Mancava solo che chiedesse asilo politico. Dal rifugio californiano Paolo Dal Pino ha fatto pervenire nella giornata di martedì 1 febbraio alla Lega di Serie A una lettera con cui annuncia le dimissioni dalla presidenza. Il motivo della decisione è l’avvenuto e definitivo spostamento a quelle latitudini «della mia vita professionale e familiare».

L’ormai ex presidente si trova negli Usa ormai da prima delle vacanze di fine anno. E da lì ha continuato a guidare la cosiddetta Confindustria del calcio italiano. Un’organizzazione caotica e rissosa, strutturalmente ingovernabile nonché abituata a logorare i propri presidenti. Che infatti portano avanti a stento il loro mandato o altrimenti scappano quando possono.

Era stato così per il predecessore di Dal Pino, il banchiere Gaetano Micciché, eletto in modo avventuroso e durato in carica soltanto un anno e mezzo. In questo senso, coi suoi due anni pieni trascorsi in carica, Dal Pino può vantarsi di essere stato “più longevo”. Ma le note positive del suo mandato finiscono qui.

Perché sognando California il manager ha mandato a quel paese i presidenti del massimo campionato italiano. E a giudicare dall’aria che tira in Lega ormai da anni, pure l’Ucraina di questi giorni gli sarebbe parsa un posto molto più confortevole che il palazzo milanese di via Rosellini.

Resistenza al cambiamento

Claudio Furlan/LaPresse

Tracce della sofferenza che Dal Pino ha stratificato durante questi due anni a capo della Lega  sono ben visibili nel testo della lettera di dimissioni, pubblicata sul sito dell’organizzazione. Un testo dal tenore irrituale, dato il disappunto nemmeno dissimulato che lo pervade. Perché ai ringraziamenti di prammatica si associano stilettate e recriminazioni, articolate intorno a un’accusa ben precisa: resistenza al cambiamento.

Il concetto è espresso nel breve e incisivo passaggio cui viene dedicato un capoverso a sé, giusto perché non se ne disperdesse il peso: «Ho provato a proporre idee e innovazione in un contesto resistente al cambiamento».

Una sferzata sanguinosa, per una Lega che stenta a tenere botta sul piano della concorrenza globale e che proprio sulla capacità di innovazione dovrebbe puntare per avere qualche chance di non soccombere.

Quanto allo specifico della resistenza al cambiamento, Dal Pino cita la circostanza cruciale: la fallita operazione che avrebbe portato i fondi di private equity capitanati da Cvc a acquisire una quota della costituenda media company della Serie A. Una manovra sabotata dopo che ne era stato quasi completato il varo, e che come raccontato da Domani è stata successivamente realizzata dalla Liga spagnola. Ciò che lo stesso Dal Pino non ha mancato di rimarcare nella lettera di dimissioni.

Un passaggio altrettanto significativo è quello che viene dedicato al presidente della Figc, Gabriele Gravina, indicato come gentiluomo, amante di questo sport e guida ispirata del calcio italiano e dei principi di correttezza e lealtà sportiva con cui ho condiviso due anni di battaglie fianco a fianco per sopravvivere alla pandemia e per cercare di rilanciare il calcio italiano in mezzo ad infinite difficoltà esterne ed interne». E il riferimento al capo del calcio italiano non va considerato un mero atto di cortesia. Piuttosto, in quelle parole c’è un richiamo all’ennesima crisi istituzionale che potrebbe abbattersi sul calcio italiano.

Rischio commissariamento

Claudio Furlan/LaPresse

Lunedì 31 gennaio, giusto il giorno prima che Dal Pino rassegnasse le dimissioni, Gravina ha inviato alla Lega di Serie A e al suo amministratore delegato Luigi De Siervo una lettera piccatissima.

La missiva contiene una risposta alla richiesta di proroga, avanzata dalla Lega, per compiere l’operazione di adeguamento dello statuto ai principi informatori del Coni per ciò che riguarda l’assunzione delle delibere assembleari. Che per il comitato olimpico vanno prese a maggioranza semplice e invece per lo statuto della Lega devono essere votate con maggioranza qualificata.

La richiesta della Lega è stata accolta da Gravina, ma con l’aggiunta di un avvertimento: la nomina di un commissario ad acta qualora i presidenti di Serie A non si uniformassero entro il 15 febbraio alle indicazioni di Coni e Figc.

Dunque per i presidenti, che come era da aspettarsi si sono spaccati anche su questo dossier, si prospetta un altro passaggio da lotta nel fango. Un passaggio dal quale Dal Pino si è tirato fuori con perfetto tempismo. Difficile credere si tratti soltanto di coincidenza. Più probabile che l’ormai ex presidente non abbia voluto ingoiarsi pure questa. Che se la sorbisca un nuovo presidente, sempre che riescano a eleggerlo entro il 15 febbraio.

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