Il comitato ha concluso la sua indagine sulle attività di spionaggio. Escluso il coinvolgimento dei servizi italiani. Ma allora chi è stato?
La relazione del Copasir sul caso Paragon ha chiarito tanti fatti, ma non è riuscita a rispondere a una domanda: chi ha tentato di spiare due giornalisti italiani e un prete? A cinque mesi dallo scoppio della faccenda, ieri il Copasir, dopo otto audizioni e dieci sedute, ha finalmente pubblicato la sua relazione sull’uso di Graphite, il software militare prodotto dalla società israeliana Paragon solutions. E ha messo in fila un po’ di dettagli utili per ricostruire una vicenda molto intricata.
Come già era emerso sulla stampa, Graphite era in dotazione alle due agenzie di intelligence italiane, l’Aise e l’Aisi. Il Copasir ha accertato che i contratti sono stati fatti tra il 2023 e il 2024. Lo spyware è stato usato per intercettare alcuni attivisti di Mediterranea Saving Humans.
Luca Casarini, fondatore dell’ong che aiuta i migranti in mare, è sottoposto a intercettazioni preventive a partire dal 2019, ai tempi del governo Conte II, maggioranza Pd e M5s. Il monitoraggio dei servizi è andato avanti fino al 2024, ma solo a settembre dell’anno scorso è stato usato nei suoi confronti Graphite, con il via libera del sottosegretario Alfredo Mantovano.
Situazione simile per Beppe Caccia, anche lui di Mediterranea. Dopo i sopralluoghi presso il procuratore generale della corte di appello di Roma, l’Aise, l’Aisi e il Dis, il Copasir ha concluso che tutto è stato fatto in modo regolare: Casarini e Caccia, si legge nella relazione, non sono stati sorvegliati «in qualità di attivisti per i diritti umani, ma per le loro attività potenzialmente relative all’immigrazione irregolare».
Mediterranea ieri ha diramato un comunicato. «I nostri attivisti e i rifugiati intercettati e spiati dai servizi segreti per 5 anni con 4 governi diversi. Tutto a posto?», ha scritto l’ong, «siamo nel paese dove il torturatore libico Almasri è trattato come una risorsa nazionale, e noi come una minaccia alla sicurezza». Secondo quanto ha riferito Meta al Copasir, le utenze coinvolte tramite WhatsApp da Graphite sono state 61 in Europa, di cui sette italiane. Delle altre vittime non si sa molto. Solo di quelle che hanno denunciato.
Su di loro il report del Copasir fornisce poche informazioni perché non è certo che siano state infettate con Graphite. Eppure anche loro hanno ricevuto l’allarme da Meta o da Apple con l’avviso di aver ricevuto un attacco informatico di tipo spyware, uguale a quello di Casarini e Caccia.
David Yambio, rifugiato sud-sudanese in Italia, presidente dell’ong Refugees in Libya, è stato «oggetto di attenzione da parte dei servizi», scrive il Copasir, in un’operazione non meglio specificata autorizzata nel 2020 e realizzata tra il 2023 e il 2024. Non è chiaro se con Graphite o no.
Chi è stato?
Il fatto è che il telefono in uso a Yambio era intestato a don Mattia Ferrari, cappellano di Mediterranea, che in diverse occasioni ha parlato al telefono con papa Francesco. Al caso del sacerdote, che aveva ricevuto una notifica per un attacco tramite i suoi profili social, lo stesso ricevuto da altre vittime, il Copasir dedica due righe: «Non risultano sottoposti ad attività intercettiva da parte dei servizi di informazione per la sicurezza apparati in uso a don Mattia Ferrari».
Dunque, non sono stati i servizi segreti italiani a cercare di infettare il telefono del prete. Ma qualcuno dev’essere stato. Il discorso vale anche per Francesco Cancellato e Ciro Pellegrino, direttore e capo cronaca Napoli di Fanpage.
Come le altre vittime, hanno ricevuto la notifica di essere stati attaccati da uno spyware di tipo avanzato, ma al momento non c’è un indizio su chi potrebbe aver cercato di attaccarli.
Il Copasir si è concentrato su Cancellato, primo ad aver denunciato, e ha messo un punto su un fatto. Nessun soggetto pubblico italiano lo ha mai attaccato con Graphite: non sono stati i servizi segreti italiani, le procure, i carabinieri, la polizia, la guardia di finanza, la polizia penitenziaria. Il Copasir ha scritto di aver interrogato «il database e il registro di audit» delle due agenzie di intelligence e di aver avuto garanzie che nessuna procura lo ha mai utilizzato.
Eppure qualcuno ha cercato di entrare nel cellulare del giornalista di Fanpage. Se tutti dicono la verità, le possibilità che rimangono sono solo due: o è stato un governo straniero o un soggetto privato. Sul caso indagano le procure di Napoli e Roma.
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