resto (275 milioni) sono i guadagni delle società dell’azzardo. Di questi 275 milioni di euro, la lobby del calcio ne vorrebbe 160, lasciando a chi organizza le scommesse 115 milioni. È questa la posta in palio tra le due lobby. E, per usare una metafora calcistica, siamo appena al fischio di inizio.

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