L’inchiesta sul presunto caso di corruzione che ha coinvolto il parlamento europeo e il Qatar non soltanto pone dubbi e quesiti sull’operato dei membri delle istituzioni europee ma evidenzia anche un modus operandi opaco delle autorità qatariote per perseguire i loro interessi.

Attraverso think tank, organizzazioni, associazioni e società di lobbying, il Qatar è riuscito a infiltrarsi non solo nelle istituzioni europee ma anche all’interno di imprese strategiche, strutture ospedaliere e società. Proprio come fanno anche Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. La ricerca del consenso dell’emiro Tamim bin Hamad al-Thani passa soprattutto attraverso commesse militari, vendita di gas e finanziamenti per la costruzione di moschee e centri culturali.

L’industria militare europea

QNA via AP

Negli anni il Qatar ha aumentato esponenzialmente la sua spesa militare acquistando ordini dalle più importanti imprese di Italia, Francia, Inghilterra e Germania. Secondo il centro studi Sipri che si occupa di monitorare le spese militari dei vari stati, in circa dieci anni (dal 2010 al 2021) il Qatar ha aumentato il suo budget per la Difesa di circa il 434 per cento. Nel 2021 è stato il Qatar è stato il quinto paese in medioriente a investire in armi spendendo circa 11.6 miliardi di dollari, una cifra pari al 4.8 per cento del Pil nazionale.

Nella decade di riferimento il Qatar ha dovuto rafforzare il suo esercito per via dei coinvolgimenti nelle guerre in Libia e Siria e per far fronte alle tensioni all’interno del Golfo Persico durante la crisi del 2017.

Proprio nel dicembre di quell’anno l’emiro al-Thani alla corte di Emmanuel Macron ha siglato un accordo dal valore di 12 miliardi di euro per comprare 12 aerei da caccia Rafale e oltre 470 veicoli militari corazzati. Prima di questa commessa i due paesi avevano portato a termine un altro accordo da 6 miliardi di euro per 24 velivoli militari. Per l’Italia, invece, il Qatar è stato il principale acquirente di armi nel 2021 con ordini per un valore che ha sfiorato il miliardo di euro, una cifra significativa ma lontana da quella del biennio 2017/18 durante il quale l’emirato aveva investito un totale di 6.1 miliardi di euro per commesse militari dirette soprattutto all’acquisto di sette navi da guerra.

La salvezza del gas

L’enorme quantità di gas qatarino è stato invece lo strumento di Doha per cercare di evitare l’isolamento internazionale durante la crisi del Golfo Persico quando gli altri paesi arabi vicini (Kuwait, Bahrein, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti a cui si aggiunge l’Egitto) hanno accusato il Qatar di essere vicino all’Iran e di finanziare il terrorismo e introdotto un embargo politico, logistico ed economico contro il piccolo emirato. Per mitigare gli effetti di quelle restrizioni economiche il Qatar ha cercato appoggio e alleati tra gli stati europei e in quegli anni a tendere la mano è arrivata prima di tutti la Germania alla ricerca da anni di un’indipendenza energetica dalla Russia.

Lo scorso novembre il cancelliere Olaf Scholz è riuscito ad assicurare al paese una fornitura di 15 anni per una fornitura di gas naturale liquefatto pari a 2 milioni di tonnellate all’anno. Una boccata d’ossigeno per uno dei paesi dell’Unione europea che maggiormente ha accusato la crisi energetica provocata dalla guerra in Ucraina.

Il Qatar, come altri paesi produttori di energia, è stato capace di sfruttare il suo vantaggio per avvicinare nella sua sfera di influenza i paesi bisognosi del suo gas. Lo scorso marzo l’ex ministro degli Esteri Luigi Di Maio è andato a Doha insieme all’ad di Eni, Claudio Descalzi, per siglare accordi energetici dopo aver fatto il tour di alcuni paesi africani. Oltre all’Italia anche Austria, Francia e Grecia hanno cercato e ottenuto il gas qatarino.

Il finanziamento delle moschee

Il soft power e l’influenza del Qatar in Europa passa anche per il finanziamento di centri culturali e moschee. Un libro inchiesta scritto da due giornalisti francesi Georges Malbrunot e Christian Chesnot, ha ricostruito il flusso di denaro che da Doha è arrivato nelle città europee ed è servito per la costruzione di moschee.

Gran parte dei soldi vengono direttamente dalla Qatar Charity, un’Ong presieduta Hamad bin Nasser al-Thani membro della famiglia reale dell’emirato che negli ultimi cinque anni ha finanziato progetti umanitari e di sviluppo per un valore di oltre 1,2 miliardi di dollari.

In Europa sono stati dirottati 71 milioni di euro per la costruzione di 140 progetti di moschee e di centri islamici tra Francia, Germania, Svizzera e altri paesi europei. Attualmente sono in costruzione moschee nei Balcani, regione a rischio radicalizzazione.

L’Italia è tra gli stati con il maggior numero di luoghi di culto finanziati dal Qatar, si stimano circa 45 progetti edili, per un totale di 23 milioni di euro. Anche l’Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia) ha ricevuto finanziamenti dalla Qatar Charity, soldi tracciati e presenti nei bilanci ma che hanno attirato sull’organizzazione accuse di vicinanza alla fratellanza musulmana qatarina.

Il caso dei parlamentari britannici

Recentemente un’inchiesta dell’Observer del Guardian ha messo in imbarazzo alcuni parlamentari britannici accusati di aver ricevuto regali di lusso dal governo qatarino in vista dei Mondiali. «Nei 12 mesi fino a ottobre 2022, il governo del Qatar ha fatto regali ai parlamentari per un valore di 251.208 sterline, tra cui soggiorni in hotel di lusso, voli in business class e biglietti per eventi ippici», si legge nell’inchiesta.

Soldi per un valore sei volte superiore al secondo maggior donatore governativo straniero: i vicini Emirati Arabi Uniti. «I registri mostrano che i parlamentari hanno dichiarato circa 100mila sterline di regali e ospitalità dal Qatar nei cinque anni fino a ottobre 2021, ma più del doppio solo negli ultimi 12 mesi». Sebbene i deputati britannici non abbiano violato le leggi nazionali si sono prodigati in discorsi di elogio in favore del Qatar e delle sue autorità. Discorsi molto simili a quelli pronunciati tra le mura del parlamento europeo dalle persone coinvolte nell’inchiesta guidata dagli inquirenti belgi.

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